Votare si per uscire dal “petrolitico”

      Nei prossimi trenta anni ci sarà una grande disponibilità di petrolio e nessun compratore. Il petrolio sarà lasciato sotto terra. L’età della pietra non finì perché ci fu una mancanza di pietre, così l’età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio. Sceicco Ahmed Zaki Yamani.   Quello del 17 aprile  non è […]

 petrolio

 

 

Nei prossimi trenta anni ci sarà una grande disponibilità di petrolio e nessun compratore. Il petrolio sarà lasciato sotto terra. L’età della pietra non finì perché ci fu una mancanza di pietre, così l’età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio.

Sceicco Ahmed Zaki Yamani.

 

Quello del 17 aprile  non è un referendum contro una norma che prolunga la concessione a qualche impianto di estrazione di idrocarburi.

Quello del 17 aprile è un referendum fra due visioni contrapposte del nostro futuro.

Una, quella del fronte del NO o dell’astensione, che non riesce a vedere un futuro senza i fossili in una edizione trogloditica della sindrome di Stoccolma (che porta ad amare i propri carnefici), ed è rassegnata a rimanere  in un’era fossile che ormai possiamo definire il “petrolitico” e così facendo condanna il nostro paese ad un futuro fossile che guarda al passato e quella di chi. come noi sostenitori della Terza Rivoluzione industriale e della visione rifkiniana dell’economia, crede in un futuro solare, in una moderna economia digitale e della condivisione, circolare e collaborativa, e in un futuro senza fossili.

I sostenitori del “petrolitico” stanno facendo girare da un po’ di tempo sul web una specie di decalogo pro-trivelle mascherato da post “spontaneo” di personaggi che si presentano come “ambientalisti critici”, ma in realtà, a una ricognizione più approfondita si rivelano legati all’industria fossile, interessati a seminare dubbi e false affermazioni sul senso e le implicazioni “reali” del referendum del 17 aprile.

Questi post rivelano una regia comune. Infatti al netto di considerazioni iniziali e finali adattate da ciascuno scrivente, si rivelano struttura e argomenti simili, quando non proprio identici. Si tratta di argomentazioni in fotocopia, spacciate come riflessioni originali, ma che in realtà vengono tutte dallo stesso ufficio stampa e comunicazione di qualche gruppo fossile.

 

La sequenza degli argomenti è grossomodo questa:

1) Gli impianti soggetti a referendum sono per lo più di metano (buono) e non petrolio (cattivo);

2) Se non prolunghiamo le concessioni verranno costruiti nuovi impianti

3) Se non prolunghiamo le concessioni avremo più petroliere a forte rischio di incidenti

4) Le rinnovabili sono il futuro ma per ora non sono sufficienti;

5) Le nuove trivelle sono meno impattanti e più rispettose della natura;

6) Le trivellazioni non disturbano il turismo;

7) Le estrazioni di idrocarburi non provocano terremoti

8) Se non facciamo estrarre idrocarburi da noi le compagnie andranno a inquinare il terzo mondo;

9) Se non trivelliamo noi trivelleranno i croati

10) Il referendum è dovuto alla smania di protagonismo regioni (“i governatori” dicono alcuni);

 

In alcuni casi possono mancare uno o due di questi argomenti speciosi, mentre in altri si possono addirittura trovare divertenti dissertazioni piattaforme come habitat ideale per nuove varietà di vongole e cozze (fossilmitili?… :), o sul turismo supplementare indotto dalle piattaforme (il famoso “TRIV ADVISOR” di Greenpeace).

Tali argomenti fino a ieri confinati alla rete, cominciano a trovare diritto di cittadinanza anche in televisione, come recentemente a Bersaglio Mobile su La7. Questa trasmissione da un lato ha avuto il merito di rompere l’assordante silenzio che (in una chiara strategia di far saltare il quorum) circonda il referendum del 17 aprile, ma dall’altro ha praticamente permesso che tutto questo cumulo di ben confezionate sciocchezze “pro triv” venisse espresso da parte di dove i “trogloditi del petrolitico”  dalle competenze discutibili e dall’ancora più discutibile onestà intellettuale, praticamente senza alcun contraddittorio effettivo. A tali argomenti speciosi è stato già risposto con due magistrali articoli da Andrea Boraschi di Greenpeace .

