L’umanesimo digitale in “100 Italian Circular Economy Stories”

Il Rapporto “100 Italian Circular Economy Stories” di Fondazione Symbola ed Enel Group racconta storie imprenditoriali che hanno una visione declinata con grande pragmatismo. Va sottolineato, infatti, che le imprese sostenibili fanno profitti: la circolarità conviene. L’Italia, storicamente povera di materia prime, ha il primato europeo di economia circolare

L’umanesimo digitale in “100 Italian Circular Economy Stories”

di Isabella Ceccarini

100 Italian Circular Economy Stories. Perché parlare di storie di economia circolare? Perché le storie sono esperienze, azioni, rappresentano la concretezza delle parole. Il Rapporto di Fondazione Symbola ed Enel Group presenta infatti le eccellenze italiane nel campo dell’economia circolare.

Nell’economia circolare è una delle chiavi della sostenibilità

Stiamo vivendo un’epoca di grandi e veloci cambiamenti, dobbiamo costruire in modo sostenibile e innovativo senza utilizzare gli schemi del passato, nell’economia circolare è una delle chiavi della sostenibilità.

Questi principi emergono con chiarezza da quello che ci racconta 100 Italian Circular Economy Stories, storie imprenditoriali che hanno una visione declinata con grande pragmatismo. Va sottolineato, infatti, che le imprese sostenibili fanno profitti: la circolarità conviene.

«L’applicazione dei principi dell’economia circolare lega diverse filiere in un processo di simbiosi industriale, dove lo scarto di un’impresa, o di un comparto, diventa materia prima per un’altra; un approccio decisivo per affrontare la crisi climatica e che al tempo stesso aumenta la competitività, generando opportunità commerciali ed economiche oltre che benefici ambientali e sociali», afferma Francesco Starace, direttore generale e AD di Enel.

L’Italia ha il primato europeo di economia circolare

L’Italia è un campione dell’economia circolare, come ama sottolineare Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola. Siamo all’avanguardia nella circolarità ed è ormai evidente quanto il riuso delle risorse abbia un impatto positivo sull’economia dei territori.

Non a caso il nostro Paese, storicamente povero di materie prime, ha il riuso nel suo DNA e i dati lo dimostrano: siamo i primatisti europei in questa specialità, ricicliamo circa il doppio della media europea e questo può fare dell’Italia un modello da imitare. Quindi abbiamo capacità e consapevolezza, perché oggi l’ambiente è un tema centrale anche nelle politiche imprenditoriali.

«Quando l’Italia fa l’Italia», dice Realacci, raggiungiamo grandi risultati. Peccato che proprio in Italia ancora pochi conoscano questa nostra virtù che fa così bene all’ambiente e all’economia e continuiamo a ritenerci peggiori di come ci vedono all’estero.

La COP 26 ha imposto all’attenzione mondiale la questione ambientale

La COP 26, pur con i limiti che sono stati evidenziati in varie sedi, ha il grande merito di aver messo con determinazione sul tavolo la questione ambientale e le urgenze che essa impone, come provano i disastri climatici che continuano a susseguirsi in tutto il mondo.

Anche l’economia circolare, quindi, rientra a pieno diritto nella questione ambientale. Da dove partire? Dalle comunità, coinvolgendo le persone, facendo conoscere le storie: 100 Italian Circular Economy Stories non contiene materiale da contemplare, ma esperienze da adottare come metodo per affrontare la crisi ambientale.

Il business delle rinnovabili è intrinsecamente circolare: sole, aria, vento, acqua si rinnovano costantemente. Il caso di Enel Group, descritto dal direttore Innovazione e Sostenibilità Ernesto Ciorra, è esemplare. Un colosso energetico che negli anni ha orientato il suo business fino a diventare la maggiore utility mondiale nel campo delle energie rinnovabili.

