Dentro il negoziato sul clima: cosa si discute alla COP 21?

Obiettivi a lungo termine, meccanismo di revisione degli impegni e destino dei Paesi poveri. Tutti temi sul tavolo della Conferenza sul clima di Parigi

Dentro il negoziato sul clima cosa si discute alla COP 21 2

 

(Rinnovabili.it) – Si apre oggi la COP 21, la conferenza ONU sul clima che – quest’anno più che mai – tenterà di trovare una soluzione al problema ormai ineludibile del riscaldamento globale. Le previsioni indicano che l’evento attirerà su Parigi quasi 50 mila partecipanti, tra cui 25 mila delegati di governi, organizzazioni intergovernative, agenzie ONU, ONG e della società civile. Il governo francese, che ospita il vertice poco a nord di Parigi, ha chiesto che il documento finale venga compilato entro mercoledì 9 dicembre, in modo da essere tradotto nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite prima di venerdì 11, data di chiusura della COP. In realtà, questi meeting finiscono sempre ai supplementari, e questo non sembra poter fare eccezione. Le 196 nazioni partecipanti (parti della Convenzione quadro ONU sui cambiamenti climatici – UNFCCC) arrivano al tavolo negoziale con una bozza di 55 pagine, senza accenni alla questione dei diritti umani o un piano di sviluppo delle rinnovabili. Restano invece 1.490 parentesi quadre, tutti nodi da sciogliere per arrivare ad un accordo. Le principali aree di controversia sono le stesse che potrebbero definire obiettivi ambiziosi o deludenti quando il prestigioso vertice sarà concluso.

 

La cornice giuridica dell’accordo

Nel 2011 è stato deciso che l’accordo di Parigi avrebbe dovuto avere una qualche forma di «valore legale». Non era chiaro, però, se i negoziatori immaginassero un trattato di diritto internazionale o un accordo i cui unici vincoli sono al diritto nazionale. Mentre i Paesi in via di sviluppo e l’Unione europea preferiscono un trattato vincolante, gli Stati Uniti e la Cina puntano su un accordo che venga implementato sulla base di leggi e normative nazionali. Quel che si otterrà, probabilmente, sarà una serie di impegni volontari. Il problema è soprattutto che il Senato degli Stati Uniti, dominato dai repubblicani, non ha intenzione di ratificare un patto vincolante sul clima. Così l’operazione deve essere costruita in modo tale che non vi sia la necessità della ratifica congressuale negli USA, ma basti quella del Presidente Obama.

 

Obiettivi a lungo termine

Molti Paesi prediligono la frase «trasformazione globale verso società a basse emissioni e climaticamente resilienti» per segnalare il passaggio a lungo termine dai combustibili fossili verso l’energia rinnovabile. Alcune nazioni in via di sviluppo e gli attivisti per il clima chiedono invece un linguaggio chiaro, che stabilisca l’eliminazione di petrolio, gas e carbone entro il 2050. Cina e India, ma anche tutti i grandi Paesi occidentali, sono riluttanti a fissare date precise sul phase out, motivo per il quale sarà molto difficile vedere progressi significativi in questo settore. Se passerà l’espressione «emissioni nette zero» nella seconda metà del secolo, come chiedono i Paesi del G7, si lascerà ampio margine alle compagnie che sfruttano combustibili fossili demandando ogni speranza di disinnescare la bomba di carbonio a tecnologie ancora non mature, come il sequestro della CO2.

 

cop 21 clima

 

Un sistema di revisione chiaro

I Paesi che assumono obblighi internazionali dovranno fornire la prova di aver preso sul serio gli impegni. Questo comporta revisioni periodiche e metodologie di calcolo chiare, un monitoraggio e una attività di reporting di alta qualità. C’è il rischio che i Paesi più grandi cerchino un’intesa al ribasso, favorendo un regime opaco. Anche le grandi aziende non amano mostrare i dati sull’inquinamento, e questo è un male. La trasparenza è un tema chiave per il successo della COP 21. Probabilmente non sarà incluso un meccanismo di compliance, cioè un vincolo legale al rispetto dei target, per cui chi non rispetta gli impegni volontari presi al vertice riceverà solo un po’ di sdegno internazionale.