 

In questo articolo mi interessa solo confutare in chiave positiva (ossia proponendo il nuovo scenario  possibile e non solo contrastando quello vecchio ormai inservibile) alcuni dei falsi argomenti che cominciano a emergere nel dibattito televisivo in vista del referendum e sui quali ognuno degli attivisti del SI deve essere in grado di replicare con efficacia e competenza, per evitare che le balle del NO catalizzino un facile consenso disinformato e ideologico.

 

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Argomento 1)

Il referendum non riguarda estrazioni petrolifere ma principalmente di gas, e il gas è un combustibile “pulito” e buono per la transizione.

Commento: Qui c’è un grandissimo equivoco di fondo. È vero che il metano contiene meno anidride carbonica degli altri carburanti da riscaldamento e da autotrazione (CH4, in pratica una parte di CO2 per ogni 4 parti di idrogeno). Ma questo è vero solo se il metano viene bruciato. Se invece viene immesso in atmosfera direttamente il suo impatto climatico è devastante. Infatti esso produce un effetto serra dalle 25 alle 30 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Oggi bisogna mirare a decarbonizzare il modello energetico, non ad abbassarne il contenuto di carbonio. La metanizzazione della produzione energetica andava bene fino a 20 anni fa. Chi la propone oggi ha venti anni di ritardo rispetto alla tecnologia che permette ormai di sfruttare la radiazione solare istantanea facendo massa critica sulle tecnologie di Terza Rivoluzione Industriale. Le rinnovabili, l’idrogeno, le smart grid, sono a costo marginale zero (il sole e il vento, a differenza dei fossili, sono gratis).

A differenza da quanto affermato da i sostenitori delle trivelle, di metano ne abbiamo già fin troppo. Non sappiamo più che farcene. Abbiamo le centrali a turbogas di Sorgenia, ENEL, Edipower, che funzionano alla metà della loro capacità produttiva . Siamo in overcapacity di 24 GW della nostra capacità produttiva. Abbiamo una potenza installata per 78,7 GW ma abbiamo una domanda di 53,9 GW. Significa che abbiamo centrali a turbogas di troppo per 24,8 GW (il 40% di troppo!!!)

 

E questi non sono dati di qualche sfegatata organizzazione ambientalista, ma di TERNA. Abbiamo addirittura visto scene deprimenti, come i potentissimi leader del mercato fossile, quelli che facevano gli splendidi quando volevano installare ancora 4 centrali nucleari (per fortuna stroncate dal referendum del 2011), squagliarsi e mendicare il “capacity payment” (un aiuto di stato su cui si è appuntata evidentemente anche l’attenzione della Commissione Europea perché in preda ad un “infoiamento fossil-finanziario”, per vent’anni hanno continuato a investire anziché in rinnovabili a costo marginale zero, in inutili centrali a turbogas dal costo marginale altissimo, e hanno investito soldi che non avevano, che i adesso non ce la fanno a restituire alle banche che  gli li hanno incautamente prestati ottimistici business plan credendo a business plan irrealistici che sono stati contraddetti dalla realtà del mercato e dell’esplosione delle rinnovabili. Ricordate la vicenda di Sorgenia del gruppo de Benedetti, e l’improvviso favore del gruppo L’Espresso Repubblica verso il turbogas? In altre parole il sistema basato sugli idrocarburi è arrivato al capolinea, messo in crisi dalle energie rinnovabili a costo marginale zero che coprono a costo zero il picco della domanda di energia nelle ore centrali del giorno facendolo scendere addirittura a zero per determinate ore di determinate giornate, e tutto ciò nonostante i provvedimenti ammazza-rinnovabili e incoraggia fossili di tutti i governi negli ultimi 8 anni (si chiama MOE o Merit Order Effect). Tutto questo ci porta direttamente al prossimo punto!

 

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Argomento 2)

Le rinnovabili sono insufficienti a coprire il fabbisogno nazionale, e inoltre sono discontinue (il sole e il vento non ci sono sempre!) e in più sono costose. Bisogna investire in ricerca ma non nella loro installazione, perché impattano sul territorio e sul mare.

