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Cosa ha deciso la COP29 sulla finanza climatica: tutti i risultati

La finanza per il clima era il tema più importante in discussione alla conferenza di Baku. Una guida ai risultati principali e al nuovo quadro degli aiuti climatici post 2025

COP29 aiuti climatici: cosa dice l’accordo sulla finanza per il clima
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COP29: accordo su 300 miliardi di dollari per gli aiuti climatici

La COP29 di Baku verrà ricordata per un numero: 300 miliardi di dollari. È la cifra che i paesi industrializzati si sono impegnati a garantire ogni anno ai paesi in via di sviluppo a partire dal 2035, sotto forma di aiuti climatici. La 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha partorito anche un secondo numero, 1.300 mld $, che è l’obiettivo di finanza climatica da mobilitare collettivamente con tutte le fonti possibili: contribuiscono anche i paesi in via di sviluppo e contano anche le risorse private.

La conferenza sul clima in Azerbaijan entrerà nella storia delle COP sui cambiamenti climatici anche come uno dei summit più contestati. Oltre alla decisione sulla finanza climatica sono arrivati scarsi risultati su altri temi cruciali per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra. I pochi accordi approvati dalla riunione plenaria finale non sono stati presi all’unanimità (le COP dovrebbero procedere per consenso) e scontentano tutti o quasi.

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Se questi sono i deludenti risultati della COP29, è soprattutto per via dell’estenuante braccio di ferro sul tema più importante dell’agenda, la finanza climatica e la definizione del nuovo obiettivo globale, in gergo il Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale (New Collective Quantified Goal, NCQG). I litigi su questo dossier hanno bloccato tutti gli altri. La situazione si è parzialmente sbloccata solo l’ultimo giorno di negoziati, troppo tardi per avere progressi significativi anche sugli altri fronti.

Quali sono i principali risultati raggiunti in materia di finanza climatica alla COP29? Che cosa prevede il Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale 2025-2035? Perché l’obiettivo di 300 miliardi di dollari all’anno è stato criticato da molti paesi in via di sviluppo? Come si arriva alla cifra di 1.300 miliardi di dollari annui prevista entro il 2035?

Vediamo punto per punto i risultati della COP29 sulla finanza climatica.

Sintesi dei risultati COP29 sulla finanza climatica

La tabella qui sotto riassume schematicamente l’esito dell’accordo (pdf) sugli aiuti climatici raggiunto a Baku. Presenta i principali nodi affrontati durante i negoziati, dà conto delle posizioni principali delle delegazioni nazionali (quasi sempre spaccate tra Nord e Sud globali), riporta l’esito dell’accordo finale.

