Trivelle, il governo tenta di sabotare il referendum

Gli emendamenti alla legge di stabilità ricalcano solo in apparenza il referendum anti trivelle. In realtà, rilanciano le attività petrolifere nel Paese

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(Rinnovabili.it) – Pensate che il governo, per paura del referendum anti trivelle, abbia mutuato le modifiche proposte dai quesiti negli emendamenti alla legge di stabilità? Siete fuori strada. La manovra è molto più sottile, e il movimento No Triv non esita a definirla «un atto di sabotaggio». Solo in apparenza, infatti, le correzioni accoglierebbero i quesiti referendari. Sebbene soddisfino i quesiti 1, 4 e 5, in realtà «tra abrogazioni e aggiunte normative, dissimulano in modo subdolo il rilancio delle attività petrolifere in terraferma e in mare e persino entro le 12 miglia marine, eludendo con ciò gran parte degli obiettivi del referendum No Triv».

A smontare tutta l’impalcatura è stato Enzo di Salvatore, costituzionalista e punto di riferimento del movimento contro le estrazioni petrolifere in tutta Italia. Di Salvatore firma una analisi dettagliata delle magagne contenute nella legge di stabilità sul tema del petrolio, che possono essere riassunte così:

 

Il quesito n. 2 e la soppressione del “piano delle aree”: per il Coordinamento nazionale No Triv è questo il vero «cavallo di Troia» del governo. Tramite il quesito n. 2 del Referendum, infatti, gli attivisti chiedono al governo di dotarsi di questo strumento (che razionalizzerebbe le attività oil&gas in tutta Italia) prima di rilasciare nuove autorizzazioni. Abolendo il piano delle aree, invece, l’esecutivo si libera dalla necessità di consultare i territori nella definizione delle zone soggette a trivellazione.

 

Trivelle il governo tenta di sabotare il referendumIl quesito n. 3 e le trivelle a tempo indeterminato: il referendum mira a limitare la durata dei processi di ricerca ed estrazione in terraferma e mare: sei anni per la prima, trenta per la seconda, senza possibilità di proroghe. Gli emendamenti del governo, invece, aggirano il quesito dedicato estendendo le due pratiche a tutta «la durata di vita utile del giacimento». Questo significa che viene cancellata ogni scadenza e lasciato tutto all’arbitrio delle aziende. Anche perché il governo reintroduce permessi e concessioni accanto ai titoli concessori unici: in questo modo, i sei anni e i trent’anni si riferiranno solo a questi ultimi, non ai permessi e alle concessioni, che non ricadono sotto la disciplina dello Sblocca Italia, ma di una legge del 1991.

 

Il quesito n. 6 e l’Ombrina Mare: se è vero che il governo sembra aver deciso di reintrodurre il limite delle 12 miglia marine, è altrettanto vero che intende salvare tutti i «titoli abilitativi già rilasciati» alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (non più al 2010, come prima). Guarda caso, il permesso di ricerca per Ombrina Mare scade il 31 dicembre: l’approvazione della legge di stabilità entro quella data potrebbe evitare un divieto del successivo permesso di coltivazione, decretandone solo una sospensione. Grazie all’emendamento governativo, infatti, chi è titolare di un permesso di ricerca, potrà mantenerlo sine die, sebbene possa essere sospesa la sua autorizzazione alla coltivazione. “Sospesa”, tuttavia, non significa “vietata”, come chiede il referendum. E una sospensione è il migliore strumento per “passare la nottata” e cambiare le carte in tavola il mattino dopo. Dietrologia? Chissà. Ma è inevitabile: nel 2010 è successo proprio questo con il decreto Prestigiacomo, che sanciva come il divieto delle 12 miglia «si applica ai procedimenti in corso». Il ministero lo ha interpretato non come obbligo a chiudere i procedimenti, ma a sospenderli, cosicché nel 2012 il decreto Sviluppo di Monti ha potuto riavviarli.

 

«O con le modifiche si accolgono tutti i quesiti referendari senza tradirne lo spirito – si legge nel comunicato No Triv – o si va a referendum. Nessuno è autorizzato a mediare rispetto a questa alternativa, cercando un punto di incontro e accontentando, con un compromesso al ribasso, le Regioni e i loro delegati, attraverso la facile promessa di un maggiore loro coinvolgimento nelle scelte che in materia lo Stato effettuerà d’ora in avanti. Una promessa del tutto evanescente, destinata ad essere tradita dopo le elezioni amministrative del prossimo anno e dopo il referendum sulla revisione costituzionale, che com’è noto, riconduce nelle mani esclusive dello Stato ogni scelta in fatto di energia».

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