Nulla di più sbagliato. Come abbiamo cominciato a vedere, la potenza del sole (in tutte le sue forme e tutte le tecnologie disponibili), è incontenibile e devastante per il vecchio ordine energetico.

Infatti il sole e le tecnologie che su di esso si basano forniscono una fonte di energia pulita e compatibile con le leggi della termodinamica (niente inquinamento, niente impatto climatico) e non solo, si tratta anche di una energia ECONOMICAMENTE CONVENIENTE, perché a costo marginale zero (si pagano solo gli impianti e non l’approvvigionamento di carburante per l’intero ciclo di vita dell’impianto energetico)

Ecco che cosa terrorizza i trogloditi del petrolitico!

Ecco perché cercano in tutti i modi di ostacolare le rinnovabili (imposizione di tassazioni assurde tipo gli oneri di sistema sull’autoconsumo, decreti spalma incentivi, tassazione scoraggiante, burocrazia inimmaginabile per un paese civile (in Italia per un impianto fotovoltaico ci vogliono 125 adempimenti, in Germania 2).

 

Quanto alla discontinuità delle fonti rinnovabili, nessuno può negarla. Ma ci sono tecnologie che permettono di superarla con grande efficacia (il cosiddetto storage, che comprende non solo batterie di nuova generazione ma anche e soprattutto le tecnologie dell’idrogeno, che permettono di accumulare l’elettricità rinnovabile in modo naturale e conforme ai processi naturali, con una perdita termodinamica. Sia chiaro che una trasformazione energetica che non comporti una perdita termodinamica non esiste (è la seconda legge della termodinamica, meglio conosciuta come “entropia”). Ma con il combinato rinnovabili/idrogeno questa perdita è di gran lunga inferiore a quella delle conversioni energetiche basate sull’energia fossile.

Ma evidentemente chi va in televisione a dire che “il problema del fotovoltaico è che di notte non può funzionare” non ha mai sentito parlare di tecnologie di accumulo, e continua a imputare alle rinnovabili accuse di gran lunga superate, da perfetto troglodita del “petrolitico”.

Sulle tecnologie dell’accumulo di energia da fonti rinnovabili, altri paesi più progrediti di noi (guarda caso la Germania) hanno sviluppato ricerca e sistemi di incentivi che noi, Paese del sole (ma purtroppo anche dei governi fossili) nemmeno ci sogniamo (vedere programma Enertrag nota 2).

 

Infine questa storia dell’impatto delle rinnovabili sul territorio va ricontestualizzata. Da anni, noi che sosteniamo la Terza Rivoluzione Industriale, insistiamo per un cambio di modello energetico da centralizzato a distribuito.

Per favorire le economie di scala dell’energia solare e portarle a regime per tutti (e non solo per i grandi gruppi energetici) bisogna superare il modello fossile centralizzato in cui le economia di scala si ottengono secondo principi verticistici con grandi impianti e grandi centrali.

Questo modello centralizzato è esattamente il contrario di quello che serve per ottenere economie di scala da una fonte diffusa come il sole.

Il modello da seguire per l’introduzione sul mercato delle fonti rinnovabili deve essere dunque laterale e distribuito e non centralizzato e verticalmente integrato.

I grandi parchi eolici, le grandi centrali fotovoltaiche da decine di megawatt, pur essendo impianti non emissivi di CO2, rimangono operazioni puramente speculative permesse da un generoso sistema di incentivi applicato allegramente (per non dire di peggio) da regioni corrotte sul cui comportamento sta giustamente indagando la magistratura. Ma non si può gettar via il bambino con l’acqua sporca. Imputare le rinnovabili perché in qualche caso ci sono stati dei comportamenti disonesti, è come voler chiudere tutte le pizzerie solo perché c’è stato il coinvolgimento della mafia nella “Pizza Connection”. Del resto le attività criminali sono interessate a tutti i grandi progetti, ma in un modello distribuito l’interesse della mafia non c’è più perché i grandi progetti non esistono più. La mafia non si interessa al tuo 3 kW sul tetto!

