Rinnovabili • Vantaggi e costi della transizione: come calcolarli?

Bilanciare vantaggi e costi della transizione non è un’impresa impossibile

Uno studio coordinato dal CMCC propone un indice di benessere multidimensionale che tiene conto di molti fattori oltre al pil per valutare le traiettorie di transizione migliori nei diversi scenari emissivi

Vantaggi e costi della transizione: come calcolarli?
Foto di Austin Neill su Unsplash

La sicurezza alimentare è uno dei punti più scivolosi nel calcolo di vantaggi e costi della transizione

Per mettere l’Italia sulla traiettoria giusta per gli obiettivi al 2030 e al 2050 servirebbero investimenti per 3.351 miliardi di euro. Uno sforzo enorme che però dà dei vantaggi netti: 328 mld euro di ritorni economici, oltre 2 milioni di posti di lavoro in più, e 614 mld risparmiati tra sanità e settori produttivi. Lo calcolava due anni fa un rapporto di Enel Foundation e The European House – Ambrosetti. Molti studi come questo, negli ultimi anni, tentano di stimare i benefici netti della transizione. Ma lo fanno da una prospettiva particolare, quella economica, tralasciando spesso altre dimensioni almeno altrettanto importanti. È possibile calcolare in modo più completo i vantaggi e i costi della transizione?

Calcolare vantaggi e costi della transizione, al di là del pil

La risposta arriva da uno studio coordinato dal CMCC nell’ambito del progetto europeo CAPABLE. I ricercatori hanno messo a punto un “indice di benessere multidimensionale” che integra diversi fattori capaci di descrivere in modo più accurato i vantaggi e i costi della transizione. Al di là del semplice pil, l’indice si compone di valutazioni su temperatura, emissioni di ossidi di azoto (NOx) e zolfo come indicatori degli impatti sulla salute, disponibilità di cibo come indicatore degli impatti sulla salute legati all’agricoltura e al consumo alimentare, produzione di elettricità come indicatore dell’accesso all’energia e della fornitura di energia pulita, e copertura forestale come indice della conservazione della biodiversità.

L’indice viene poi confrontato con i diversi scenari emissivi presentati nell’ultimo rapporto dell’IPCC per individuare quali politiche climatiche più ambiziose, nei diversi scenari, portano a un aumento del benessere complessivo. In generale l’indice aumenta quanto più la temperatura globale viene contenuta. “Vediamo che mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 o 2 gradi porta a risultati ancora migliori in termini dei nostri indici di benessere multidimensionali”, spiegano gli autori.

Il punto più delicato in ogni scenario di transizione è bilanciare l’ambizione climatica con la sicurezza alimentare. Obiettivi climatici più rigorosi migliora generalmente il benessere umano a medio e lungo termine, anche quando ostacola parzialmente lo sviluppo in altre dimensioni (a causa di costi più elevati, oppure perché riduce la disponibilità di cibo).

“Tuttavia, è importante notare che il raggiungimento di target climatici rigorosi è spesso associato alla riforestazione e alle colture dedicate alla bioenergia che competono con l’uso del suolo per garantire la disponibilità di cibo. Questo indica che alleviare il trade-off tra mitigazione del cambiamento climatico e disponibilità di cibo è anch’esso cruciale”, spiega lo studio.

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