Rinnovabili • Rapporto sul clima IPCC: tutti gli scenari emissivi dell’AR6

Quante emissioni ci restano? Tutti gli scenari del nuovo rapporto sul clima IPCC

Il capitolo sulle misure di mitigazione (WG3) dell’Assessment Report 6 presenta 8 nuovi scenari emissivi. Quelli che rispettano il target degli 1,5°C prevedono tutti uno sforamento, anche se temporaneo. E il picco del carbonio al 2025, più drastiche riduzioni nell’uso delle fossili

Rapporto sul clima IPCC: tutti gli scenari emissivi dell’AR6
Le warming stripes rappresentano l’andamento del riscaldamento globale negli ultimi 150 anni. By RCraig09 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80159035

Solo 2 gli scenari virtuosi secondo il rapporto sul clima IPCC

(Rinnovabili.it) – Ormai c’è quasi la certezza assoluta che sforeremo la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale. Anche se temporaneamente e restando sotto i 2°C. Lo ha ribadito il rapporto sul clima IPCC pubblicato ieri, nel terzo e ultimo capitolo dedicato alle misure di mitigazione del cambiamento climatico che abbiamo a disposizione. Nelle oltre 3000 pagine della sezione di Assessment Report 6 preparato dal Working Group 3, gli autori sintetizzano la scienza del clima più aggiornata e presentano gli scenari emissivi possibili.

C1: lo scenario emissivo più ottimistico

Nello scenario C1, il Panel intergovernativo sul cambiamento climatico inserisce alcuni percorsi emissivi che sono definiti come i più ottimistici. Tutti prevedono che si raggiungano gli 1,6 gradi di global warming con una probabilità del 50%, per poi attestarsi a 1,2-1,4°C nel 2100. C’è, quindi l’overshooting, anche se molto limitato.

Per seguire questi percorsi, il pianeta deve raggiungere tassativamente il picco di emissioni tra il 2020 e il 2025 e limitare le emissioni annuali di gas serra a 29-33 mld di t di CO2 equivalente (GtCO2e) al 2030, 16-18 GtCO2e al 2040, e 8-9 GtCO2e al 2050. Per paragone, nel 2019 abbiamo emesso circa 55 GtCO2e. In questo modo avremmo virtualmente la certezza di restare sotto i 3°C di riscaldamento globale, e una probabilità altissima (85-98%) di stare più bassi dei 2°C. Mentre la probabilità di restare davvero sotto gli 1,5 gradi varierebbe tra il 33 e il 58%.

È la categoria di percorsi con i tagli più drastici e meno affidamento sulle tecnologie per togliere CO2 dall’aria. “I percorsi globali modellati che limitano il riscaldamento a 1,5°C (>50%) senza o con un overshoot limitato comportano riduzioni delle emissioni di gas serra più rapide e profonde nel breve termine fino al 2030, e si prevede che abbiano meno emissioni nette negative di CO2 e meno rimozione di anidride carbonica (CDR) nel lungo termine, rispetto ai percorsi che riportano il riscaldamento a 1,5°C (>50%) dopo un overshoot elevato (categoria C2)”, si legge nel rapporto.

C2: sotto gli 1,5°C, ma in extremis

Lo scenario denominato C2 prevede che lo sforamento della soglia di 1,5 gradi sia consistente e prolungato, anche se nel lungo periodo la temperatura globale ritorna sotto questa soglia sempre con una probabilità del 50%. In questo caso l’overshoot arriva fino a 1,8 gradi e al 2100 la temperatura del Pianeta si attesta a 1,2-1,5 gradi.

Per rientrare in questo percorso, dobbiamo scendere dalle 55 GtCO2e del 2019 a 42 nel 2030, 25 nel 2040 e 14 nel 2050. Il picco di carbonio qui è dato in media attorno al 2025 ma con qualche margine per sforare verso il 2030, mentre al 2025 deve avvenire quello degli altri gas climalteranti (come il metano).

In questo scenario, come nel C1, “l’uso globale di carbone, petrolio e gas nel 2050 dovrebbe diminuire con valori mediani di circa il 95%, 60% e 45% rispetto al 2019”, scrivo gli autori del rapporto sul clima IPCC.

C3 e C4: riscaldamento globale sotto i 2 gradi

In questo gruppo di percorsi emissivi, il global warming viene mantenuto al di sotto della soglia più alta stabilita dal Paris agreement Il C3 lo fa con una percentuale del 67% e richiede di tagliare le emissioni a 44 GtCO2e (2030), 29 (2040) e 20 (2050) raggiungendo i picchi della CO2 e degli altri gas serra come nel C2. La neutralità di carbonio viene raggiunta davvero solo nel 2070-2075.

Tutti gli scenari descritti finora “comportano riduzioni rapide e profonde e nella maggior parte dei casi immediate delle emissioni di gas serra in tutti i settori”, ribadisce il rapporto sul clima IPCC. Le strategie di mitigazione per seguire questi percorsi includono “la transizione dai combustibili fossili senza CCS a fonti energetiche a bassissimo o nullo contenuto di carbonio, come le energie rinnovabili o i combustibili fossili con CCS, le misure sul lato della domanda e il miglioramento dell’efficienza, la riduzione delle emissioni non CO2 e l’impiego di metodi di rimozione del biossido di carbonio (CDR) per controbilanciare le emissioni residue di gas serra”.

Per quanto riguarda il destino delle fossili, in questi scenari devono calare considerevolmente entro il 2050: dell’85% il carbone, del 30% il petrolio, del 15% il gas. Sono grossomodo gli scenari su cui ci muoveremmo se le promesse fatte alla COP26 venissero rispettate e messe tutte in pratica.

Gli scenari peggiori nel rapporto sul clima IPCC

Gli scenari dal C5 al C8 prevedono un riscaldamento globale di 2,5°C, 3°C, 4°C e di nuovo 4°C ma con un aumento ulteriore oltre il 2100. I primi 3 descrivono in modo piuttosto aderente la traiettoria su cui ci troviamo oggi. È il risultato dell’implementazione delle politiche decise fino al 2020, ma senza alcun rafforzamento nel decennio in corso. In pratica, guardando all’Europa, è come rispettare alla lettera gli impegni sul clima prima del Green Deal.

Negli scenari da C6 a C8, durante questo secolo non si raggiunge alcun obiettivo di neutralità di carbonio e nemmeno un picco di temperatura. Se nei 2 percorsi peggiori (C7 e C8), il picco emissivo arriva soltanto nel 2080-2095, per il percorso C6 che limita il riscaldamento a 3°C il picco deve comunque arrivare entro il 2035.

Leggi qui il rapporto IPCC integrale

About Author / La Redazione

Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

About Author / La Redazione

Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

leggi anche Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

leggi anche Da CATL la prima batteria con degrado zero dopo 5 anni

La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

Rinnovabili •
About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.