Rinnovabili • Stop globale fonti fossili: phase out, chi vuole cosa alla Cop28?

Il tema più importante della Cop28: lo stop globale alle fonti fossili

Per la prima volta, un vertice internazionale sul clima affronta di petto il dossier del phase out delle fossili. Molte le opzioni sul tavolo e ancora piuttosto distanti, a volte inconciliabili, le posizioni degli stati. Non è scontato che il phase out sia inserito nell’accordo finale. Ma è necessario per non sforare gli 1,5 gradi

Stop globale fonti fossili: phase out, chi vuole cosa alla Cop28?
Foto di Eelco Böhtlingk su Unsplash

Il phase out delle fossili in cima all’agenda della Cop28, al via il 30 novembre

(Rinnovabili.it) – Triplicare la capacità installata globale di rinnovabili entro il 2030. Raddoppiare l’efficienza energetica entro la stessa data. Decidere come e quando deve avvenire lo stop globale delle fonti fossili. Sono i tre pilastri dell’accordo finale che uscirà dalla Cop28 di Dubai, che si terrà da domani, 30 novembre, al 12 dicembre.

Mentre i primi due punti hanno già raccolto un consenso molto largo e non dovrebbero creare problemi durante i negoziati, il dossier delle fonti fossili è il tema al centro del vertice internazionale sul clima. Su cui, per ora, non c’è nessun accordo in vista. Le posizioni degli stati continuano a essere piuttosto distanti e, in molti casi, apparentemente inconciliabili.

Petrolio, gas e carbone sono la principale causa dell’aumento globale della temperatura attribuibile all’azione antropica, ma anche il fondamento del sistema energetico globale, parte rilevante dell’economia mondiale, e un formidabile strumento di politica estera per molti paesi. Se la Cop28 riuscirà a trovare un’intesa sulle fossili – ed è un grande “se” – il livello di ambizione dell’accordo rappresenterà il punto d’incontro tra queste tre dimensioni, climatica economica e politica.

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Le parole per dire stop globale alle fonti fossili

Come sempre, i progressi della diplomazia climatica internazionale si misurano sulla scelta di una manciata di parole chiave, sulla loro combinazione e su quanto il risultato appaia vincolante o lasci scappatoie agli stati che devono onorare l’impegno preso. Sotto i riflettori, per il momento, ci sono 3 parole: phase out (eliminazione graduale), phase down (riduzione graduale) e unabated (senza abbattimento di emissioni).

Phase out globale delle fonti fossili

L’opzione più forte e radicale è phase out. È quello che chiede la società civile, ma anche l’ONU. Ancora questa settimana, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha sottolineato che “abbiamo bisogno di un impegno chiaro e credibile per eliminare gradualmente i combustibili fossili in un arco di tempo che sia in linea con il limite di 1,5 gradi”. Anche molti paesi sostengono questa locuzione e premeranno perché sia inserita nell’accordo finale della Cop.

Phase out implica che entro una certa data bisogna eliminare completamente la produzione e la domanda di combustibili fossili. Per essere credibile, questo stop globale alle fonti fossili deve essere inserito in un orizzonte temporale chiaro.

Ciò può avvenire sia fissando una data ultima per l’addio alle fossili (ed eventualmente delle tappe intermedie), sia legando il rispetto del phase out alle indicazioni provenienti dalla scienza del clima più aggiornata (la reportistica del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, IPCC). In questo secondo caso, la tabella di marcia dovrebbe rispettare implicitamente gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (1,5°C o 2°C) e dovrebbe essere ricalibrata se le evidenze scientifiche lo impongono.

La soluzione meno ambiziosa: phase down

Un possibile compromesso, al ribasso, è l’uso dell’espressione phase down. Significa, concretamente, che gli stati si impegnano solo a ridurre, ma non a eliminare completamente, la produzione e l’uso di combustibili fossili. Lo stop globale alle fonti fossili non sarebbe quindi un vero stop, ma una forte diminuzione del loro impatto sul clima terrestre.

Questa opzione viene preferita da chi oggi dipende in misura importante da petrolio, gas o carbone per sostenere la propria economia e l’ordine sociale. Sia, quindi, da paesi esportatori (come i membri dell’OPEC), sia da paesi che vogliono impostare la loro crescita anche o in maniera preponderante sul consumo di fossili (come la Cina, ma anche molti paesi africani che stanno investendo nel gas).

A livello di diplomazia climatica, questa scelta non sarebbe una novità. Nel 2021, la Cop26 di Glasgow si è chiusa con lo scambio, all’ultimo secondo, dell’espressione “phase out del carbone” con “phase down”. Senza, peraltro, nessuna specifica sostanziale riguardo modi e tempi.

Unabated: tagliare le fossili o le loro emissioni?