 

Imputare poi alle fonti rinnovabili di essere impattanti da parte di sostenitori del fossile è un classico caso di bue che dice cornuto all’asino, e ci sarebbe da ridere se non fosse che purtroppo invece il modello fossile continua a mietere vittime nella popolazione civile inerme, a Taranto, come a Gela, come a Savona, come in tutti gli altri scellerati insediamenti industriali che hanno deturpato la bellezza del paesaggio italiano, la qualità dell’ambiente e la salute dei cittadini in modo ben più grave di qualche torre eolica e di qualche (pur deprecabile) parco fotovoltaico.

 

Nella seconda rivoluzione industriale per sfruttare il petrolio e le altre fonti fossili concentrate, sono nati grandi gruppi finanziari verticalmente integrati che hanno centralizzato anche tutta la ricchezza creando un mondo estremamente diseguale in cui la ricchezza si concentra nelle mani delle 60 persone più ricche del mondo mentre 4 miliardi di persone vivono al di sotto di quella che l’ONU considera la soglia di povertà, e ogni 3 secondi muore un bambino per malattia legate alla mancanza di cibo e di risorse.

Il Papa al riguardo parla di “economia che uccide.  Nella Terza Rivoluzione Industriale il reddito fluisce in modo distribuito a tutti gli esseri umani, perché la tecnologia permette a tutti gli esseri umani di diventare produttori consumatori di energia rinnovabili, di servizi (pensiamo alla distribuzione, allo stoccaggio con l’idrogeno e alla sensoristica e alla domotica per l’uso efficiente dell’energia, alla guida driverless satellitare, all’internet delle cose). A questo punto è chiaro che stiamo parlando non solo di un nuovo modello energetico ma proprio di un nuovo modello di società che rimette in gioco l’individuo, la comunità e la piccola e media impresa, un modello di società ad altissima intensità di lavoro e a molto più bassa intensità di capitali di quello fossile. Pensiamo a quanti milioni di cittadini possono entrare nel mercato non solo dell’energia ma anche della produzione grazie alla manifattura digitale e alla stampa 3D che abbassa la soglia di accesso e porta una speranza di reddito, di lavoro e di vita per milioni di persone in tutto il mondo. Significativamente Rifkin ne “La società a costo marginale Zero” parla di avvento dei Prosumer (Rifkin- La società a costo marginale zero vedere nota 1), consumatori diventati produttori in proprio, che generano e condividono su scala laterale e paritaria informazioni, automobili, case, vestiti e altri oggetti attraverso i social media corsi gratuiti online (MOOCs), intrattenimento, energia verde e prodotti realizzati con la stampa 3D a costi marginali quasi nulli. E, quello che è più importante evitano l’establishment bancario attraverso il crowdfunding per finanziare attività ecologicamente sensibili in una nuova economia che utilizza monete alternative.

 

petrolio2Infine fa ridere l’argomento della ricerca. Dov’erano i sostenitori dell’argomento “le rinnovabili non sono pronte per il mercato, io sono per la ricerca sulle rinnovabili”, mentre il 98 % dei fondi di ricerca venivano attribuiti all’energia fossile e a quella nucleare? Perché non hanno invocato allora il finanziamento della ricerca sull’energia solare, rimasta la cenerentola di tutti gli investimenti? Adesso che nonostante tutto, le tecnologie rinnovabili si dimostrano comunque in grado di fare massa critica in una economia moderna, e anche di abbassare il costo dell’energia, bisogna difenderne la loro penetrazione sul mercato contro gli assurdi ostacoli burocratici tecnici e finanziari che questo governo fossile si inventa in continuazione e non brandire l’argomento ricerca in modo tardivo e strumentale. Questo naturalmente non significa che non ci sia bisogno di investire ancora nella ricerca per le tecnologie rinnovabili. C’è ancora tanto da sperimentare per il fotovoltaico organico, i sistemi integrati di idrogeno (elettrolizzatori + fuel cell) gli accumulatori a idruri metallici o a nanotubi, le smart grid, e tanto tanto altro, che forse non renderà ultra ricchi un pugno di speculatori finanziari internazionali ma può donare la sovranità energetica alle popolazioni del Burkina Faso o dell’Amazzonia Peruviana… Ecco parliamo di questo prima di lanciarci in funamboliche filippiche contro il (presunto) costo ambientale delle rinnovabili che comunque hanno una produttività economica per unità di capitale impiegato di gran lunga superiore ai fossili e migliaia di volte superiore al nucleare.

