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In 20 anni abbiamo spazzato via il 10% della natura incontaminata

Aumenta la pressione umana sugli ecosistemi e un nuovo studio avverte: a questi ritmi, tutte le aree naturali saranno scomparse nel giro di 50 anni

natura incontaminata

 

Pubblicata la mappa delle ultime aree di natura incontaminata

(Rinnovabili.it) – Le ultime grandi zone di natura incontaminata del Pianeta stanno svanendo a un ritmo preoccupante. E, con molta probabilità, non potranno essere ripristinate, perdendo così per sempre ecosistemi vitali per la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. A lanciare l’allarme è l’Università del Queensland attraverso la pubblicazione di una nuova mappatura delle aree naturali più importanti al mondo. Un lavoro complesso che nasce con l’obiettivo di aiutare scienziati, ambientalisti e politici a migliorare le attività di conservazione e tutela. Sì perché, in barba a trattati internazionali e accordi globali per proteggere ambiente e biodiversità, in poco più di 20 anni abbiamo perso tre milioni di chilometri quadrati di natura incontaminata. Vale a dire il 10% delle aree selvagge che sono rimaste sul Pianeta.

 

In realtà, più che “abbiamo perso”, sarebbe corretto dire “abbiamo buttato”. La pressione umana è la causa principale e, senza un freno, tutte le aree naturali saranno scomparse nel giro di 50 anni.

Questi ecosistemi – spiega il ricercatore James Allan – svolgono un ruolo chiave nella regolazione dei climi locali, sequestrando e immagazzinando grandi quantità di carbonio e supportando molte delle comunità culturalmente più diversificate del mondo ma politicamente ed economicamente emarginate”. Distruggerle significa anche eliminare importatati strumenti di mitigazione climatica: significa influire sulla capacità naturale di formazione delle nuvole, e quindi sulla pioggia, significa determinare impatti drammatici sui flussi dei fiumi e sulle specie migratorie e una lunga serie di danni che i ricercatori stanno ancora stimando.

 

La mappatura dell’Università mostra come la maggior parte delle restanti aree selvagge si trovi nei deserti dell’Australia centrale, nella foresta pluviale amazzonica in Sud America, nell’altopiano tibetano in Asia centrale e nelle foreste boreali del Canada e della Russia. Zone per lo più inospitali dove la mano dell’uomo ha ancora difficoltà a sfruttare tutte le risorse.

 

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Il resto è stato letteralmente inghiottito da disboscamento, esplorazioni petrolifere, estrazioni minerarie, infrastrutture stradali e agricoltura. “È la morte dei mille tagli”, aggiunge Allan, alludendo alla triste tortura usata nella Cina del passato. “Nel momento in cui metti una strada, incoraggi le persone a trasferirsi in una fattoria, a cacciare e ciò mina la natura incontaminata. Il rischio è che molti di questi sistemi possano collassare. L’Amazzonia è il miglior esempio di dove sia necessario che un’intera foresta, o quanto meno una porzione enorme, sia protetta per mantenere il funzionamento del ciclo idrologico”. Nonostante ciò, dal 1992 a oggi, è scomparso un terzo della regione selvaggia dell’Amazzonia (Leggi anche L’Amazzonia non è più il polmone verde della Terra).

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.