Petrolio, 5 arresti in Val d’Agri: ombre sul governo?

I Carabinieri avrebbero rilevato illeciti a Viggiano, dove sorge l’impianto di trattamento del petrolio di Eni. Legambiente: una filiera oscura

Petrolio 5 arresti in Val d'Agri per illeciti nei rifiuti

 

(Rinnovabili.it) – Arresti e sequestri. In queste due parole si concentra l’attività del NOE, il nucleo operativo ambientale dei Carabinieri, che stamattina ha messo ai domiciliari 5 funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (Potenza) di proprietà dell’Eni. Qui viene trattato il petrolio estratto in Val d’Agri, che vale una gran parte della quota prodotta dalla regione Basilicata. I numeri parlano infatti, in totale, di una produzione pari a 82.630 barili di petrolio al giorno e 3,98 milioni di metri cubi di gas quotidiani.

Gli arresti, avvenuti stamattina, sono motivati dal fatto che il NOE ritiene i 5 funzionari responsabili di «attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti».

Secondo quanto riferito dall’Ansa, i Carabinieri hanno eseguito anche «un’ordinanza di divieto di dimora nei confronti di un dirigente della Regione Basilicata. I provvedimenti cautelari – emessi dal gip del Tribunale di Potenza nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia – sono stati eseguiti nelle province di Potenza, Roma, Chieti, Genova, Grosseto e Caltanissetta».

 

Petrolio 5 arresti in Val d'Agri per illeciti nei rifiuti 2I provvedimenti cautelari sono solo la punta dell’iceberg: secondo l’agenzia di stampa potrebbero avere conseguenze sulla produzione di petrolio in Val d’Agri, sito in cui si trovano giacimenti di idrocarburi di interesse nazionale. Eni non ha risposto alle richieste di commento, spiegando che i legali del gruppo stanno analizzando la situazione in modo da avere un quadro completo. Solo dopo questo passaggio, spiega l’azienda, seguirà una dichiarazione.

Tra gli indagati dalla Procura di Potenza anche Gianluca Gemelli, il compagno di Federica Guidi, Ministro dello Sviluppo economico. Secondo quanto riportato da Repubblica, agli atti dell’inchiesta vi sarebbero telefonate tra il Ministro e Gemelli. Questi «era interessato a fare in modo che si sbloccasse l’operazione Tempa Rossa, gestita dalla Total, perché secondo l’accusa le sue aziende avrebbero guadagnato circa due milioni e mezzo di sub appalti. E di questo parla al telefono con la compagna».

 

Secondo gli agenti della squadra mobile di Potenza, Gemelli avrebbe esultato per un emendamento che gli apriva le porte del progetto in Lucania. Repubblica scrive che le dalle indagini «è emerso che l’emendamento era stato inserito nel maxiemendamento alla Legge di stabilità del 2015, modificato dal Senato il 20 dicembre, con il quale si dava il via al progetto Tempa Rossa».

Sullo sfondo di questo scandalo, naturalmente, difficile non intravedere il referendum sulle trivelle che il 17 aprile coinvolgerà gli elettori italiani. Se le accuse verranno confermate, sarebbe un punto a favore di chi chiede maggiore regolamentazione e un abbandono graduale delle energie fossili.

Legambiente è tra i primi a commentare l’accaduto, dichiarando che «quella del petrolio si conferma una filiera oscura e foriera di distorsioni che danneggiano pesantemente i territori».

Rossella Muroni, presidente dell’associazione del cigno verde, dichiara che «serve liberare i territori dalla schiavitù delle fonti fossili, ed è per questo che il referendum del 17 aprile potrà dare un enorme contributo alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo di un futuro pulito».

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