 

 

Argomento 3)

Improvvisa interruzione del 60% – 70% delle forniture energetiche del Paese. Cito testualmente:in pratica con già tutte le strutture fatte, i tubi posati sul fondo del mare e senza dover fare nessuna nuova perforazione, saremmo costretti a chiudere i rubinetti delle piattaforme esistenti da un giorno all’altro rinunciando a circa il 60-70% della produzione di gas nazionale (gas metano stiamo parlando e non petrolio). Non potendo da un giorno all’altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gassiere e petroliere)nei nostri mari, alla faccia dello spirito ambientalista che anima i comitati promotori e con sostanzioso impatto sulla nostra bolletta energetica.

Questa visione apocalittica delle conseguenze del referendum è talmente ridicola e caricaturale che c’è da chiedersi se ci fanno o ci sono. Penso che nessuno meglio degli amici di ASPO Italia possa rispondere a questi allarmismi ingiustificati. In un articolo firmato da Dario Faccini, si legge “Gli allarmismi che circolano in rete su una perdita “da un giorno all’altro” del 60-70% della produzione di gas naturale, in caso vincano i “si” al referendum del 17 Aprile, sono esagerati.

Innanzitutto la maggior parte della produzione di gas in Italia è a terra (34%) o in mare oltre le 12 miglia (36%).

La tempistica sarebbe poi dilazionata nei prossimi anni, sia tra le concessioni già scadute (hanno da tempo richiesto una proroga che verrà probabilmente loro concessa in ogni caso) che pesano per circa il 9% della produzione di gas, sia tra le concessioni che scadranno d’ora in poi (le uniche a subire un eventuale effetto del referendum) che pesano ora per circa il 17,6% del gas e circa il 9% del petrolio prodotti. Queste percentuali vengono ridotte di un fattore 10 se si considerano i consumi nazionali, anziché la produzione.

Complessivamente le percentuali citate corrispondono all’anno sui mercati a circa 360 milioni di dollari di gas naturale e a 180 milioni di dollari per il petrolio.

Le perdite produttive imputabili ad una eventuale vittoria dei si, sarebbero del tutto trascurabili a livello continentale ed internazionale, e non produrrebbero quindi una variazione sensibile nei mercati dei prezzi del gas o del petrolio. E’ quindi difficile pensare ad una ripercussione sui prezzi praticati al consumatore italiano.”

 

Ma aldilà dei catastrofismi strumentali, questo atteggiamento “gasocentrico” della visione energetica nazionale tradisce un atteggiamento mentale “fossile” che impedisce di vedere che il mondo sta andando in un’altra direzione, senza fossili e con la messa a regime delle rinnovabili di Terza Rivoluzione Industriale. E anche noi faremmo bene a accelerare sulla via di questa transizione epocale che impiegherà decenni.

In caso di vittoria del SI, gli impianti non verranno chiusi “dall’oggi al domani” ma secondo i tempi previsti dalle loro concessioni senza nessuna proroga, come è legale e giusto che sia. Stiamo parlando di anni e anni, durante i quali c’è tutto il tempo di accelerare la transizione verso un regime economico basato sulle rinnovabili, come sta già avvenendo in molti paesi d’Europa (guarda caso i più ricchi, Francia, Germania, Austria Danimarca. Nel Nord Pas de Calais esiste addirittura un assessorato alla Terza Rivoluzione Industriale che ha già creato decine di migliaia di posti di lavoro nell’economia circolare, la Sharing Economy, le rinnovabili distribuite. In effetti per ogni posto di lavoro perso nel “petrolitico fossile” se ne creano a centinaia nel futuro rinnovabile della Terza Rivoluzione Industriale.

 

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Argomento 4)

Gli impianti messi in questione da questo referendum sono sicuri e produttivi e i disastri li producono le petroliere non le piattaforme off shore, in 50 anni ci sono stati soltanto 3 incidenti e il settore dell’impiantistica italiana è una eccellenza che non dobbiamo far morire come abbiamo fatto morire il settore nucleare per motivi puramente “ideologici”etc.

Ebbene si, per quanto possa sembrare,  c’è ancora gente che va in giro a fare affermazioni assurde di questo tipo.

