Rinnovabili •

Diventare imprenditrice agricola? Ci vuole determinazione

Le giovani imprenditrici agricole sono motivate e determinate, ma si scontrano ogni giorno con una burocrazia asfissiante, con un sistema creditizio che non crede in loro e con la difficoltà di partecipare ai bandi di cui si ha notizia senza che ci sia il tempo utile per prepararsi

di Isabella Ceccarini

Alessandra Atorino, presidente della Consulta provinciale di Confagricoltura Frosinone, è una giovane imprenditrice agricola. Rappresenta la capacità e la determinazione delle donne nel farsi strada in un comparto produttivo tipicamente maschile come quello zootecnico.

Nella sua esperienza evidenzia quello che in agricoltura si dovrebbe correggere per incentivare un ricambio generazionale nel settore.

Cominciamo a tracciare un identikit della piccola imprenditrice agricola.

Da dieci anni ho un’azienda agricola in provincia di Frosinone. Sono imprenditrice di prima generazione, cioè non sono subentrata ai miei genitori nel portare avanti l’azienda di famiglia.

Desideravo mettere a reddito dei terreni che erano stati abbandonati, ma la mia formazione era totalmente diversa. Infatti ho studiato Architettura alla Sapienza di Roma.

Per apprendere le conoscenze in campo agricolo ho dovuto seguire dei corsi e poi dotarmi dei titoli necessari per diventare imprenditore agricolo professionale.

Di recente ho avuto un serio problema di salute che ha acuito la mia sensibilità sull’importanza della qualità nei prodotti alimentari. Così ho pensato di creare un’attività che fosse sostenibile per il suolo e non impoverisse la biodiversità del territorio in cui ci troviamo.

Com’è il tessuto produttivo della provincia di Frosinone?

Nella Ciociaria il 90% dei terreni agricoli si trova lontano dai centri abitati. Per questo sono convinta che sia importante far conoscere alle persone la realtà delle microaziende e la loro importanza per l’economia del territorio.

Qui non ci sono le grandi aziende estensive dell’Agro Pontino, siamo tutte piccole aziende. Moltissime sono condotte da donne; in molti casi si tratta di imprenditrici agricole di prima generazione con un alto tasso di scolarizzazione che gestiscono microimprese in una zona montana.

Qual è la dimensione dell’azienda?

Ho 25 capi, quindi è un’azienda molto piccola. Anche nel mio caso, il problema di fondo per la crescita dell’impresa è quello economico.

Vorrei investire nell’acquisto di nuovi terreni. Ho 22 ettari, che sembrano tanti ma in realtà sono pochissimi se rapportati alle UBA (Unità Bestiame Adulto), ovvero le unità di misura che calcolano il numero di capi per ettaro. In base alle UBA la mia azienda può crescere solo se compro altri terreni.

Inoltre la mia azienda si trova in una zona di pregio naturalistico, nel parco dei Monti Lepini. Ma è anche una zona svantaggiata, per cui ho dovuto reinventarmi e capire quali fossero le potenzialità di questo territorio per poterlo mettere a reddito.

Quindi non c’è solo l’allevamento.

Oltre all’allevamento allo stato brado, dove alleviamo i capi in purezza, abbiamo intrapreso anche una filiera cortissima diretta dal produttore al consumatore.

Poi ho studiato le piante officinali per iniziare a produrre materie prime (erbe, frutti e bacche) per l’industria fitoterapica e nutraceutica.  In erboristeria queste materie prime sono molto richieste.

Stando in una zona remota come raggiunge il mercato?

È una bella sfida! Sono una piccolissima azienda, chi viene da me ha la possibilità di conoscermi e incentivo questa conoscenza organizzando escursioni nell’azienda agricola. Organizzo visite guidate con un botanico che spiega la biodiversità presente nell’azienda e le attività che svolgiamo.

L’obiettivo è far capire come diversificando le attività si può creare un reddito; soprattutto voglio incentivare nelle persone la conoscenza del proprio territorio.

Molto spesso se ne ignora la ricchezza: lo vedo distintamente quando le persone vengono in azienda e si stupiscono che esistano realtà simili.