Tema negozialeDescrizionePosizioni contrapposteEsito dell’accordo
Nuovo obiettivo annuale (NCQG)Nuovo target per i finanziamenti pubblici e privati verso i paesi in via di sviluppo, cruciale per sostenere mitigazione e adattamento.Paesi sviluppati: Promuovono un obiettivo “raggiungibile” ma non vincolante. Paesi in via di sviluppo: Ritengono ogni cifra sotto i 1.000/1.300 mld $ insufficiente.Obiettivo fissato a 300 mld $ e adottato, ma considerato un compromesso. Percepito come insufficiente dai paesi vulnerabili.
Obiettivo globale di 1.300 mld $Introdotto dalla presidenza azera a fianco di quello da 300 mld $. Obiettivo complessivo annuale per mobilitare finanziamenti pubblici e privati a livello globale entro il 2035.Paesi sviluppati: Puntano su contributi privati per ridurre il peso sui bilanci pubblici. Paesi vulnerabili: Chiedono garanzie che questi fondi siano equamente accessibili e non legati a condizioni sfavorevoli (prestiti, debito).Adottato come obiettivo complessivo, ma senza dettagli operativi vincolanti. Una roadmap “Baku to Belém” è stata lanciata per esplorare opzioni di mobilitazione aggiuntiva.
Contributi di paesi ad alte emissioni di gas serra ma “in via di sviluppo”Discussione sull’inclusione di nazioni come Cina e Stati del Golfo come donatori, dato il loro ruolo di grandi emettitori e capacità economica.Paesi sviluppati: Chiedono contributi obbligatori per grandi economie emergenti. Paesi in via di sviluppo: Difendono il loro status storico di “riceventi” sotto l’UNFCCC.Solo contributi “volontari” per i paesi emergenti, non obbligatori. Ma per la 1° volta i paesi sviluppati non sono gli unici ad avere la responsabilità della finanza climatica.
Incremento ai fondi per l’adattamentoNecessità di aumentare il sostegno ai fondi specifici per i paesi più vulnerabili, come l’Adaptation Fund, per rispondere agli impatti climatici.Paesi vulnerabili: Chiedono di triplicare subito i flussi. Paesi sviluppati: Accettano incrementi ma propongono tempistiche graduali e senza quote prefissate.Impegno a triplicare i flussi entro il 2030 rispetto ai livelli del 2022, senza fissare percentuali o soglie per i fondi.
Accesso ai finanziamentiProblema dei criteri troppo rigidi che limitano l’accesso dei paesi in via di sviluppo agli aiuti climatici.Paesi vulnerabili: Chiedono procedure più semplici e meno condizionalità. Paesi sviluppati: Difendono criteri di controllo per evitare sprechi.Promessa di “semplificazione”, ma senza misure operative immediate.
Allocazione fissa per i paesi vulnerabiliProposta di stabilire soglie minime di finanziamenti per i paesi meno sviluppati (LDC) e piccoli Stati insulari (AOSIS).Paesi vulnerabili: Insistono su soglie per garantire accesso equo. Paesi sviluppati: Respingono obblighi di destinazione specifica, citando la necessità di flessibilità.Proposta rimandata a future discussioni; impegno solo a “esplorare opzioni”.
Debito e sostenibilità finanziariaRischio di aumento del debito per i paesi in via di sviluppo, dato che gran parte dei finanziamenti è sotto forma di prestiti e non di sovvenzioni.Paesi vulnerabili: Chiedono priorità a sovvenzioni anziché prestiti. Paesi sviluppati: Preferiscono strumenti misti e prestiti concessionali.Nessun target specifico per sovvenzioni; promessa di evitare aggravi del debito, senza dettagli concreti.
Coinvolgimento del settore privatoNecessità di mobilitare risorse private per raggiungere i 1.300 mld $ annui.Paesi sviluppati: Puntano sul settore privato come motore principale. Paesi in via di sviluppo: Temono che i benefici del coinvolgimento privato non arrivino equamente ai più vulnerabili.Confermato ruolo centrale del settore privato, ma senza dettagli su regole per una distribuzione equa.
Definizione di finanza climaticaMancanza di una definizione condivisa di “finanza climatica” rende difficile il monitoraggio e la trasparenza.Paesi vulnerabili: Chiedono chiarezza e standard comuni. Paesi sviluppati: Resistono a definizioni rigide che possano limitare la flessibilità.Nessuna definizione ufficiale inclusa nel testo finale.
Bilanciamento adattamento-mitigazioneI paesi vulnerabili chiedono un’equa distribuzione dei finanziamenti tra mitigazione e adattamento, spesso sbilanciata verso la mitigazione.Paesi sviluppati: Preferiscono allocazioni flessibili, con enfasi sulla mitigazione. Paesi vulnerabili: Spingono per una quota fissa per l’adattamento, data l’urgenza degli impatti climatici.Nessuna quota fissa; riaffermato l’impegno generico ad aumentare i fondi per l’adattamento.
Trasparenza nei contributiEsigenza di meccanismi chiari per monitorare i progressi sui contributi promessi e mobilitati dai paesi sviluppati.Paesi vulnerabili: Chiedono trasparenza e responsabilità vincolanti. Paesi sviluppati: Preferiscono approcci più flessibili e report volontari.Impegno a monitorare i progressi tramite roadmap “Baku to Belém”, senza obblighi vincolanti.

Il nuovo obiettivo di finanza climatica post 2025: quanti soldi?

Il tema del “quantum”, cioè a quanto ammontano gli aiuti climatici annuali, è stato quello più al centro dell’attenzione. I paesi sviluppati hanno giocato fino all’ultimo giorno di negoziati a carte coperte. Sostenevano di non poter parlare di una cifra concreta finché non si fosse deciso quanti e quali sono i paesi che contribuiscono. (La platea dei paesi donatori è l’altro grande tema del negoziato sulla finanza climatica fin dal 2021, vedi sotto).

