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Gli investitori fanno pressione al G7: basta soldi al carbone

Il vertice di La Malbaie dovrà affrontare la profonda spaccatura economica tra USA ed Europa, con il rischio lasciare ancora una volta la questione climatica in un angolo

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Conto alla rovescia per il G7 di La Malbaie, sotto la presidenza del Canada

(Rinnovabili.it) – Tutto è pronto per il 44esimo vertice del G7. Dall’8 al 9 giugno i rappresentanti di Canada (a cui spetta la Presidenza di turno), Stati Uniti, Italia, Giappone, Francia, Regno Unito e Germania si riuniranno a La Malbaie, assieme al presedente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello della Commissione Jean-Cluade Junker, con il consueto obiettivo di favorire iniziative macroeconomiche condivise. Non sarà un incontro disteso vista l’ombra della guerra commerciale che i nuovi dazi stelle e strisce proiettano sui rapporti tra Usa ed Europa. E il rischio più probabile è che la questione climatica, fra i principali temi del G7, venga ancora una volta presa sotto gamba.

Sono ormai anni che si attende una presa di posizione decisa dal gruppo dei sette nei confronti dei combustibili fossili. Tuttavia, con la nuova presidenza USA e la posizione da negazionista climatico assunta da Donald Trump, l’attesa è divenuta quasi vaga speranza.

Nonostante ciò, c’è chi non si dà per vinto e preme affinché il cambiamento climatico rimanga sotto i riflettori del vertice: alcuni dei più grandi investitori istituzionali stanno facendo pressioni ai leader del G7 che si riuniranno a La Malbaie affinché si impegnino a eliminare gradualmente il carbone dalla produzione energetica. Il gruppo riunisce nomi come DWS e HSBC Global Asset Management e alcuni importanti fondi pensione statunitensi tra cui CalPERS: 228 realtà che gestiscono un portafoglio di ben 26mila miliardi di dollari.

 

In una dichiarazione congiunta inviata ai leader del vertice, gli investitori sottolineano come i piani governativi per ridurre le emissioni di gas serra siano troppo deboli per limitare il riscaldamento come concordato in occasione della COP 21 di Parigi nel 2015. È la prima volta che un gruppo così ampio di investitori fa sentire la propria voce sul tema. “Il passaggio globale all’energia pulita è in corso, ma i governi devono fare molto di più”, spiegano i firmatari, invitando le sette potenze a “eliminare gradualmente l’energia del carbone termico in tutto il mondo fissando delle scadenze”, a rimuovere progressivamente i sussidi ai combustibili fossili e a “dare un prezzo significativo al carbonio”.

Lo scoglio più grande da superare, a parte la ritrosia di Washington, è la costante discrepanza tra promesse e azioni. Nel vertice del 2016, in Giappone, il G7 aveva firmato un documento in cui si chiedeva, a partire dal 2025, di non erogare più i sussidi “inefficienti” alle fonti fossili. In realtà già nel 2009 il G8 aveva avanzato questo stesso impegno, ma senza proporre una data di scadenza con cui confrontarlo. Eppure i trend attuali mostrano che “l’amore per l’energia sporca” è tutt’altro che assopito. Le stesse nazioni spendono collettivamente oltre 80,62 miliardi di dollari in sostegno fiscale e 19,54 miliardi di finanziamenti pubblici per sostenere petrolio, gas e carbone

 

“I paesi del G7 stanno continuando a sovvenzionare petrolio, gas e carbone, alimentando pericolosi cambiamenti climatici con il denaro dei contribuenti”, ha affermato Shelagh Whitley, responsabile del programma Climate and Energy dell’Overseas Development Institute (ODI). L’Istituto, assieme ad altri tre enti internazionali, ha voluto quantificare l’impegno climatico di ciascun membro del gruppo, mostrando i progressi compiuti in questi anni. Ma quello che salta all’occhio sono soprattutto i punti deboli. In Europa, ad esempio, la Francia porta avanti una seria politica climatica in patria ma si è impegnata a finanziare nuove esplorazioni petrolifere all’estero. La Germania è uno dei sostenitori più accaniti dell’energia elettrica da carbone e del diesel nei trasporti. Anche l’Italia fornisce significativi livelli di sostegno fiscale al settore dei trasporti (Leggi anche Sussidi alle fossili: ecco quanto paghiamo l’energia inquinante), la maggior parte dei quali va all’uso del gasolio, mentre il Regno Unito manca di trasparenza essendosi sempre rifiutato di pubblicare rapporti sui sussidi forniti alle fossili.