Rinnovabili • Cattura diretta dall’aria: il carbone attivo abbatte i costi

Una “batteria” di carbone attivo migliora la cattura diretta dall’aria di CO2

Un tessuto in carbone attivo caricato con ioni idrossido permette di catturare CO2 con prestazioni analoghe alle strutture metallo-organiche impiegate tradizionalmente nei filtri solidi, e di abbattere l’intensità energetica del processo

Cattura diretta dall’aria: il carbone attivo abbatte i costi
crediti: università di Cambridge

Cambridge rende il carbone attivo un buon candidato per la DAC

Rendere più economica ed efficiente la cattura diretta dall’aria di CO2 a filtro solido grazie a un materiale poco costoso, stabile e facilmente reperibile. Un team di ricerca dell’università di Cambridge è sulla buona strada per riuscirci. L’intuizione: sostituire con il carbone attivo i materiali spugnosi comunemente impiegati per realizzare i filtri.

Migliorare la cattura diretta dall’aria con una “batteria” di carbone attivo

Il punto di partenza è un comune e poco costoso tessuto in carbone attivo. Lo stesso tipo di materiale che viene utilizzato nei filtri domestici per l’acqua. Allo stato inerte, il carbone attivo non interagisce con la CO2. Per renderlo un materiale sorbente adatto alla DAC (Direct Air Capture), i ricercatori lo hanno trasformato in una “batteria”.

La trasformazione è ottenuta aggiungendo idrossidi al tessuto e applicando una carica elettrica. La reazione elettrochimica fa accumulare gli ioni dell’idrossido nel tessuto di carbone attivo, come avverrebbe in uno degli elettrodi di una batteria. Gli ioni formano legami reversibili con la CO2, ovvero la catturano e la possono rilasciare.

Uno dei vantaggi principali dell’uso del carbone attivo nella cattura diretta dall’aria di CO2 sta proprio nella facilità del processo di rilascio delle molecole di anidride carbonica. Come in altre configurazioni già testate in ambito DAC, disperdere ioni di idrossido su materiali porosi permette il rilascio di CO2 a temperature significativamente più basse dei metodi tradizionali, intorno ai 100°C invece di circa 900°C. Pertanto, il processo richiede meno energia e può essere alimentato da fonti rinnovabili.

Lo stesso vale per il carbonio attivo. Nella configurazione messa a punto dai ricercatori, con una temperatura di 90-100°C e un riscaldamento resistivo – il materiale viene riscaldato dall’interno – è possibile rendere il processo più veloce e diminuirne l’intensità energetica. Questo punto di forza si combina con la stabilità ed economicità del carbonio attivo, a differenza di altri materiali testati per la DAC basati su strutture metallo-organiche.

Una DAC per altre molecole oltre la CO2?

“È un nuovo modo di produrre materiali, utilizzando un processo simile a una batteria”, spiegano gli autori. “E i tassi di cattura della CO2 sono già paragonabili a quelli dei materiali tradizionali. Ma ciò che è ancora più promettente è che questo metodo potrebbe essere molto meno dispendioso in termini energetici, poiché non sono necessarie temperature elevate per raccogliere la CO2 e rigenerare la spugna di carbone”.

Tra le limitazioni attuali su cui continua a lavorare il team di Cambridge c’è la quantità di CO2 che può essere catturata durante il singolo ciclo e il miglioramento delle prestazioni in condizioni di umidità, finora molto basse. Con la prospettiva di trovare altre applicazioni per la “batteria” ai carboni attivi: potenzialmente, il tessuto caricato può catturare anche molecole diverse dalla CO2.

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