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Idrogeno verde, la visione integrata di Saipem

Grande promessa della rivoluzione energetica mondiale, l'idrogeno rappresenta oggi uno dei pilastri della strategia di “transizione energetica” adottata da Saipem. La società accelera sullo sviluppo di tale vettore energetico tramite nuove tecnologie, accordi internazionali e una visione a lungo termine

prometeo idrogeno verde
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(Rinnovabili.it) L’idrogeno e il settore energetico hanno condiviso quasi 200 anni di storia. Dal primo motore a combustione interna, progettato da Francois de Rivaz nel 1806, al moderno impiego nell’industria della raffinazione. Un passo a due che si muove oggi nel contesto più ampio della transizione ecologica. L’idrogeno verde è stato incoronato, infatti, come uno dei vettori cardine della decarbonizzazione mondiale, conquistando strategie politiche e piani aziendali. Al punto da poter contare, attualmente, almeno 50 obiettivi nazionali, mandati e incentivi politici a supporto diretto.

Ma quali sono le reali prospettive di sviluppo nel breve termine? In che modo l’idrogeno può veicolare il passaggio verso le zero emissioni? Quali sono i progetti e le applicazioni più promettenti a livello nazionale e internazionale? Una risposta concreta arriva da quelle realtà che hanno già iniziato a lavorare con questo elemento, privilegiando un approccio di sviluppo fortemente integrato a livello energetico e industriale. Realtà come l’italiana Saipem che ha messo al servizio della energy transition i suoi 60 anni di esperienza globale nell’oil&gas e le competenze maturate nel trattamento dell’idrogeno. 

La società è passata dall’operare come contractor nel comparto petrolifero ad essere un fornitore globale di servizi e soluzioni nel settore dell’energia e delle infrastrutture per affrontare le nuove sfide della decarbonizzazione. Nel modello di business di Saipem, l’idrogeno, verde e blu, è parte degli strumenti innovativi proposti ai clienti per accompagnarli nel percorso di riduzione dell’impronta carbonica ed ambientale delle loro attività.

Grigio, verde, blu: di che colore sarà l’idrogeno di domani?

Leggero, immagazzinabile, ad alta densità energetica, privo di emissioni dirette di inquinanti o gas a effetto serra. Sulla carta l’idrogeno (H2) ha buone credenziali. Tuttavia, pur essendo l’elemento chimico più abbondante dell’Universo, impiegarlo ai fini della transizione energetica non è semplice. E la prima difficoltà si incontra nella sua produzione. Attualmente il sistema più diffuso è lo Steam Reforming che prevede l’estrazione dell’H2 a partire da idrocarburi, principalmente metano. Il risultato è quello che in gergo viene definito idrogeno grigio. Rispetto agli altri metodi più “virtuosi”, ha il minor costo, con una media di circa 1,50 euro al kg e un cost driver fortemente connesso al prezzo del gas naturale. Di contro possiede una quota emissiva di anidride carbonica (CO2) che lo penalizza ai fini del percorso verso l’obiettivo net zero CO2 entro il 2050 (1kg di H2 prodotto in questo modo produce circa 9kg di anidride carbonica).

Il processo produttivo più ecologico, ma ad oggi anche il più caro, è l’elettrolisi dell’acqua. La reazione richiede un certo quantitativo di energia elettrica per rompere le molecole di H2O e rilasciare idrogeno e ossigeno. Quando l’elettricità impiegata proviene esclusivamente da fonti rinnovabili come il sole o il vento, il prodotto finale si qualifica come idrogeno verde, per indicare la completa assenza di emissioni di CO2. In Europa il costo si aggira mediamente tra i 3,2 e 7,4 (fonte: Hydrogen Europe) euro al kg, in parte determinato dal costo degli elettrolizzatori, e soprattutto (circa il 70%) da quello dell’elettricità rinnovabile. L’Outlook dei costi di elettrolisi sta rapidamente scendendo per effetto scala e per shift tecnologici.

Tra le due opzioni emerge una via di transizione, il cosiddetto idrogeno blu. Estratto, al pari del grigio, da fonti fossili, il combustibile riceve una classificazione diversa grazie all’impiego integrato di tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 che rendono il bilancio emissivo quasi neutro. Il costo medio dell’H2 blu occupa una posizione di mezzo rispetto al minimo offerto dallo steam reforming e al massimo dell’elettrolisi: circa 2-2,50 euro al kg. Il prezzo del gas rimane il cost driver principale, ma va aggiunto nel quadro anche la spesa per le tecnologie di CCS (carbon capture and storage). Tuttavia, per gli esperti di Bloomber New Energy Finance (BNEF), la diffusione di eolico e fotovoltaico, la progressiva riduzione del costo di produzione dell’energia rinnovabile (Levelized Cost of Energy, LCOE) per queste tecnologie, unitamente all’aumento del prezzo della CO2 permetterà all’idrogeno verde di divenire la scelta più competitiva in molti mercati entro il 2030.