Altra opzione di compromesso è l’uso della locuzione “unabated fossil fuel”. Anche se incastonata nella richiesta di uno stop globale delle fonti fossili, l’introduzione di “unabated” cambia completamente lo scenario. Non si tratterebbe, cioè, di ridurre la produzione progressivamente fino a zero, bensì solo di attrezzarsi affinché le emissioni generate dai combustibili fossili vengano catturate e stoccate con alcune tecnologie come la CCS (Carbon Capture and Storage). In breve: il taglio riguarda le emissioni fossili, non le fonti in quanto tali.

Una scelta, questa, che piace a molti. Fa intravedere la possibilità di un cambiamento lento, graduale, senza scossoni, del modello produttivo ed economico, così da limitare al massimo le ripercussioni sociali (e le perdite di voti, nei sistemi democratici). Ma, dall’altra parte, lasciando spazio alle fossili, rallenta la diffusione delle rinnovabili drenando investimenti e permettendo alle compagnie energetiche di continuare a investire in petrolio e gas (e nelle tecnologie per la cattura della CO2) invece che in fotovoltaico ed eolico.

Chi vuole cosa alla Cop28 di Dubai

Trovare una quadra tra le tante posizioni negoziali non è semplice (e un livello di complessità in più è l’intreccio con il tema dello stop ai sussidi fossili). La base di partenza sarà il documento che contiene la sintesi della prima Global Stocktake, cioè la valutazione periodica (ogni 5 anni) dei progressi compiuti verso gli obiettivi di Parigi e le indicazioni su come modificare la rotta. Il rapporto preliminare dell’ONU, rilasciato due mesi fa, sostiene – per la prima volta in un documento ufficiale delle Nazioni Unite – che sia necessario “phasing out all unabated fossil fuels”.

Su questa linea si schierano in molti. A partire dall’Unione Europea, insieme a UK, Canada e Australia. L’opzione è supportata anche dagli Stati Uniti, benché non sia una priorità nell’agenda climatica di Washington: la Casa Bianca preme invece per “phase down of unabated fossil fuels”, forse la versione meno ambiziosa possibile. Mentre al phase out delle fonti unabated si oppongono la Cina – alcuni mesi fa l’inviato speciale per il clima di Pechino aveva definito il phase out delle fossili “irrealistico” – insieme al gruppo dei paesi in via di sviluppo G77 e i paesi africani.

L’opzione più radicale, il vero stop globale alle fonti fossili, è appoggiato convintamente solo da Nuova Zelanda e dalla High Ambition Coalition, composta da molti paesi europei (Finalndia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna) insieme a Cile, Colombia, Gabon, Giamaica, Nuova Zelanda e piccoli stati insulari come Antigua e Barbuda, Barbados, Fiji, Palau e Isole Marshall.

Gli appelli della società civile

Su questo sfondo, negli ultimi mesi la società civile ha provato a far sentire la sua voce appoggiando convintamente l’obiettivo dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Alla Cop28 di Dubai si vedrà “se i governi daranno finalmente ascolto alle richieste, che diventano ogni giorno più forti, di eliminare gradualmente i combustibili fossili e realizzare la giustizia climatica”, scrive Greenpeace in un appello. “Sebbene le cause e le conseguenze del cambiamento climatico non siano mai state avvertite così profondamente, le soluzioni non sono mai state così a portata di mano. La questione non è più come ma quando. Coloro che sono seriamente interessati a un pianeta vivibile hanno gli strumenti necessari per attuare l’azione climatica necessaria: la COP28 deve accettare di porre fine all’era dei combustibili fossili”.

Amnesty International evidenzia l’intreccio tra crisi climatica, giustizia climatica e rispetto dei diritti umani. “I leader della COP28 devono sfidare i lobbisti dei combustibili fossili e allontanarci da una catastrofe sempre più grave sul clima e sui diritti umani”, ha affermato la segretaria generale Agnès Callamard. “L’unico modo sicuro per evitare questa calamità è che gli stati si accordino alla COP28 per porre rapidamente fine alla produzione e all’uso di combustibili fossili, aiutando le persone più colpite dal cambiamento climatico a riprendersi dalle perdite e dai danni e accelerando una giusta transizione verso le energie rinnovabili”.

“L’industria dei combustibili fossili continua a promuovere la CCS come soluzione miracolosa per il clima. Ma la realtà è che la CCS sta solo guidando lo sviluppo di nuovo petrolio e gas che sta spingendo il mondo più vicino al superamento del limite di 1,5°C”, puntualizzava Solutions for Our Climate all’indomani della pubblicazione della roadmap aggiornata dell’IEA per l’obiettivo net zero. “Come ribadisce l’IEA, non devono esserci nuovi petrolio e gas se vogliamo fermare la crisi climatica. Ha inoltre declassato il ruolo della CCS nello scenario di mitigazione del clima, rafforzando il fatto che la CCS è una soluzione per l’industria, non per il pianeta. Il modo migliore per ridurre le emissioni di combustibili fossili è eliminare gradualmente i combustibili fossili e accelerare la transizione del mondo verso le energie rinnovabili”.

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