Rinnovabili • Inquinamento urbano Italia: le pagelle di Mal’aria di città 2024

Inquinamento urbano, l’Italia non migliora. E mancherà gli obiettivi 2030

Torino e Frosinone maglia nera per sforamento dei limiti di PM10. Sono 18 su 98 i capoluoghi che eccedono i valori di polveri sottili. E il trend generale ristagna come negli ultimi anni. Se il 2030 fosse già qui, calcola Legambiente, il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 50% per l’NO2. A fine decennio scatteranno i nuovi parametri sugli inquinanti

Inquinamento urbano Italia: le pagelle di Mal’aria di città 2024
crediti: Hiro M via Flickr CC BY 2.0 DEED

Legambiente presenta il nuovo rapporto Mal’aria di città

(Rinnovabili.it) – E’ stato il meteo favorevole e non l’abbattimento delle polveri sottili a migliorare la situazione dell’inquinamento urbano in Italia l’anno scorso. I livelli di PM2.5, PM10 e NO2 restano sostanzialmente stabili, senza veri progressi negli ultimi anni. E se rispetto ai limiti in vigore oggi gli sforamenti sono relativamente pochi, in realtà le città italiane sono molto distanti da quelli – significativamente più bassi – che scatteranno nel 2030. Lo sottolinea il rapporto Mal’aria di città 2024 di Legambiente rilasciato oggi.

“I meriti di questo miglioramento registrato sono purtroppo riconducibili quasi esclusivamente alle favorevoli condizioni metereologiche che hanno caratterizzato i mesi invernali del primo semestre del 2023 e il periodo autunnale dell’anno appena terminato”, spiega l’associazione del Cigno Verde nel rapporto.

La mappa dell’inquinamento urbano in Italia nel 2023

L’analisi delle centraline nei capoluoghi italiani accende il semaforo rosso per 18 città sulle 98 monitorate. Molte meno delle 29 del 2022 e delle 31 nel 2021. Maglia nera per Frosinone e Torino, rispettivamente con 70 e 66 giorni di sforamento dei limiti di PM10: il doppio di quelli ammessi dalle leggi in vigore, ovvero 35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 µg/m3.

Salvo la città laziale, tutte le prime posizioni in classifica sono occupate da città del Nord Italia. Sopra i 60 giorni di sforamento per PM10 si attestano Treviso (63), Mantova, Padova e (62). Un trittico di città venete supera i 50 giorni (Rovigo, Verona e Vicenza, seguite da Milano, Asti, Cremona, Lodi, Brescia e Monza tutte sopra i 40 giorni.

Questi sono i dati per i picchi di inquinamento urbano in Italia, ma per una fotografia più accurata bisogna allargare lo sguardo alle medie annuali. Su questo fronte non si registrano sforamenti (era così già negli anni scorsi). Buona notizia, quindi? Non proprio. Perché il limite di legge, 40 µg/m3, tra 6 anni sarà dimezzato. E nessuna città italiana sembra avere una traiettoria adeguata. Men che meno, sarebbe allineata con gli standard fissati dall’OMS nel 2021.

“Se si analizza il valore medio annuale di queste città dal 2019 al 2023, si noterà però come – di fatto – negli ultimi cinque anni i valori registrati siano stati sostanzialmente stabili. A Padova, ad esempio, i valori medi annuali sono stati 34 µg/mc nel 2019 e 2020, 30 µg/mc nel 2021, 32 µg/mc nel 2022 e 2023”, dettaglia il rapporto. La stessa situazione – nessuno sforamento ma nemmeno miglioramenti sensibili – riguarda lo stato dell’inquinamento da PM2.5 e NO2, con quest’ultimo ad avere però una leggera tendenza al calo.

Se il 2030 fosse già qui, calcola Legambiente, il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 50% per l’NO2. “I dati del 2023 ci dicono che il processo di riduzione delle concentrazioni è inesistente o comunque troppo lento” – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente. “Ad oggi, infatti, ben 35 città dovranno intensificare gli sforzi per ridurre le loro concentrazioni di PM10 entro il 2030, con una percentuale di riduzione compresa tra il 20% e il 37%, mentre per il PM2.5 il numero di città coinvolte sale a 51, con una riduzione necessaria tra il 20% e il 57%. Non migliore la situazione per quanto riguarda l’NO2, dove 24 città dovranno ridurre le emissioni tra il 20% e il 48%”.

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