 

L’obiettivo dei 2 °C

Secondo l’IPCC, il panel di esperti ONU sui cambiamenti climatici, per non incappare nei peggiori impatti climatici è necessario evitare un aumento delle temperature medie globali che a fine secolo risulti superiore di 2 °C rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale. Oltre questa soglia, aumenterebbero la frequenza e l’intensità di catastrofi naturali come alluvioni, inondazioni, ondate di calore e siccità. I piccoli Stati insulari, tuttavia, chiedono di lavorare per un obiettivo di 1,5 °C, considerato più sicuro da gran parte de’expertise globale. In caso contrario, le loro sorti sarebbero segnate, in quanto nazioni in grave pericolo per l’innalzamento del livello dei mari.

Per raggiungere l’obiettivo dei 2 °C, l’IPCC stima che le emissioni di gas serra debbano essere ridotte del 40-70% entro il 2050 e che la carbon neutrality (emissioni zero) debba essere raggiunta al più tardi nel 2100.

Alla COP 15 di Copenaghen, nel 2009, per la prima volta è stato deciso che ogni Paese parte della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) avrebbe proposto un contributo nazionale (INDC – Intended Nationally Determined Contribution) alla riduzione delle emissioni globali entro il 2025-2030.

 

Tutti in piazza alla Marcia per il ClimaIl 1 ottobre 2015 è scaduto il termine (non vincolante) stabilito dall’ONU per la presentazione di questi piani nazionali. 146 Paesi hanno presentato entro quella data il proprio impegno, ma il numero è salito a 179 con i ritardatari. Rappresentano il 95% della popolazione globale e il 94% delle emissioni. Diversi studi, nell’ultimo mese, hanno evidenziato che il loro sforzo non è sufficiente e metterebbe il pianeta sulla traiettoria di un aumento della temperatura tra 2,7 e 3 °C entro fine secolo.

Il target dei 2 °C può ancora essere raggiunto, a condizione che gli impegni vengano rivisti sistematicamente, aumentando ogni volta il livello di ambizione dei prossimi piani climatici. Uno degli obiettivi fondamentali della COP 21 è approvare un meccanismo di revisione periodica degli INDCs. L’ideale sarebbe fissare il riesame con cadenza quinquennale, ma soprattutto inserire nel documento finale un riferimento forte alla soglia degli 1,5 °C.

 

Finanziamenti per la mitigazione e l’adattamento

I Paesi che subiscono gli urti più poderosi del cambiamento climatico hanno chiesto che la stessa enfasi dedicata alle politiche di mitigazione venga riservata anche a quelle di adattamento. Sembra si stiano facendo progressi nel negoziato verso un obiettivo globale, ma la questione cruciale è se dalla COP 21 uscirà un testo che evidenzi il legame tra l’entità delle azioni di mitigazione e la necessità di maggiore adattamento. In parole povere, la COP dovrebbe stabilire che, se non verrà raggiunto un accordo capace di metterci sul sentiero dei 2 °C, gli sforzi per adattarsi ai cambiamenti climatici dovranno essere più intensi: i costi dell’immobilismo dovranno essere ben sottolineati ed espressi in maggiori spese per l’adattamento. Messaggi forti dovranno uscire da Parigi in merito alla valutazione più approfondita dei rischi, la resilienza e la pianificazione delle misure.

 

Perdite e danni

Alcuni impatti climatici lasceranno il segno, e non sarà possibile evitarli. Una serie di perdite e danni (loss and damage) colpirà soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Intere comunità saranno costrette a lasciare per sempre le loro case e la loro patria. A loro si deve un risarcimento, dato che la responsabilità degli impatti climatici è dei Paesi che maggiormente hanno inquinato l’atmosfera, accelerando il riscaldamento globale. La COP 19 di Varsavia, nel 2013, ha visto nascere il meccanismo internazionale per le perdite e i danni, che sarà oggetto di revisione nel 2016.

I Paesi in via di sviluppo vogliono che dalla COP 21 escano impegni per uno strumento a lungo termine in grado di aiutarli a risollevarsi economicamente dagli shock climatici. Ma Stati Uniti e Unione europea sono riluttanti a firmare a qualsiasi testo che implica compensazioni, temendo di esporsi ad una ondata di richieste di crediti legati alle loro emissioni di gas serra. Quel che potrebbe succedere è un inserimento del termine loss and damage all’interno del capitolo dell’accordo che verte sui finanziamenti climatici: una soluzione che affosserebbe le speranze dei più esposti.

Articolo precedenteSergio Castellari: “Così mi immagino l’accordo sul clima”
Articolo successivoA Roma in 15 mila alla Marcia per il Clima

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Leave the field below empty!