Cambiamento climatico: le cause e i rimedi

Quest’anno a Parigi si attende una svolta internazionale sui temi del cambiamento climatico. Di cosa si tratta? Quali sono le cause e gli effetti? Ecco tutte le risposte

Cambiamento climatico cop21 parigi
Foto di Enrique da Pixabay

(Rinnovabili.it) – Se tutto andrà per il meglio, il 2015 passerà alla storia come l’anno dell’accordo sul cambiamento climatico, di cui è attesa la promulgazione alla conferenza COP21 di Parigi, che si aprirà il prossimo dicembre. Le conferenze COP sono organizzate dalle Nazioni Unite in attuazione della Convenzione internazionale sul clima (Unfccc) e si svolgono tra le nazioni che l’hanno firmata. Quella di Parigi sarà la ventunesima della serie, nella quale appunto dovrebbe essere siglato uno dei più importanti atti internazionali mai sottoscritti. In sostanza, con il Trattato di Parigi, l’umanità deve trovare un accordo di collaborazione globale per non soccombere al disastro da essa stessa innescato.

Le cause

L’enorme sviluppo economico generatosi dopo la seconda guerra mondiale ha innescato, prima solo in occidente, ma dal 2000 in poi un po’ in tutto il mondo, il consumo sfrenato di fonti energetiche fossili, in particolare carbone, petrolio e gas naturale (metano).

Per farsi un’idea dei consumi, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia al giorno d’oggi l’umanità brucia ogni giorno 93 milioni di barili di petrolio. Inoltre ogni essere umano (siamo ormai 7,2 miliardi) consuma in media ogni anno una tonnellata di carbone. Prosegue infine senza soste la distruzione di foreste tropicali, sostituite da pascoli o piantagioni, con altre emissioni di anidride carbonica dal legname bruciato e dai suoli lavorati per metterli a coltura.

Tutto questo si traduce in emissioni globali per circa 32 miliardi di tonnellate di CO2. La CO2 è un gas che, pur presente in tracce nell’atmosfera, ha l’effetto di regolare la temperatura planetaria, un po’ come la manopola di un fornello. Inavvertitamente, con tutte queste combustioni ed emissioni, stiamo alzando la fiamma sotto la pentola d’aria nella quale siamo tutti seduti.

Il pianeta ha dei meccanismi per assorbire la CO2, in particolare gli oceani sono voraci di anidride carbonica, purtroppo però questi meccanismi riescono a prelevare dall’atmosfera solo la metà circa di quanto emettiamo. Il resto si accumula in aria. Un effetto collaterale del grande assorbimento oceanico di CO2 è che i mari si stanno acidificando (oltre a riscaldarsi e a salire), con conseguenze molto serie sulla biologia degli organismi che li popolano. Troppa acidità, in particolare, ostacola la formazione dei gusci di molti molluschi, il che diminuisce la sedimentazione di CO2 in forma di carbonati, un processo di grande importanza geologica e climatica.

Gli effetti del cambiamento climatico

Sono molti ed evidenti i segnali di crisi, tutti misurati dalla crescita di diversi parametri: l’anidride carbonica, le temperature (in particolare quelle estreme estive ma anche quelle medie invernali), il livello dei mari, la frequenza e/o intensità di eventi dannosi o catastrofici come siccità, alluvioni, uragani e tornado.

Prima che cominciasse la civiltà industriale, l’aria conteneva circa 280 parti per milione di CO2. Nel 1958, quando sono cominciate le misure regolari a cura degli Usa, le ppm erano salite a 315. Oggi abbiamo sfondato soglia 400 ppm e non si vedono accenni di rallentamento. Dai dati disponibili, la CO2 già oggi ha valori pari al doppio di quelli mediamente riscontrati nell’ultimo milione di anni e, se non si fa nulla per fermarla, la sua concentrazione in aria potrebbe schizzare a valori “da Giurassico” entro fine secolo.

Oltre alla CO2 sono in aumento anche altri gas serra di origine umana, anzi soprattutto agricola, come il metano (esalato in buona parte dalle risaie e dai bovini) e il protossido di azoto (che in buona parte deriva dalle concimazioni azotate). È anche in corso l’inquietante fenomeno di riscaldamento e progressivo scioglimento del permafrost, il terreno un tempo sempre congelato delle regioni circumpolari, come la Siberia e il Canada settentrionale. Mentre si scioglie, il permafrost rilascia in aria notevoli quantità di metano, ed è di queste settimane la notizia di imponenti incendi del terreno in Siberia.

