I ricercatori italiani in prima linea per affrontare le problematiche legate al micro e nano inquinamento marino
L’inquinamento dell’ambiente marino è uno dei grandi problemi che l’uomo moderno ha dovuto e deve affrontare. Tutto prima o poi finisce in mare. Il ciclo dell’acqua, il grande fluido vitale del pianeta, comincia e finisce in mare concentrando in esso tutti gli inquinanti incontrati durante il suo lungo percorso.
Nuove forme di inquinamento, fino ad ora ancora troppo sottovalutate, sono finalmente oggetto di studio e mostrano scenari abbastanza inaspettati legati alle loro minuscole dimensioni. Le microplastiche e le nanoparticelle sono le nuove preoccupanti forme “invisibili” di inquinamento marino delle quali non si conosce ancora il reale destino ambientale. L’inquinamento marino da plastica è un problema che esiste da molto tempo. Sono circa 260 i milioni di tonnellate di plastica prodotti ogni anno, dei quali circa il 10 % finiscono in mare.
Circa l’80% dei rifiuti macroscopici in mare aperto e sulle coste è infatti costituito da rifiuti di plastica. Questi macro-rifiuti galleggianti (46.000 pezzi di plastica galleggianti in ogni miglio quadrato di oceano!) formano un vero e proprio “mare di plastica” responsabile, in un primo tempo, di una vera ecatombe di uccelli, rettili e mammiferi marini. Secondo i dati del WWF sono oltre 267 le specie marine che presentano nei loro stomaci rifiuti di plastica.
Sfortunatamente questi pezzi di plastica sono inevitabilmente destinati a degradarsi nell’ambiente marino frammentandosi in micro-particelle di dimensioni variabili tra gli 0,3 e 5 mm, le microplastiche, un problema di cui si è sempre parlato poco ma che sta finendo sotto la lente d’ingrandimento degli operatori di settore.
Secondo i primi dati della spedizione di monitoraggio “Méditerranée en ranger (M.E.D.)”, che ha interessato i litorali di Francia, Spagna e Nord Italia e che si protrarrà fino alla fine del 2013, nel nostro mare ci sono 250 miliardi di microparticelle di plastica per un totale di 500 tonnellate. La presenza di microplastiche nel mar Mediterraneo sta raggiungendo un livello allarmante: il valore medio di particelle di microplastica per metro cubo (> 0,36 particelle/m2) è simile a quello riscontrato nelle isole di spazzatura che galleggiano nell’Oceano Pacifico.
Questi microframmenti possono arrivare, attraverso la catena trofica, fino ai nostri piatti? Le microplastiche impattano pesantemente sul plancton e quindi, a cascata, sugli organismi marini che di esso si nutrono. In particolare, oltre ai piccoli organismi filtratori, anche i grandi cetacei sono minacciati da questi micro-inquinanti. La balenottera comune, uno dei più grandi filtratori al mondo di acqua marina, specie a rischio di estinzione, è risultata contaminata in modo preoccupante dagli “ftalati”, i derivati più nocivi della plastica che hanno la capacità di interferire sulle capacità riproduttive.
A questi risultati giunge il primo studio al mondo che ha verificato la presenza di microplastiche nel plancton e nelle balenottere, attraverso analisi tossicologiche effettuate su campioni di grasso sottocutaneo.
Lo studio tutto italiano appena pubblicato sulla rivista scientifica Marine Pollution Bulletin, finanziato dal Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare e condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Siena, ha evidenziato che il 56% dei campioni di plancton superficiale analizzato conteneva particelle di microplastica con un valore elevato di ftalati, additivi della plastica classificati come “distruttori endocrini” che vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei che si nutrono esclusivamente di plancton. Quattro delle balenottere comuni su cinque ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane avevano infatti elevate concentrazioni di queste sostanze nell’adipe sottocutaneo.
Le microplastiche però non sono le uniche particelle di piccole dimensioni che minacciano la salute dell’ecosistema marino.
In questi ultimi anni la capacità di manipolare la materia realizzando materiali e dispositivi di piccolissime dimensioni (nanotecnologia) ha prodotto una grande varietà di nanomateriali e nanoparticelle ingenerizzate utilizzate in diversi settori che appartengono ad una scala dimensionale nanometrica. Un nanometro corrisponde ad un milionesimo di millimetro cioè un miliardesimo di metro. Per farsi un’idea di cosa significhino tali infinitesime dimensioni basti pensare che un normale globulo rosso ha un diametro medio pari a 7000 nanometri (nm).