Hydrogen economy, tra esigenze attuali e potenzialità future

Attualmente la fornitura di questo prodotto agli utenti industriali rappresenta già un’opportunità attraverso l’ibridizzazione dei complessi industriali esistenti, dove esiste già un’infrastruttura dedicata all’idrogeno. Nel mondo è già impiegato in campo chimico, nella sintesi ad esempio di ammoniaca, metanolo e nella raffinazione; ed in futuro in quello metallurgico per la produzione di acciaio, grazie a nuove soluzioni tecnologiche per la riduzione diretta del minerale di ferro. Esiste dunque una consistente domanda globale che è cresciuta di oltre tre volte dal 1975 a oggi (dati IEA).

Ognuno di questi segmenti rappresenta un’opportunità per far avanzare il processo di decarbonizzazione attraverso l’impiego di idrogeno verde. L’idrogeno offre un’interessante opportunità in tutti quei comparti dove l’elettrificazione dei consumi appare un’opzione complessa, settori hard to abate, sia come feedstock (raffinazione, siderurgia, ecc.) sia come vettore, come ad esempio i mezzi pesanti e trasporti su lunghe distanze. Inoltre, l’idrogeno può offrire maggiore flessibilità e capacità di stoccaggio di lungo termine per il settore elettrico, migliorando la sicurezza degli approvvigionamenti.

L’idrogeno nella strategia Saipem

Saipem, forte anche della grande esperienza maturata sull’intera catena del valore dell’H2 in ambito petrolchimico e della produzione di fertilizzanti, ha deciso di puntare sull’idrogeno verde e blu. La società annovera già la realizzazione di 65 impianti in cui questo prodotto viene generato da idrocarburi, in maniera diretta o come sottoprodotto secondario. Competenze specifiche, know-how tecnico e capacità di innovare sono ora al servizio della transizione ecologica.

L’attenzione è attualmente focalizzata sulla domanda di mercato e sull’integrazione con la produzione elettrica rinnovabile o con le soluzioni di cattura dell’anidride carbonica (CCS). Con focus sulle tecnologie di generazione – tramite collaborazione con fornitori di elettrolizzatori – di trasformazione, stoccaggio e di trasporto dell’H2 verde. L’obiettivo è rendere l’idrogeno verde competitivo e quindi utile nel percorso di decarbonizzazione fornendo soluzioni che si sposino fin da subito con le esigenze del mondo industriale ed energetico. A ciò si associa una continua attività di scouting per individuare le migliori innovazioni da portare sul mercato.

AMMONIACA GREEN – Una delle applicazioni più promettenti sono gli impianti ibridi per la produzione di ammoniaca e urea verdi. L’ammoniaca è un composto chimico richiesto da molteplici mercati. Sintetizzata a partire da idrogeno e azoto, trova applicazione in numerosi settori come quello fitosanitario, plastico, farmaceutico, tessile e cartario. In questo contesto Saipem ha messo a punto soluzioni di ibridizzazione impiantistica per integrare l’elettrolisi dell’acqua ai processi tradizionali. E ottenere in questo modo un’ammoniaca a basso impatto emissivo, da utilizzare sua volta per la sintesi di urea green. 

POWER-TO-H2 – Tra le aree chiave della strategia societaria c’è anche la tecnologia Power-to-H2, ossia la conversione dell’elettricità proveniente da rete, parchi eolici o fotovoltaici in idrogeno verde. Una volta compresso, attraverso stazioni realizzate ad hoc, l’idrogeno si presta a diversi utilizzi: può essere stoccato, iniettato nella rete del gas, oppure inviato a distretti industriali di prossimità (acciaierie, impianti petrolchimici, ecc.). E, perché no, anche imbarcato per raggiungere destinazioni lontane.

Gli ultimi impegni assunti in questo campo? Il Memorandum of Understanding (MoU) firmato con Alboran Hydrogen. La collaborazione ha l’obiettivo di proporre e realizzare nuovi impianti nel bacino mediterraneo per la produzione di idrogeno verde. Tre di questi saranno in Italia, più precisamente nei territori di Brindisi, Taranto e Foggia, per lo sviluppo e la creazione di un distretto dell’idrogeno (Hydrogen Valley). L’obiettivo è creare un’ecosistema integrato in cui lo stimolo della domanda e dell’offerta agevoli lo sviluppo delle filiere industriali. Il tutto in una regione, la Puglia, favorita dalla risorsa rinnovabile e dove è presente una legislazione che promuove lo sviluppo di iniziative per la produzione di idrogeno verde; i progetti pugliesi vedranno il coinvolgimento del Distretto Tecnologico Nazionale dell’Energia, l’Università La Sapienza, l’Università del Salento e la Cittadella della Ricerca di Brindisi.  