Enel ha l’obiettivo di produrre, ma Ciorra sottolinea anche che ha il dovere di pensare processi per riutilizzare gli scarti, per rispettare l’ambiente e le persone. Gli esempi non mancano: dalla plastica dei vecchi contatori che viene trasformata in oggetti d’arredo alle centrali a carbone dismesse che diventano villaggi turistici. Gli scarti, ribadisce Ciorra, possono generare bellezza, la circolarità è un modo per valorizzarla.

La vera risorsa è l’intelligenza umana

In che modo possiamo costruire un nuovo ecosistema? La vera risorsa, dice Realacci, è l’intelligenza umana: la nostra forza è nella capacità di leggere le comunità, nel produrre con meno spreco di materiale cose belle che piacciono al mondo. Questi fattori ci permetteranno di vincere la sfida del clima con un’economia sostenibile. La spinta dei cittadini, e quindi dei consumatori, è determinante ma anche la finanza sta cambiando: ormai le banche cominciano a non finanziare le aziende che non sono veramente green.

Qual è il ruolo della persona in questa transizione? Ciorra spiega che è importante la circolarità delle cose, ma le persone sono più importanti. Dal 2015 sono state chiuse in Italia 23 centrali a combustibili fossili, ma «le persone continuano a lavorare per Enel perché le abbiamo formate.

La circolarità delle competenze è più importante di quella delle materie prime. Abbiamo il dovere di aiutare le persone in una transizione giusta e aggiornare le loro competenze perché siano vettore di cambiamento e non attori di una catastrofe sociale. Bisogna agire come un corpo, rigenerando le cellule in armonia».

La presentazione del Rapporto 100 Italian Circular Economy Stories è stata l’occasione per far conoscere alcune esperienze aziendali di economia circolare. Da NextChem – Maire Tecnimont (tecnologie innovative per il riciclo meccanico e chimico dei rifiuti) a Cirfood (ristorazione organizzata e servizi alle imprese), da Acciaieria Arvedi (che ha nel core business l’impegno per l’ambiente) a Simonelli Group (una delle 100 aziende italiane più sostenibili che ha nella sostenibilità integrata un driver di crescita) fino a Salvatore Ferragamo.

Il caso di Salvatore Ferragamo

Questa azienda, simbolo di eleganza italiana nel mondo, ha iniziato un percorso di sostenibilità nel 2013, per espressa volontà della famiglia Ferragamo, consapevole dell’impatto ambientale dell’industria della moda. Oggi, in più, la quotazione in borsa impone assoluta trasparenza.

Il capostipite Salvatore Ferragamo è stato innovatore, usava materiali alternativi in un periodo in cui scarseggiavano le materie prime (usò perfino la carta delle caramelle e inventò le zeppe di sughero, di ancora in voga): la sua impronta e il suo rapporto con i materiali sono rimasti inalterati.

Oggi le collezioni sono disegnate perché abbiano una seconda vita, i clienti sono attenti all’ambiente. C’è una forte spinta interna che viene da un team di giovani che lavorano su materiali sostenibili coniugando creatività, innovazione e artigianalità.

È nata una capsule collection di 300 pezzi per la quale sono stati riutilizzati i tessuti in giacenza per decorare le scarpe: ogni pezzo è un pezzo unico fatto a mano con ornamenti di seta riutilizzati e ristampati con stampa digitale. Anche il packaging è fatto con carta riciclata e scarti di lavorazione della pelle e della seta.

Dal 2019 Ferragamo ha sottoscritto il Fashion Pact, una coalizione di più di 300 aziende leader nella moda e nel tessile impegnati a raggiungere obiettivi condivisi: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani.

Cosa accomuna i leader delle aziende protagoniste di 100 Italian Circular Economy Stories? Coraggio ed empatia, la voglia di mettere la persona al centro, interesse per la salute del Pianeta, creatività. Ma oltre a tutto questo, conclude Realacci, la sfida deve essere anche divertente: se pensiamo che il mondo sta finendo perdiamo la spinta ad agire per il futuro. Dobbiamo essere ottimisti.

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