Complessivamente i gas serra antropici stanno alterando l’equilibrio tra la radiazione solare in arrivo al suolo e quella infrarossa che lo lascia, con il risultato netto di aumentare la temperatura alla superficie, riscaldare gli oceani e modificare le condizioni meteorologiche globali e locali.

Moltissime sono le conseguenze negative di questa situazione, anche se va detto, a onor del vero, che i paesi nordici non sono del tutto scontenti di avere un po’ più caldo e poter coltivare piante che prima sarebbero morte di freddo. Vi sono anche alcuni benefici sulla vegetazione naturale, causati dalla maggiore abbondanza di CO2 che facilita il processo di fotosintesi clorofilliana e, almeno in teoria, genera una più grande produzione di biomassa.

In generale l’impatto dei cambiamenti climatici è molto forte in agricoltura, sulla natura e biodiversità, sulla salute e sul benessere umano. A tracciare dettagliatamente il quadro scientifico dei cambiamenti climatici attuali e prevedibili, e dei loro impatti, è da quasi trent’anni l’Ipcc. Si tratta di un importante comitato intergovernativo creato sotto l’egida dell’Onu, premio Nobel per la pace 2007, che passa al setaccio e analizza la letteratura tecnico-scientifica globale e fornisce periodici imponenti rapporti sulla situazione climatica e sulle sue possibili evoluzioni. Recentemente l’Ipcc ha visto l’abbandono del suo storico e spesso criticato leader, l’indiano Rajendra Pachauri, che sarà sostituito in ottobre, al termine di una procedura di valutazione ancora in corso.

Di chi è la colpa?

Per decenni (se non per secoli) i paesi industrializzati responsabili delle emissioni hanno coinciso con quello che chiamiamo Occidente, ovvero l’Europa, gli Stati Uniti e però anche il Giappone.

Da una ventina d’anni a questa parte, tuttavia, il club degli emettitori di gas serra sta diventando sempre più grande. La Cina, al giorno d’oggi, risulta il più grande emettitore di CO2 mondiale, anche se distribuendo le emissioni cinesi pro capite si ottengono ancora valori di 6 ton CO2/anno, inferiori a quelli medi europei (8) e molto inferiori a quelli americani (16).

I gas serra si liberano in aria non solo per combustione di fonti energetiche fossili ma anche per la produzione massiccia di cemento (la chimica vuole che per ogni chilo di cemento prodotto si liberi in aria circa un chilo di CO2), grazie ai bovini e alle risaie (entrambi fonti continue di emissioni di metano), e anche alle concimazioni azotate, che hanno spesso come sottoprodotto il già citato gas serra N2O (protossido di azoto).

Brasile e Indonesia hanno invece grandi foreste tropicali in via di smantellamento: in Brasile soprattutto per passare al pascolo, alla produzione di mangimi e di canna da zucchero, in Indonesia per installare al loro posto enormi palmeti da olio e alberi della gomma. Ogni ettaro di terreno forestale dissodato ai tropici può generare emissioni fino a dieci tonnellate di CO2, dovute all’ossidazione della materia organica.

I rimedi per salvare il clima

Con il Trattato climatico di Parigi si dovranno stabilire nuove limitazioni alle emissioni di gas serra, sulla falsariga di quanto già accaduto con il protocollo di Kyoto, che però riguardava un numero limitato di nazioni “occidentali”. Il prossimo accordo deve invece coinvolgere anche tutte le altre nazioni, comprese quelle che fino a vent’anni fa consideravamo in via di sviluppo e che invece oggi appaiono saldamente indirizzate a una potente dinamica di crescita economica.

Anche se negli ultimi anni diversi vertici internazionali sul clima sono falliti (o hanno ottenuto risultati molto modesti) la questione climatica resta in agenda e molti paesi la stanno affrontando almeno da due punti di vista: quello della sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili e quello dello sganciamento della crescita economica dalle emissioni di gas serra (la cosiddetta decarbonizzazione dell’economia) attraverso un aumento drastico dell’efficienza energetica.

