Termo-Fotovoltaico: il MIT vuole superare i limiti teorici della cella

Nuovi progressi dal MIT di Boston per superare il celebre limite di Shockley-Queisser dei dispositivi fotovoltaici

Termo-Fotovoltaico: il MIT vuole superare i limiti teorici della cella

 

(Rinnovabili.it) – Esiste un limite teorico alla quantità di energia solare che una cella fotovoltaica è in grado di trasformare in elettricità. Questo valore massimo, in fisica è chiamato di limite di Shockley-Queisser e la sua scoperta (correva l’anno 1961) è uno dei contributi più importanti  apportati alla ricerca di settore. Per una cella solare “ideale” e a singola giunzione, il limite indica un’efficienza massima del 33,7%. Nel mondo reale però il fotovoltaico perde diversi punti prestazionali e il vero valore per una cella con un singolo strato di silicio – la tipologia più diffusa sul mercato – è solo del 32%.

 

Per aggirare il limite di Shockley-Queisser  si ricorre essenzialmente a due metodi: si impiegano celle multi giunzione che combinano strati di semiconduttori differenti al fine di ampliare la porzione di spettro luminoso da assorbire oppure si trasforma l’energia, normalmente persa, prima in calore e quindi in elettricità. Quest’ultimo metodo si affida a dispositivi di termo-fotovoltaico  o STPV (per dirlo con l’acronimo inglese). L’idea alla base della tecnologia è di concentrare la luce su una cella solare modificata, catturare la maggior parte dello spettro luminoso e convertirlo alla lunghezza d’onda più utile per il materiale fotovoltaico impiegato.

 

Per farlo ogni unità STPV incorpora un assorbitore nano strutturato che assorbe l’energia solare scaldandosi, e un emettitore, solitamente costruito da un cristallo fotonico, che si illumina con il calore. I fotoni in uscita da quest’ultimo sono sintonizzati  sulla lunghezza d’onda a cui le cellule fotovoltaiche operano in modo più efficiente.

 

Al MIT di Boston lavorano da anni per rendere questa tecnologia competitiva. I ricercatori David Bierman, Evelyn Wang e Marin Soljacic sono convinti di poter raddoppiare il limite teorico di efficienza, rendendo così possibile ottenere il doppio della potenza da una data area di pannelli solari. Nel lavoro pubblicato questa settimana sulla rivista Nature Energy, gli scienziati sono riusciti a dimostrare per la prima volta di poter realizzare una cella STPV con un’efficienza superiore a quella del fotovoltaico tradizionale. Durante la dimostrazione, il team ha integrato cristalli nanofotonici all’interno del sistema, allineandoli verticalmente a nanotubi di carbonio e sottoponendoli ad una temperatura di 1.000 gradi Celsius. Durante l’applicazione di calore, i cristalli hanno emesso una stretta banda di lunghezza d’onda che si sposa perfettamente con quella della cella.

Bierman ha spiegato che i nanotubi di carbonio assorbono l’intero spettro solare, il che vuol dire che tutti i fotoni catturati sono convertiti in calore (raggi infrarossi), superando di fatto il limite d’efficienza.

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4 Commenti

  1. E’ una bellissima notizia.
    Volevo porre una domanda.
    Visto che i nanotubi riescono a trasformare una lunghezza d’oda in un’altra, si potrebbe sfruttare questo fenomeno nel campo delle biomasse?
    La clorofilla riesce ad operare solo con fotoni di una precisa lunghezza d’onda, se si aumentasse la concentrazione di questi fotoni nella luce solare, potremmo avere una crescita più rapita delle piante e quindi della biomassa.
    C’è qualcuno che potrebbe rispondermi?
    Grazie

  2. una domanda da profano, sottoponendoli ad una temperatura di 1.000 gradi Celsius cosa significa ? hanno immesso energia ? come e’ stato calcolato il rendimento ?
    grazie per la risposta

    • Giovanni: Praticamente “davanti” alla classica cella a semiconduttore è stato posto un filtro costituito da due elementi: un nanotubo al carbonio, capace di assorbire l’intero spettro solare e convertirlo in calore (si sarebbe scaldato raggiungendo i 1000 C°) e un cristallo fotonico, che converte il calore ricevuto in una frequenza assorbibile dalla cella a semiconduttore sottostante, che in tal modo, oltre all’energia che assorbirebbe se sottoposto direttamente alla radiazione solare, può assorbire anche la restante componente di energia proveniente dalla componente dello spettro della radiazione solare a cui è fisicamente insensibile.

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