L’inadeguatezza, se non addirittura l’assenza, delle infrastrutture è la nota dolente per molte aziende, soprattutto se si trovano nelle aree interne.

Esatto, questo è un ostacolo limitante per qualsiasi attività imprenditoriale. Ci auguriamo che adesso si facciano passi avanti in tal senso perché è un’esigenza prioritaria.

La mia azienda, ad esempio, non ha neanche la copertura base per permettermi qualunque tipo di digitalizzazione: se non c’è un’infrastruttura, ovviamente l’utente è tagliato fuori dal servizio.

Per me è un problema grande: quando sono in azienda svolgo tutte le attività pratiche, ma la mia sede legale è in città.

Questo comporta un dispendio sia di tempo che energetico, e poi mi impedisce di fare innovazione.

Sono previsti sostegni per aziende così piccole?

Usufruisco della PAC, ma ci sono anche bandi che non vengono adeguatamente pubblicizzati.

Bisognerebbe creare una rete che metta gli imprenditori a conoscenza dei bandi in tempo utile. Quando sono andata alla presentazione della programmazione nel 2021, mi sono lamentata al tavolo di lavoro dell’agricoltura perché questi bandi si aprono e si chiudono senza che se ne abbia notizia o ci sia il tempo per prepararsi.

Come dire che ci sono i soldi ma non vi arrivano.

Non dimentichiamo che questi soldi sono sempre un prestito, ma così sono investiti male. È importante dare l’informazione dell’uscita di un bando magari con venti giorni di anticipo, così l’imprenditore ha il tempo di preparare le carte.

Sappiamo quanto sia pesante la burocrazia in Italia. L’imprenditore deve avere il tempo necessario per mettere insieme le carte necessarie; nel mio caso, poi, è tempo che sottraggo al lavoro.

Per questo chiediamo di farci conoscere con un ragionevole anticipo l’uscita dei bandi, perché se non se ne ha notizia in pratica quell’informazione non esiste.

Quante persone lavorano con lei?

Siamo un’azienda familiare. La ditta è individuale, è intestata a me in quanto imprenditrice agricola. Sono figlia unica, mi aiutano mio padre e mia madre; in più ci sono persone del posto che mi aiutano a svolgere tutti i lavori più onerosi in termini di fatica fisica.

Io gestisco e seguo l’azienda da vicino e da lontano, la indirizzo in base ai miei interessi imprenditoriali.

L’accesso al credito prevede facilitazioni per le giovani imprenditrici agricole?

Sono una persona motivata e determinata, ma spesso le difficoltà dell’accesso al credito fanno rimanere tutti i progetti a latere oppure si realizzano lentamente in tempi molto lunghi.

Per me è un grosso problema, perché arrivo in ritardo sul mercato.

Forse servirebbero interventi prolungati nel tempo, un’azienda ha un suo tempo fisiologico di avviamento.

A proposito del PSR, non ho potuto accedere al credito nonostante ne avessi diritto. Ho preso un anticipo e mi sono trovata a dover restituire tutto con gli interessi (su un anticipo di 80mila euro ne ho dovuti restituire 100mila) perché non avevo la possibilità di fare una variante entro i tempi stretti con cui si chiudeva il PSR.

Questo è successo perché, nonostante ci fossero i fondi per le imprenditrici agricole con i tassi d’interesse al 2%, gli istituti finanziari (sia importanti che non) non avevano la più pallida idea di cosa stessi dicendo, ignoravano proprio il tema.

Così facevano dei rating classificandomi come cattivo pagatore in quanto giovane imprenditore al primo insediamento, senza una storia individuale: in pratica non applicavano la legge, che pure esisteva ed esiste tuttora.

È proprio l’approccio che è sbagliato: è difficile che credano in noi, perché guardano solo i soldi e non l’investimento.

Quindi il sistema bancario non mi ha aiutato.

Il problema non è stato solo per me o per le giovani imprenditrici agricole in generale: è una sconfitta per il territorio e per l’imprenditoria.

Aiutare una donna a lavorare e a creare lavoro è aiutare tutta la società e creare un valore aggiunto. Ma ancora nessuno lo capisce.

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Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.