Vi è anche una terza questione in ballo, quella molto seria, dell’adattamento al nuovo clima ove possibile e dell’eventuale gestione e mitigazione dei danni ove l’adattamento si riveli impossibile. Ad esempio New York si sta organizzando per resistere alle prossimi inevitabili grandi tempeste con un grosso programma di difese a mare, mentre le popolazioni di alcune piccole isole ormai quasi sommerse devono necessariamente organizzarsi per abbandonarle, e giustamente pretendono il supporto finanziario dei paesi più ricchi, in buona parte responsabili del dramma che le ha colpite.

Questi paesi hanno recentemente messo in discussione l’obiettivo “tecnico” del Trattato di Parigi, consistente nel contenere entro due gradi l’aumento delle temperature medie globali, un valore ritenuto gestibile anche se con notevoli sforzi di adattamento, e hanno proposto di ridurlo a un grado e mezzo, dato che già oggi, con neanche un grado di aumento, molte comunità rivierasche e isolane sono già in crisi.

Merita segnalare che alcuni scienziati e attivisti pongono come obiettivo necessario, per impedire gravi disastri, che in prospettiva la concentrazione di CO2 torni a diminuire verso obiettivo 350 ppm, il che potrebbe essere ottenuto a lungo termine solo eliminando del tutto i combustibili fossili e ripristinando ampie superfici forestali. Ma la tecnologia forse in questo campo ha in serbo qualche sorpresa positiva, come dimostrano recenti tentativi riusciti di “distillare” carburanti direttamente dalla CO2 atmosferica, con l’aiuto di abbondante energia rinnovabile, un processo che ricorda molto la fotosintesi naturale, che per l’appunto sintetizza composti energetici dall’anidride carbonica dell’aria, per mezzo dell’energia del sole.

Non appaiono molto promettenti invece i cosiddetti metodi CCS, che prevedono la cattura della CO2 dalle fonti di emissione (per esempio i camini delle centrali termoelettriche) e il suo stoccaggio sotterraneo, per non parlare di altre tecniche indicate con il termine “geoingegneria”, i cui rischi potenziali potrebbero di molto superare gli eventuali benefici.

Sostituire le fonti fossili, sperperare meno energia e riforestare il pianeta, sono questi i tre elementi più concreti di un piano di azione climatica capace, se attuato con grande determinazione e fretta, di rimettere in asse il sistema climatico della Terra.

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9 Commenti

  1. Nell’articolo: “Ogni ettaro di terreno forestale dissodato ai tropici può generare emissioni fino a dieci tonnellate di CO2, dovute all’ossidazione della materia organica.”

    Mi sembra una quantità molto sottostimata. Se un terreno nei primi 0.3 m contiene il 2 per cento si sostanza organica, della quale il 0,58 è costituito da carbonio, ed una densità apparente di 1300 kg m-3, la quantità di C per ettaro è di circa 45 tonnellate. Se circa la metà di questo carbonio viene persa nella conversione a terreno arato (nei climi tropicali non è azzardato stimare un dimezzamento) abbiamo 22 tonnellate di C /0,2727= 83 tonnellate di CO2.
    Questo senza contare che almeno 100 tonnellate di biomassa, quindi 50 di C e 183 di CO2 vengono rilasciate in atmosfera a seguito della combustione o comunque della ossidazione della biomassa forestale.

  2. Una rappresentazione davvero apocalittica (come è nell’abitudine di certi catastrofisti in servizio permanente effettivo) che supera anche l’immaginazione di certi registi cinemtografici.

    Si vorrebbe far credere che le teorie e le ipotesi (ovviamente, per sommaria “cautela”, quasi sempre espresse al condizionale!) siano verità scientifiche e dimostrate; il che è tutto il contrario dela realtà!

    Approfondimenti di seri scienziati, che analizzano anche e soprattutto le evidenze (non le teorie) storiche, dimostrerebbero infatti che c’è una concreta correlazione giusto inversa a quella ipotizzata dai “catastrofisti”, vale a dire che è la temperatura che è periodicamente cambiata nel passato e solo in seguito sono mutate le emissioni e concentrazioni di CO2 in atmosfera!
    Altre molto concrete correlazioni che esminano le variazioni periodiche delle “macchie solari” dimostrano anch’esse una correlazione molto evidente tra queste variazioni e le marginali variazioni di temperature sulla Terra, a dimostrazione che le principali cause di tale variabilità, fortunatamente, sono esterne al ns. pianeta sulle quali l’uomo a ben poco a che fare.

