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Agricoltura rigenerativa, verso un sistema alimentare più sostenibile

Protezione e risanamento dell’ambiente, miglioramento dei mezzi di sussistenza degli agricoltori e del benessere delle comunità agricole sono gli obiettivi a cui Nestlé sta lavorando per supportare e accelerare la transizione verso un sistema alimentare rigenerativo

sistema alimentare rigenerativo

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Il Rapporto di IPCC- Intergovernmental Panel on Climate Change conferma l’aggravarsi di una crisi climatica in cui i sistemi agroalimentari sono chiamati a fare la loro parte e intraprendere un percorso di sostenibilità. In coincidenza con il Food Systems Summit delle Nazioni Unite Nestlé ha annunciato gli impegni che intende assumere per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030.

La determinazione di Nestlé: Good food, Good life

Protezione e risanamento dell’ambiente, miglioramento dei mezzi di sussistenza degli agricoltori e del benessere delle comunità agricole sono gli obiettivi a cui Nestlé sta lavorando per supportare e accelerare la transizione verso un sistema alimentare rigenerativo insieme ai suoi partner, inclusa la rete di oltre 500.000 agricoltori e 150.000 fornitori. La sfida non è solo ambientale: Nestlé avvierà nuovi programmi per attuare la transizione green tenendo presenti anche gli aspetti sociali ed economici.

Quanto può pesare l’impegno di Nestlé, un’azienda alimentare leader nel mondo? Sicuramente molto. Attiva dal 1866 (in Italia da più di 100 anni), è presente in 187 Paesi con più di 2000 marche tra globali e locali. Produce e distribuisce prodotti per la nutrizione, la salute e il benessere delle persone. Good food, Good life non è una semplice affermazione, ma una determinazione. «Siamo consapevoli che l’agricoltura riveste un ruolo fondamentale nel miglioramento della salute del suolo, nel ripristino del ciclo dell’acque e nell’aumento della biodiversità a lungo termine», ha dichiarato Paul Bulcke, Chairman di Nestlé.

Un piano definito per obiettivi ambiziosi

L’azienda è tra i firmatari dell’impegno Business Ambition for 1.5°C delle Nazioni Unite ed è stata una delle prime a condividere, a dicembre 2020, il suo piano dettagliato e con scadenze ben definite: l’obiettivo di Nestlé è dimezzare le sue emissioni entro il 2030 e raggiungere quota zero entro il 2050. «Questi risultati costituiscono la base di una produzione alimentare sostenibile e, elemento fondamentale, contribuiscono anche al raggiungimento dei nostri ambiziosi obiettivi climatici».

Mai come ora sta diventando sempre più chiaro che la transizione green non sarà un pranzo di gala e tutti dovranno contribuire per non scaricane il peso sulle fasce più fragili della popolazione. A tal proposito, Mark Schneider, CEO di Nestlé, ha confermato l’impegno verso pratiche agricole buone per l’ambiente e per le persone: «Per sostenere una corretta transizione, per noi è fondamentale aiutare gli agricoltori di tutto il mondo che si assumono i costi e i rischi legati al passaggio all’agricoltura rigenerativa». Infatti sono previsti sostegni per garantire un reddito adeguato agli agricoltori e rendere l’agricoltura un settore più attrattivo. Le iniziative di rigenerazione di Nestlé fanno parte del programma “Generation Regeneration” focalizzato su agricoltori, giovani, consumatori e dipendenti.

Il primo progetto sul pomodoro

Uno dei progetti su cui si focalizza l’azione di Nestlé è quello relativo alla coltivazione del pomodoro. In collaborazione con Steriltom (che fornisce la polpa di pomodoro per le pizze Buitoni), l’azienda ha avviato in Italia all’inizio del 2021 un primo progetto di agricoltura rigenerativa che, grazie a sonde “intelligenti” installate nei campi, contribuisce a risparmiare più del 40% di acqua per l’irrigazione dei pomodori.

Come funziona in concreto? Vengono installate 8 sonde (tensiometri) che monitorano un’area di 62 ettari completamente dedicati a Nestlé per la coltivazione delle circa 2.700 tonnellate di pomodoro destinato ogni anno allo stabilimento Buitoni di Benevento, l’hub internazionale per la pizza surgelata del Gruppo. Attraverso un dispositivo mobile che comunica con i sensori presenti sulla sonda, gli agricoltori ottengono in tempo reale aggiornamenti e informazioni dettagliate sulle condizioni di umidità del terreno.

La maggiore efficienza dell’irrigazione riduce significativamente lo spreco idrico e garantisce alla pianta acqua di cui ha bisogno. Le piante di pomodoro si mantengono in buona salute e sono più reattive e resistenti agli attacchi patogeni o alle ondate di calore. La minore necessità di trattamenti chimici preserva la biodiversità, protegge la fertilità del suolo e ne salvaguarda le sostanze organiche.

Per cambiare rotta serve la formazione

 Marco Travaglia, presidente e amministratore delegato Gruppo Nestlé Italia e Malta, è particolarmente orgoglioso di questo progetto «che rappresenta un primo, ma importante passo nel cammino che stiamo intraprendendo in Italia per supportare l’adozione di pratiche di agricoltura rigenerativa nella nostra filiera. Le aziende che operano nel settore agroalimentare hanno il dovere e l’opportunità di contribuire a un cambio di rotta, positivo per l’ambiente, le comunità, per noi stessi e per le generazioni future».

Il progetto non si limita all’Italia ma è di portata globale. Nei prossimi cinque anni, Nestlé investirà 1,2 miliardi di franchi per promuovere l’agricoltura rigenerativa in tutta la sua catena di approvvigionamento, utilizzando tre diverse leve per aiutare gli agricoltori ad adottare pratiche rigenerative: applicare la scienza e le tecnologie più all’avanguardia e fornire assistenza tecnica; offrire sostegno agli investimenti; pagare un sovrapprezzo per prodotti provenienti dall’agricoltura rigenerativa.

Un programma così ambizioso non può non guardare ai giovani. A novembre Nestlé lancerà una piattaforma dedicata alla formazione di una nuova generazione di imprenditori agricoli, focalizzata sulle pratiche di agricoltura rigenerativa e su come migliorare la resilienza delle aziende agricole al cambiamento climatico.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.