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Batterie al potassio, ora funzionano quasi come quelle al litio

Un team di scienziati del Rensselaer Polytechnic Institute ha sviluppato una tecnica di auto-guarigione in grado di rimuovere i dendriti dall'anodo durante la carica. Un passo avanti che permetterà  all’accumulo a ioni potassio di farsi strada sul mercato

Batterie al potassio
Credits: kenishirotie © 123rf.com

 

Anodi in potassio metallico e ricarica super rapida: così le batterie al potassio puntano al mercato

(Rinnovabili.it) – Il litio è costoso, ecologicamente discutibile quando impiegato in grandi volumi e la sua sicurezza nell’accumulo non ha ancora raggiunto il 100%. Eppure è ancora la migliore soluzione presente sul mercato per le batterie di auto e dispostivi elettrici. Tra le alternative studiate per spodestare il lito dal suo trono, uno dei candidati più promettenti è rappresentato dalle batterie al potassio. Il vantaggio chiave di questa tecnologia è l’abbondanza e il basso costo del potassio, oltre ad una notevole velocità di carica. Inoltre utilizzando anodi al potassio metallico, queste batterie possono essere costruite con densità di energia (sia in volume che in peso) paragonabili a quelle a base di litio.

Finora a frenarle è stato un problema presente anche nelle unità a ioni litio: la formazione di dendriti. Man mano che la batteria viene caricata e scaricata, minuscoli pezzi di metallo iniziano ad attaccarsi all’anodo formando piccoli rami appuntiti, chiamati per l’appunto dendriti. Queste formazioni possono bucare la membrana isolante che separa l’anodo dal catodo e cortocircuitare la batteria. Oggi, un team di scienziati del Rensselaer Polytechnic Institute nello Stato di New York afferma di aver sviluppato una tecnica di auto-guarigione in grado di rimuovere i dendriti di potassio.

 

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La soluzione è apparentemente controintuitiva: il team ha fatto funzionare la batteria a una velocità di carica e scarica relativamente elevata, aumentando la temperatura interna ma in modo ben controllato e incoraggiando così i dendriti ad auto-guarire.

Nikhil Koratkar, professore di ingegneria meccanica e autore dello studio, spiega il processo confrontandolo a ciò che accade a un mucchio di neve alla fine di una tempesta: il vento e il sole aiutano a spostare i fiocchi dal tumulo di neve, riducendo le sue dimensioni e infine appiattendoli.

Allo stesso modo, l’aumento di temperatura all’interno della batteria aiuterà ad attivare una diffusione superficiale degli atomi di potassio; questi si sposteranno lateralmente dalla “pila” che hanno creato, levigando efficacemente il dendrite. “Con questo approccio, l’idea è utilizzare un sistema di gestione – di notte o ogni volta che non si utilizza la batteria – che applichi  questo calore locale causando l’autorigenerazione”. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su PNAS (testo in inglese).

 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.