Potrei cavarmela con una battuta e dire che anche il settore delle rinnovabili italiano era un eccellenza, eppure è stato distrutto in modo insensato da un giorno all’altro, senza che nessuno di questi soggetti che dicono di “volere un mondo più pulito” (tipo alcuni sostenitori del NO al referendum anti trivelle) abbiano mosso un dito per difendere il settore, anzi se ne sono compiaciuti e hanno di fatto appoggiato la sua distruzione.

E sempre per cavarmela con una battuta potrei dire che tutti gli impianti, sono sicuri fino a che l’incidente non si verifica.

Anche Fukushima era considerato sicuro fino a quel drammatico 11 marzo 2011 quando un’onda anomala alto 15 metri scavalcò le barriere anti tsunami alte solo 10 metri e allagò le camere dei generatori diesel per il pompaggio continuo di acqua refrigerata sulle barre di uranio esaurito che esplosero generando il più grave disastro ecologico del mondo con conseguenze sulla fauna e la vegetazione terrestre e marina che sono al momento ancora impossibili da valutare sia per la pericolosità delle operazioni di analisi in zona contaminata, sia per l’interesse a non divulgare notizie allarmanti da parte delle autorità e della TEPCO. Affermare che non costruire le centrali nucleari in Italia sia stato un errore sorvola sul fatto che da 30 anni stiamo cercando di “spegnere” le 3 centrali nucleari che avevamo messo in funzione e siamo costretti a “mantenerli in vita” e questo non è una giustificazione alla costruzione di nuove centrali nucleari, ma semmai è un aggravante che dimostra che il nucleare è “per sempre”, se vogliamo parafrasare una nota pubblicità.
Invece dovremmo ringraziare il fatto che nella nostra storia abbiamo avuto solo 3 centrali nucleari e non siamo caduti, grazie al risultato del referendum del 2011, nella trappola del “nucleare sicuro” che riguarda sempre la prossima tecnologia, a dimostrazione del fatto che il “nucleare sicuro” è un ossimoro e non esiste.

 

Purtroppo ancora oggi ci sono posizioni ridicole come quella di chi afferma che acquistiamo energia prodotta con il nucleare dalla Francia, e non si rende conto che lo facciamo NON perché non abbiamo capacità produttiva ma solo perchè i francesi hanno voluto seguire la strada della “indipendenza energetica” del nucleare e adesso sono diventati dipendenti da uranio e plutonio e non possono più spegnere i reattori e si ritrovano a dover produrre a tutti i costi e a dover svendere l’energia elettrica di notte (o alternativamente a doverla “buttare”). Quindi l’acquisto dalla Francia avviene solo per motivi speculativi, mentre noi siamo già in sovra-capacità di più del doppio dell’energia elettrica che consumiamo con le nostre centrali convenzionali.
E continuiamo a sentire l’argomento ridicolo del “siamo circondati da centrali nucleari” come motivo per giustificare la costruzione da parte nostra di centrali dello stesso tipo (argomento analogo a quello secondo cui se non trivelliamo noi in Adriatico, lo faranno i croati – a proposito i Croati non trivellano più – recentemente rispolverato da Romano Prodi (la cui società di consulenza Nomisma è evidentemente sotto contratto con qualche gruppo fossile).

In pratica secondo le persone che sostengono questa tesi non c’è differenza se un petardo scoppia ad 1 metro di distanza da loro o se gli scoppia in mano. Siccome la radioattività decade con il quadrato della distanza, avere le centrali in casa o averle fuori invece fa una certa differenza.

 

 

Conclusioni

La domanda non è tanto se gli impianti energetici che siano nucleari o fossili, siano sicuri, ma se non sia possibile andare oltre i fattori di rischio prevedibili e anche quelli imprevedibili.

E’ possibile insomma immaginare oggi che, con tutta l’energia che ci manda il sole, si debba continuare a fare energia con tecnologie che, se c’è un terremoto, una frana, un’eruzione, o uno tsunami, creano un’apocalisse?

Come afferma lo Sceicco El Yamani nella famosa frase riprodotta in epigrafe a questo articolo, che suggerisce un parallelo fra il periodo neolitico (età della pietra) e periodo “petrolitico” (età del petrolio), la tecnologia oggi ci permette di far fronte alle nostre necessità energetiche liberandoci gradualmente da tecnologie basate sugli idrocarburi.

