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End of waste, le associazioni ambientaliste tifano per le Regioni

Oltre 50 associazioni in Italia vogliono una norma che consenta alle singole Regioni di autorizzare il cosiddetto “riciclo caso per caso” per velocizzare il recepimento della direttiva europea sull'economia circolare.

End of waste
Credits: Shirley Hirst da Pixabay

Il vuoto normativo sull’end of waste potrebbe portare al blocco delle attività di recupero

 

(Rinnovabili.it)  – Legambiente, WWF e Greenpeace lanciano un allarme sulla mancanza di normativa riguardante il cosiddetto end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto), vale a dire il processo di recupero grazie al quale uno scarto smette di essere tale e acquisisce la denominazione di vero e proprio prodotto. Tale processo si inserisce nel solco della direttiva 2008/98/CE, con la quale il Parlamento e il Consiglio Europeo si impegnano sulla prevenzione e il riutilizzo quali modalità prioritarie di gestione del rifiuto.

 

Nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla normativa della end of waste promossa dalla Commissione “Ambiente, Territorio e Lavori pubblici” della Camera, il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di introdurre una norma che consenta alle singole Regioni di autorizzare il cosiddetto “riciclo caso per caso” per tutte quelle attività di recupero non ancora regolate. Lo scopo della richiesta è lo sblocco dei processi di recupero di importanti quantità di rifiuti, nell’attesa che vengano emanati decreti nazionali sull’end of waste.

 

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L’appello di Legambiente, WWF e Greenpeace, d’altro canto, appare in linea con quanto espresso da altre 50 tra associazioni, confederazioni, consorzi e organizzazioni nazionali (tra cui Confindustria, Confederazione Italiana Agricoltori, Confartigianato e Confcooperative) rispetto alla necessità di velocizzare il recepimento delle norme contenute nella direttiva europea sull’economia circolare.

 

Ma in cosa consiste il “riciclo caso per caso”? Per una tipologia di rifiuto che non rientra nelle classiche categorie della differenziata (quali plastica, alluminio, vetro, carta…), occorre un decreto ministeriale che introduca quello specifico rifiuto nel processo di end of waste, permettendone così il recupero. In questo modo, ogni tipologia di rifiuto che si vuole trasformare in prodotto dovrebbe essere soggetta ad un apposito decreto nazionale, che deve poi passare il vaglio di Bruxelles. Ovviamente, il singolo Stato membro deve dimostrare che la specifica tipologia di rifiuto è stata davvero resa utilizzabile “al di là di ogni ragionevole dubbio”, e attraverso un’operazione di recupero che non compromette la salute umana o l’ambiente.

La richiesta delle associazioni ambientaliste (e non solo) è che il processo di end of waste non dipenda da un decreto ministeriale, ma dall’autorità regionale. Possibilità che era stata esclusa da una sentenza del 2018  con la quale il Consiglio di Stato aveva riservato al solo Stato la possibilità di determinare quali rifiuti potessero essere introdotti nel processo di end of waste. Il timore delle associazioni è che, allo scadere delle autorizzazioni degli impianti, si possa avere un parziale blocco delle attività di recupero di rifiuti.

 

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Tuttavia, le associazioni non sottovalutano l’importanza del controllo statale in materia, richiedendo che le autorizzazioni regionali confluiscano in un registro nazionale, gestito dal Ministero dell’Ambienta, che sottoponga a l’attività regionale a specifici controlli al fine di garantire l’applicazione dei criteri europei sul territorio nazionale.

 

 

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