In occasione di Key - The Energy Transition Expo 2024 abbiamo incontrato Stefano Scazzola, Head of Renewable Development ENGIE Italia
E’ una delle aziende in prima linea nella transizione verso un mondo carbon neutral e oggi, anche grazie una presenza diffusa sul territorio nazionale e un’attenzione all’intera filiera energetica, è uno dei nomi di riferimento del panorama italiano delle green energy. Parliamo di ENGIE Italia, realtà impegnata a portare avanti un percorso di decarbonizzazione a misura di cittadini, imprese e territorio. In occasione di Key – The Energy Transition Expo 2024 abbiamo incontrato Stefano Scazzola, Head of Renewable Development ENGIE Italia, per farci raccontare i risultati raggiunti sino ad oggi e gli obiettivi a medio termine.
Come si sta posizionando ENGIE sul mercato delle rinnovabili in Italia?
La transizione ecologica è al centro del nuovo piano industriale di ENGIE. A livello globale prevediamo di raggiungere complessivamente, entro il 2030, una capacità installata di 80 GW. L’Italia è un paese di grande interesse: qui la nostra presenza è consolidata, 3.200 persone lavorano per noi. Il piano di sviluppo delle rinnovabili è ambizioso, vorremmo arrivare ad avere oltre 2 gigawatt in servizio al 2030. Quando sono arrivato in questa azienda avevamo 150 megawatt in servizio, oggi sfioriamo i 600 megawatt; abbiamo fatto tanta strada, ma ne dobbiamo fare ancora molta.
I presupposti ci sono: in questi anni abbiamo costruito una piattaforma, abbiamo un team di sviluppo molto allargato, abbiamo una pipeline decisamente importante. Quindi è un’ottima base di partenza per raggiungere il nostro obiettivo, anche se ovviamente queste pipeline si portano dietro la mortalità di progetti e i tempi in po’ lunghi della burocrazia italiana.
Quali tecnologie utilizzate?
Storicamente siamo molto focalizzati sul wind – circa 400 megawatt in servizio sono wind – ma abbiamo una forte componente di fotovoltaico nella nostra pipeline.
All’interno dei 600 megawatt in servizio, 100 megawatt sono fotovoltaici. In particolare, mi riferisco ai due progetti agrivoltaici, che sono entrati in servizio in Sicilia, uno a Mazara del Vallo da 66 megawatt e uno a Paternò da 38 megawatt. Altri impianti fotovoltaici di taglia più piccola sono in già fase di costruzione o lo saranno a breve, contribuendo per ulteriori 50MW. Intendiamo investire in maniera massiccia sull’agrivoltaico, infatti il 95% della nostra pipeline utilizza questo approccio. In Italia ci sono state parecchie iniziative di piccole dimensioni nel settore, ma a livello di utility scale siamo stati i primi a scommetterci.
Oggi è un approccio consolidato, larga parte dei progetti che si stanno sviluppando vanno in questa direzione.
Se non sbaglio, ENGIE ha l’impianto più grande in Sicilia.
Al momento è l’impianto agrivoltaico più grande, è stato inaugurato a maggio dello scorso anno. Ha una potenza installata di 66 megawatt e copre una superficie di 114 ettari.
Quando ENGIE lo ha acquistato, il terreno era incolto, con problemi idrogeologici, con accumuli di acqua, estremamente pietroso. Gran parte del lavoro è stato quello di ripristinare un terreno dove fosse possibile svolgere attività agricola: abbiamo bonificato quest’area senza però sottrarre nulla al ciclo del cibo. Su queste superfici stiamo coltivando principalmente foraggio, avena, sulla (una pianta erbacea leguminosa). Nei campi sperimentali invece testiamo singole colture come alloro, rosmarino, vite, asparagi. Quest’anno stiamo cominciando a vedere i primi risultati di queste coltivazioni: per esempio, gli asparagi non hanno risposto bene, diversamente dalle altre colture.
Chi sta studiando questo aspetto? Avete un laboratorio sul posto?
Questo è uno dei punti forse più importanti da far passare. È chiaro che la nostra attività è legata alla produzione elettrica, quindi dobbiamo farci seguire da una serie di collaboratori che ci aiutano e ci guidano. Gli operatori devono imparare a sviluppare questo aspetto; probabilmente all’interno di questo settore crescerà anche una filiera di expertise.
Delle nuove figure professionali, quindi, degli “agronomi energetici”
Abbiamo una collaborazione con un agronomo, che ha creato il piano pedoagronomico per le due iniziative e che continua a seguire con interesse scientifico l’impianto in provincia di Catania. La collaborazione con l’Università di Palermo è più mirata alla parte sperimentale, quindi a studiare le condizioni agronomiche del terreno con l’inserimento dei moduli, e come queste si riflettono sulla parte sperimentale. Inoltre ci sono delle collaborazioni con chi effettivamente lavora il terreno: è un aspetto che riguarda la sicurezza, perché non si interviene su un campo libero, ma su un campo produttivo.
Ci sono aspetti più legati alla parte strettamente operativa, perché l’attività deve essere fatta in maniera tale da non compromettere l’asset. Faccio l’esempio della pietrosità: una macchina che entra nel terreno tira su delle pietre che potrebbero andare a sbattere contro i moduli e rovinarli. Quindi bisogna stare attenti a come si effettuano le manovre.
Questi moduli sono posizionati in quota?
Sono posizionati su tracker che si orientano seguendo il sole. L’altezza minima a cui arrivano quando sono completamente inclinati è di 50 centimetri. Questo significa che la parte opposta del modulo è completamente in alto (quando sono orizzontali stanno a poco più di due metri). I moduli vengono opportunamente distanziati in modo da consentire al trattore standard, quello che siamo abituati a vedere, di passare tra le fila di pannelli. Tuttavia, i mezzi più grandi non sono in grado di spingersi fin sotto al pannello, motivo per cui preferiamo usare mezzi più piccoli che consentono di operare efficacemente sull’intera superficie disponibile.
In questo contesto non facciamo quindi riferimento all’agrivoltaico definito “avanzato”, anche se tra i progetti in sviluppo abbiamo anche dei progetti che adottano questo approccio ancor più spinto, elevando molto il pannello da terra e consentendo quindi un ancor più agevole passaggio dei mezzi agricoli.
Stanno nascendo delle macchine proprio per la lavorazione con l’agrivoltaico.
Ci sono già macchine di dimensioni più piccole e noi le utilizziamo. Alcune aziende, come CNH Industrial, stanno lavorando a macchine più piccole con motore 100% elettrico, perché anche il futuro dell’agricoltura passa per l’elettrificazione.
A proposito di potenza installata, abbiamo detto 400 di eolico, 150 di fotovoltaico, ma in totale arriviamo a 600. Cosa manca nel conto?
Abbiamo circa 43 megawatt di storage (BESS per la precisione – Battery Energy Storage System), di cui 5MW in costruzione e 38 che sono entrati in servizio di recente. Di questi, uno è l’impianto di Nera Montoro in Umbria che ha 25 megawatt di capacità installata, l’altro di 13MW è vicino all’impianto di Trapani-Salemi, che è l’impianto storico eolico di ENGIE da 66 megawatt.
La batteria è indipendente, può prelevare sia dal parco che dalla rete e restituire. Hanno vinto un’asta di Terna, il transmission system operator, che cercava unità chiamate fast reserve unit, ovvero che possono sostenere la rete in condizioni di criticità. Quello dello Storage è un ulteriore segmento su cui vogliamo intervenire. Questi impianti sono perfetti per capire come devono essere gestiti e qual è il business model a cui possiamo affidarci.
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