Perchè continuare a investire nelle energie di un passato fossile solo per spremere le ultime gocce di idrocarburi utili solo a qualche gruppo fossile significa condannare l’Italia a rimanere nel passato mentre potremmo investire nella immensa forza della radiazione solare (15 mila volte superiore ai nostri consumi)  come già stanno facendo in Germania, Cina, Giappone, Stati Uniti avanzando a grandi passi verso la Terza Rivoluzione Industriale. La miopia dei nostri governanti ci condanna a una arretratezza che spaccia per progresso le “coltivazioni” di idrocarburi, e per inevitabile l’economia fossile. Quando ci sveglieremo sarà troppo tardi, e in una nuova economia digitale solare e circolare, di cui avremmo potuto essere i leader, ci ritroveremo ad essere gli ultimi e a dover fare i compratori di beni e servizi energetici di terza Rivoluzione Industriale dai tedeschi, gli americani, dagli arabi e perfino dai cinesi.

Questo è un referendum contro una idea fossile della nostra economia e per una nuova idea di società in cui il benessere del cittadino ritornano al centro dell’economia spodestando la logica del profitto che ha ispirato tutta l’era fossile, il “petrolitico”.

Si tratta di accelerare verso la Terza Rivoluzione Industriale sfruttando con intelligenza l’immensa forza del sole e lasciando gli idrocarburi  là dove sono, (come suggerisce la campagna di Greenpeace e del Guardian Keep it in the ground campaign, uscendo finalmente dal “petrolitico”(3).

 

NOTE

(1) http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/mar/31/capitalism-age-of-free-internet-of-things-economic-shift in cui Jeremy Rifkin sostiene che si sta affermando sul­la scena mondiale un nuovo sistema econo­mico. L’emergere dell’Internet delle cose sta dando vita al «Commons collaborativo», il primo nuovo paradigma economico a pren­dere piede dall’avvento del capitalismo e del socialismo nel XIX secolo. Il Commons colla­borativo sta trasformando il nostro modo di organizzare la vita economica, schiudendo la possibilità a una drastica riduzione delle di­sparità di reddito, democratizzando l’econo­mia globale e dando vita a una società ecolo­gicamente più sostenibile.
Motore di questa rivoluzione del nostro modo di produrre e consumare è l’«Internet delle cose», un’infrastruttura intelligente formata dal virtuoso intreccio di Internet delle comunicazioni, In­ternet dell’energia e Internet della logistica, che avrà l’effetto di spingere la produttivi­tà fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi sarà quasi azzerato, rendendo gli uni e gli altri praticamente gra­tuiti, abbondanti e non più soggetti alle forze del mercato.
Il diffondersi del costo margi­nale zero sta generando un’economia ibrida, in parte orientata al mercato capitalistico e in parte al Commons collaborativo, con ricadu­te sociali notevolissime.
Rifkin racconta come i prosumers, consuma­tori diventati produttori in proprio, genera­no e condividono su scala laterale e paritaria informazioni, intrattenimento, energia ver­de e prodotti realizzati con la stampa 3D a costi marginali quasi nulli. I prosumers con­dividono anche automobili, case, vestiti e altri oggetti attraverso i social media a co­sti marginali bassi o quasi nulli. Gli studen­ti si iscrivono a corsi gratuiti online (mooc) che funzionano a costi marginali quasi nulli. I giovani imprenditori sociali evitano l’establishment bancario attraverso il crowdfunding per finanziare attività ecologicamente sensi­bili in una nuova economia che utilizza mo­nete alternative.
In questo nuovo mondo il capitale sociale assume la stessa importanza del capitale finanziario, la libertà di accesso prevale sulla proprietà, la sostenibilità sop­pianta il consumismo, la cooperazione spodesta la concorrenza, e il «valore di scambio» nel mercato capitalistico viene gradualmente sostituito dal «valore della condivisione» nel Commons collaborativo.
(2) http://cleantechnica.com/2014/06/09/solar-energy-storage-system-market-germany-approaching-boom/
(3) http://www.theguardian.com/environment/series/keep-it-in-the-ground
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