    Il problema evocato da lorsignori, invece, è che si auspicherebbe l’abbandono delle conquiste che una parte dell’umanità ha saputo conseguire e che grazie appunto alla disponibilità di abbondante energia, ha permesso di conquistare indubbio benessere e sviluppo che, invece, costoro implicitamente vorrebbero che fosse velo cemente abbandonato, per dare ambito alle loro teorie di esplicitarsi. Gli effetti, non sarebbero ovviamente immediati e quindi il rischio vero e concreto che si produrrebbero danni enormi la cui evidenza si farebbe sentire in termini temporali sufficientemente proiettati in avanti da far perdere cognizione di chi e cosa li hanno prodotti.

    E’ un rischio questo che non può essere sottovalutato, perchè è certamente inaccettabile, mentre nel contempo impedirebbe a quel terzo di umanità che vive nei troppi Paesi sottosviluppati del Pianeta di uscire dalla loro miseria e di evolvere, conquistando un pò di benessere ed aprendosi allo sviluppo.

    Se mle risorse vengono sperperate per inseguire fallaci teoremi, vengono poi a mancare per invece affrontare i veri grandi problemi dell’umanità, primi fra tutti la FAME e le misere condizioni di vita di questi nostri simili.

    Speriamo che il buonsenso infine prevalga e che ci si renda conto di quali danni le ideologie hanno procurato e continuano a procurare all’umanità.

    • Nessuno, proprio nessuno, auspica l’abbandono delle conquiste raggiunte e tantomeno del benessere. Le società dei paesi avanzati hanno intrapreso il cammino dell’efficienza energetica senza rinunciare al benessere, nel caso in cui lei e l’estensore della nota sgangherata di cui ci ha postato il link, non ve ne foste accorti. Le auto prodotte attualmente hanno minori consumi ed emissioni rispetto a 20 anni fa, eppure sono ancora più sicure e confortevoli; gli edifici moderni sono ottimamente coibentati ed hanno limitate dispersioni termiche, cosa che permette economie nel riscaldamento impensabili fino a pochi anni fa, eppure le case con riscaldamento a pavimento sono molto più confortevoli rispetto al passato. Non vi è elettrodomestico che non abbia maggiore efficienza energetica e più elevati standard di sicurezza rispetto al passato.
      La consapevolezza dei problemi è un primo passo verso le soluzioni, parziali o totali che siano. Negare l’esistenza dei problemi affermando che in problemi veri sono “ben altri” è un atteggiamento che non conduce da nessuna parte.

  3. Se 20.000 anni fa i laghi prealpini erano valli glaciali così come la Valle d’Aosta o la Valtellina vuol dire che il clima cambia. E non date la colpa all’uomo di Neanderthal. Vorrei che qualcuno mi spiegasse come mai è finita l’ultima era glaciale con un albedo terrestre fortissimo, data la riflessione delle enormi distese di ghiaccio e la mancata produzione della vituperata CO2 da parte dei nostri antenati.

    • Tutte le spiegazioni sulla differenza fra i naturali cambiamenti climatici e l’accelerazione impressa dall’uomo a partire dall’era industriale le trovi ormai in qualsiasi libro delle scuole medie.

      • se guardi il libro delle medie, guarda quanto era grande la calotta glaciale nell’emisfero boreale, poi mi dici come mai si è sciolta in così poco tempo

        • Temo che tu abbia letto un po’ di fretta quello che ho scritto. Nel caso in cui, dopo una seconda lettura, la tua domanda rimanga la stessa, posso consigliarti una bellissima ricerca sull’ultima grande fusione della calotta glaciale artica, le correnti marine e l’effetto feedback http://www.arcaproject.it/index.php/en/ Tuttavia, se hai una teoria personale sulle glaciazioni e le successive fusioni, supportata da un qualche studio o pubblicazione scientifica, credo che questa possa essere un’ottima occasione per condividerla.

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