La particolarità di questo “nano-mondo” non è solo nella scala delle dimensioni, ma anche nelle proprietà dei nanomateriali completamente differenti da quelle possedute se considerati in scale dimensionali normali.
Alcune applicazioni concrete delle nanotecnolgie in ambito industriale esistono già, ad esempio, nella cosmesi, nelle vernici, nei tessuti tecnici e nell’abbigliamento, piuttosto che negli articoli sportivi, nei dispositivi fotonici, nella produzione di superfici autopulenti, nei micro-sistemi per la diagnostica medica, nelle celle fotovoltaiche vengono utilizzate nanoparticelle con proprietà peculiari presenti in più di 700 prodotti destinati al consumo ed utilizzo umano con una produzione in crescita pari a 3,6 bilioni di dollari all’inizio del 2010, che avrà inevitabili impatti economici mondiali stimati intorno ai 1,5 trilioni di dollari nei prossimi anni.
Il rapido sviluppo delle nanoscienze apre nuove prospettive di sviluppo anche nel settore ambientale. Le in potenzialità offerte dalle nanotecnologie vanno dalla prevenzione dell’inquinamento, grazie allo sviluppo di tecnologie in grado di ridurre i consumi di energia o di reagenti, all’utilizzo di nano particelle per azioni di bioremediation e all’individuazione di particolari contaminanti mediante lo sviluppo di sensori che sfruttano le straordinarie proprietà dei nanomateriali.
Nonostante l’entusiasmo per queste grandi “nano-opportunità”, negli ultimi tempi la capacità di produrre e gestire questi piccoli elementi di materia ha comportato anche l’esigenza di studiarne gli effetti e i rischi associati al loro “nano-comportamento” nell’ambiente.
Le nanoparticelle ingegnerizzate, così come la maggior parte dei prodotti di origine industriale, raggiungono l’ambiente acquatico e finiscono in quello marino.
Che fine fanno le minuscole particelle che finiscono in mare? Come si comportano nell’ambiente marino e qual è il loro livello di tossicità? E’ un destino ancora poco (o per niente) indagato, quello delle nanoparticelle in mare e le ricadute ambientali in termini di effetti ecotossicologici a carico degli organismi marini e dell’ecosistema risultano quindi di interesse prioritario per la ricerca nazionale ed internazionale.
E’ questo appunto il messaggio lanciato dai ricercatori italiani riuniti a Livorno durante la quinta edizione delle giornate di studio “Ricerca e applicazione di metodologie eco tossicologiche in ambienti acquatici e matrici contaminate’” concluse la scorsa settimana e che hanno visto nascere un primo gruppo di lavoro nazionale sulla “nanoecotossicologia marina”, nell’ambito della Società Italiana di Nanotossicologia (SIN), composto da ricercatori di università, enti di ricerca, enti governativi, ARPA e laboratori privati.
Questa iniziativa si augura di proseguire nella direzione, già intrapresa negli anni precedenti, di sensibilizzazione della commissione europea verso una tematica emergente e poco investigata come quella dell’utilizzo responsabile delle nanoparticelle in un ottica di impatto nell’ambiente marino.
Alla fine di questo mese molti dei membri di questo nuovo gruppo si troveranno a discutere come attuare questa strategia di sensibilizzazione anche nei confronti del Ministero dell’Ambiente italiano durante la prima edizione del “Marine NanoEcotox Worshop” che si terrà a Palermo presso l’Area della Ricerca del CNR dal 27 al 28 November 2012 durante l’ultima edizione dell’incontro bilaterale Italia-Giappone (BSIJ 2012).
La consapevolezza di un utilizzo sostenibile e privo di rischi delle nanotecnologie deve essere un obiettivo per le prossime generazioni, non dovremmo ripetere gli errori di valutazione fatti in passato per molte delle sostanze chimiche che ancora oggi minacciano la salute del nostro pianeta.
di Marco Faimali – ISMAR-CNR. Segui il blog Blu Lab, Ricerca e innovazione dalla parte sommersa del Pianeta