Un nuovo studio CNR-ISMAR rivela che l’impatto del riscaldamento globale sugli oceani è più rapido e complesso del previsto. Ecco cosa sta cambiando.

Negli ultimi 25 anni, gli oceani si sono riscaldati molto più rapidamente di quanto si pensasse. L’aumento della temperatura superficiale del mare ha raggiunto una media di 0,022°C all’anno, ovvero oltre il 60% più veloce rispetto alle stime più accreditate finora, una volta esclusi gli effetti delle oscillazioni naturali come quelle del Pacifico. Un dato che sottolinea l’urgenza di comprendere a fondo l’impatto del riscaldamento globale sugli oceani. Non solo in termini di temperatura, ma anche per gli effetti sistemici su correnti, salinità, stratificazione delle acque e catena alimentare marina. E le loro interazioni.
Studiare l’impatto del riscaldamento globale sugli oceani
È l’approccio innovativo seguito da uno studio del CNR-ISMAR e della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, che mira a ricostruire le tendenze a lungo termine della dinamica oceanica. I ricercatori hanno analizzato 6 variabili fisiche fondamentali dello strato superficiale degli oceani — temperatura, salinità, profondità dello strato mescolato, intensità delle correnti orizzontali e verticali, energia del vento — integrandole con i dati sull’abbondanza del fitoplancton, organismo chiave per la produttività marina e il sequestro di CO2.
“Il nostro approccio unisce dati oceanografici, modellazione climatica empirica e machine learning”, spiega Bruno Buongiorno Nardelli (CNR-ISMAR), così da ottenere un’immagine più completa dei cambiamenti nello stato e nella dinamica degli oceani. “Il cambiamento climatico agisce sugli oceani attraverso processi complessi che non possono essere compresi analizzando singole variabili”, aggiunge. Ad esempio, in alcuni casi “l’effetto delle variazioni di vento o precipitazioni può superare quello del riscaldamento superficiale”.
Vediamo più da vicino quali sono i risultati dello studio sull’impatto del riscaldamento globale sugli oceani e in che modo si discostano dalle previsioni realizzate finora.
Un oceano che si scalda più in fretta del previsto
Negli ultimi 25 anni, l’impatto del riscaldamento globale sugli oceani si è rivelato più rapido e pervasivo di quanto si pensasse. Secondo lo studio, la temperatura superficiale media degli oceani è aumentata a una velocità di 0,022°C l’anno, oltre il 60% più veloce rispetto alle stime precedenti. Questo dato è emerso dopo aver correttamente isolato le fluttuazioni naturali, come la variabilità del Pacifico per il fenomeno di El Niño.
Le zone più colpite sono l’oceano Pacifico nordorientale e le aree equatoriali, mentre in alcune regioni, come l’Atlantico settentrionale, si osservano addirittura tendenze locali di raffreddamento, dovute a cambiamenti nelle correnti e nei venti.
Oceani in trasformazione: le dinamiche fisiche sono più complesse
Il riscaldamento globale sta alterando non solo la temperatura degli oceani, ma anche l’intera architettura fisica delle masse d’acqua. Lo studio mostra che le correnti marine si stanno spostando, le acque superficiali diventano sempre più stratificate, e gli scambi verticali tra superficie e profondità si modificano in modo significativo.
In particolare:
- le correnti principali si stanno spostando verso nord o sud a seconda della regione, con potenziali conseguenze sugli ecosistemi marini e sul trasporto di calore;
- la stratificazione (cioè la separazione degli strati d’acqua per densità) è in aumento in molte aree tropicali, riducendo il rimescolamento verticale di nutrienti;
- nelle regioni subtropicali dell’Atlantico, si osserva un’intensificazione degli scambi verticali, che favorisce l’accumulo di calore in profondità;
- le modifiche nei venti (come il rafforzamento dei venti occidentali o lo spostamento dei jet stream) influenzano le dinamiche superficiali e profonde.
Questi cambiamenti hanno implicazioni importanti per la circolazione oceanica globale, la ventilazione delle profondità e la regolazione del clima terrestre.
Salinità e ciclo dell’acqua: oceani più dolci o più salati?
L’impatto del riscaldamento globale sugli oceani modifica anche il ciclo idrologico, con effetti sulla salinità delle acque. A livello globale, la salinità media non mostra grandi variazioni, ma lo studio rileva forti tendenze regionali:
- riduzione della salinità in aree come la zona di convergenza intertropicale e l’Antartide, a causa dell’aumento delle precipitazioni, della fusione dei ghiacci e del calo delle portate fluviali;
- salinificazione nelle regioni tropicali del Sud Atlantico e dell’Oceano Indiano, associata all’evaporazione e ai cambiamenti nelle correnti.
Queste alterazioni indicano un ciclo dell’acqua sempre più intensificato, secondo il principio del “wet gets wetter, dry gets drier” (i luoghi già umidi diventano più umidi, quelli aridi più secchi).
Dove va il calore? Dai tropici alle profondità
Oltre alla superficie, anche gli strati profondi degli oceani stanno assorbendo e redistribuendo il calore. Lo studio ha stimato l’accumulo di calore fino a 1000 metri di profondità, rivelando:
- un aumento consistente di calore e salinità tra i 200 e i 1000 metri nell’Atlantico, in particolare lungo le correnti di bordo occidentali;
- nel Pacifico, il calore tende ad accumularsi in superficie, favorito da strati-barriera che ostacolano la miscelazione verticale;
- la stratificazione crescente è confermata anche dall’aumento dell’anomalia di galleggiabilità integrata nei primi 200 metri, un indicatore chiave della resistenza al rimescolamento.
Questi processi compromettono la capacità degli oceani di distribuire uniformemente il calore e influenzano il ciclo del carbonio, la ventilazione e la formazione delle masse d’acqua.
Fitoplancton in calo: meno nutrienti, meno vita
Il riscaldamento globale sta influenzando fortemente anche la base della catena alimentare marina. La stratificazione crescente delle acque superficiali ostacola il rimescolamento dei nutrienti, determinando un declino della clorofilla a (indicatore dell’abbondanza di fitoplancton) in diverse aree del pianeta.
Tra le zone più colpite:
- le aree equatoriali del Pacifico, dove si concentra una forte riduzione del fitoplancton;
- la costa occidentale degli Stati Uniti, con un declino dell’upwelling e del conseguente apporto di nutrienti;
- al contrario, in regioni come l’Atlantico equatoriale o il largo delle coste cilene, un rafforzamento dei venti favorisce l’upwelling e l’aumento della biomassa fitoplanctonica.
L’impoverimento del fitoplancton ha ricadute su biodiversità, pesca e capacità dell’oceano di assorbire CO2.