DISTRETTI ENERGETICI – Nel contesto “produzione” si inserisce anche il progetto AGNES, uno dei più grandi Hub energetici verdi del Vecchio Continente. Concepito in collaborazione con Quint’x, AGNES rappresenta la prima iniziativa su larga scala in Italia ed in Europa che integra fonti rinnovabili e H2. Il progetto sorgerà a largo di Ravenna con l’obiettivo di creare un distretto energetico marino che unisca la generazione di energia rinnovabile ed impianti per la produzione di H2 sulla costa e in mare, riconvertendo alcune piattaforme offshore al termine della vita utile per installare elettrolizzatori.

Il progetto prevederà la gestione in parallelo di significative quantità dell’ossigeno; prodotto che potrà essere impiegato per ulteriori applicazioni industriali e la componentistica non, massimizzando l’applicazione del concetto di economia circolare. Saipem svolgerà un ruolo di project leader del progetto, partendo dallo sviluppo con un partner fino alla realizzazione, mentre sarà fornita da aziende specializzate, con cui l’azienda collabora da tempo. A regime l’Hub conterà 65 turbine eoliche da 8 MW l’una, un impianto fotovoltaico flottante da 100 MW, per una capacità complessiva di 620 MW, e un parco di elettrolizzatori in grado di produrre 4.000 tonnellate di idrogeno l’anno.

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INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO – Far incontrare l’offerta con la domanda nella maniera più rapida possibile è un passaggio essenziale. Ecco perché Saipem sta studiando anche soluzioni tecniche per il trasporto dell’H2, liquido o gassoso, puro o in miscela, in reti esistenti e di nuova concezione o via nave. E i primi risultati si possono già toccare con mano. Moss Maritime, azienda norvegese controllata da Saipem e specializzata in ingegneria navale, assieme a Equinor, DNV-GL e Wilhelmsen ha realizzato un nuovo design navale per il bunkeraggio dell’idrogeno liquefatto (LH2). Forte dell’esperienza maturata sugli LNG carrier, l’innovativa imbarcazione è in grado di trasportare 9.000 m³ di idrogeno liquido a una temperatura di -253°C. Ovviamente con le massime prestazioni di isolamento e altissimi requisiti di sicurezza.

In Italia, invece, il Gruppo ha firmato un accordo con Snam che prevede, tra le altre cose, di collaborare su studi di fattibilità finalizzati all’individuazione di nuove soluzioni per il trasporto di idrogeno sia attraverso l’utilizzo e l’adeguamento di infrastrutture e reti esistenti che mediante trasporto con mezzi navali.

X-HUB – Attraverso la sua divisione XSIGHT, il Gruppo sta sviluppando X-HUB, un tool digitale dedicato alla valutazione della fattibilità tecnico-economica dei futuri distretti energetici; in particolare quelli che mixano diverse tecnologie e fonti. Nel dettaglio, il programma impiega l’intelligenza artificiale per discriminare la qualità di diverse soluzioni, definendo modelli di ‘isole energetiche’ adatti al contesto e territorio che li dovrà ospitare. XHUB definisce altresì la migliore tecnologia e modalità di trasporto del vettore a seconda della location dell’impianto e della logistica.

FUEL CELL – Spingendo un po’ più in là lo sguardo, la strategia societaria sull’idrogeno verde punta ad includere anche le nuove tecnologie per la mobilità. Nel complesso il settore presenta ancora diverse sfide tecniche, nonostante il comparto dell’automotive abbia già messo su strada alcuni veicoli a fuel cell. Tuttavia, per i trasporti su lunghe distanze, il vettore offre degli innegabili vantaggi rispetto all’elettricità, che fanno sempre più gola al settore navale, aereo e del trasporto merci su gomma.

POWER-TO-X – Evoluzione del Power-to-H2, la tecnologia Power-to-X implica un ulteriore trasformazione per l’idrogeno per la produzione, ad esempio di metanolo, etilene, propilene o cherosene. Passaggi, quest’ultimi, che si prestano ad un ulteriore sviluppo tecnologico: la valorizzazione della CO2 catturata con tecnologie CCUS. Soluzioni di sequestro, stoccaggio o riutilizzo del carbonio sono da tempo parte integrante del business Saipem. Ecco perché su un’ottica di lungo periodo, la società intende anche valutare un possibile “riciclo” del biossido di carbonio assieme all’idrogeno, al fine di creare una catena del valore circolare.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
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Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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