Questa posizione ha bloccato i negoziati, facendo crescere frustrazione e sfiducia. I paesi in via di sviluppo hanno subito fatto sapere che un quantum accettabile per loro sarebbe stato nell’ordine di 1.000/1.300 mld $ l’anno. E chiedevano che fossero tutti forniti con risorse pubbliche (non investimenti privati) e in forma di sovvenzioni o a termini equivalenti (non prestiti, non termini che creano debito).

L’ultimo giorno di negoziati, i paesi industrializzati hanno infine messo sul tavolo la loro cifra: 250 mld $ l’anno. Dopo l’ovvia irritazione dei paesi in via di sviluppo, c’è stato un ultimo aggiustamento a 300 mld $ l’anno. Peraltro, a condizioni molto diverse da quelle chieste dai paesi più vulnerabili e dalle economie emergenti (vedi sotto).

Il compromesso della COP29 sul quantum del NCQG

Cifre troppo distanti. Per trovare un compromesso, la presidenza azera della conferenza sul clima ha sdoppiato il quantum. Sono gli articoli 7 e 8 dell’accordo finale sul NCQG.

La COP29 ha fissato un obiettivo di “almeno” 300 mld $ l’anno entro il 2035:

  • da “fonti pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”: è la stessa formulazione usata per il vecchio obiettivo di 100 mld $ l’anno;
  • senza vincoli su destinazione geografica (non ci sono quote riservate a specifici gruppi di paesi più vulnerabili, come richiesto da LDC e AOSIS);
  • senza vincoli sulla forma di erogazione, ovvero non si specifica in che misura debbano essere sovvenzioni (a fondo perduto), prestiti, prestiti a tassi agevolati;
  • senza vincoli sull’ambito di destinazione, in particolare manca un riferimento ai loss & damage (perdite e danni causati dalla crisi climatica tramite eventi estremi) che era richiesto dai paesi in via di sviluppo, oltre agli ambiti “canonici” di mitigazione e adattamento;
  • a cui, con una formula abbastanza ambigua, non contribuiscono più esclusivamente i paesi sviluppati. Il testo infatti afferma che i paesi industrializzati devono “prendere l’iniziativa”, non coprire l’intero ammontare.

C’è anche un secondo obiettivo da “almeno” 1.300 mld $ l’anno entro il 2035:

  • da “tutte le fonti pubbliche e private”, ovvero sono ammessi anche gli investimenti di aziende che gli stati possono “mobilitare” creando condizioni favorevoli;
  • anche in questo caso, senza vincoli su destinazione geografica, forma di erogazione e ambiti di destinazione;
  • e anche in questo caso, non sono solo i paesi sviluppati a contribuire. Se questi mantengono l’obbligo di farlo, il testo afferma che “tutti gli attori” lavorino “insieme”. Resta ambiguità sul ruolo dei paesi in via di sviluppo, che potrebbero dare un contributo non in forma finanziaria (ad esempio, facendo riforme, liberando risorse nei loro bilanci nazionali, ecc.).

Chi contribuisce al nuovo obiettivo di finanza climatica 2025-2035?

Su chi contribuisce alla finanza climatica, la COP29 di Baku ha iniziato a scardinare 30 anni di prassi consolidata durante i negoziati sul clima.

Fin dalla creazione della Convenzione Quadro Onu per il contrasto del cambiamento climatico (UNFCCC), i paesi sono divisi in sviluppati (industrializzati) e in via di sviluppo. Solo i paesi sviluppati sono obbligati a contribuire agli aiuti climatici. I paesi in via di sviluppo possono farlo, in via volontaria.

A stabilirlo è l’articolo 9 dell’Accordo di Parigi (pdf). Il comma 1 dice che “Developed country Parties shall provide financial resources to assist developing country Parties”: i paesi sviluppati devonofornire risorse finanziarie per aiutare i paesi in via di sviluppo. Mentre il comma 2 afferma che “Other Parties are encouraged to provide or continue to provide such support voluntarily”: le altre parti – cioè i paesi in via di svilupposono incoraggiate a fornire o continuare a fornire tale supporto volontariamente.

Taking the lead

Ogni parola pesa. L’accordo finale della COP29 sembra ribadire formalmente l’impianto del Paris Agreement. In realtà, usa un linguaggio a tratti ambiguo che potrebbe instaurare una consuetudine molto diversa.

La chiave è l’articolo 10. La presidenza ha voluto specificare che nessuno degli articoli precedenti, in cui si definiscono gli obiettivi, influisce sullo status di paese beneficiario di aiuti climatici e sul tipo di sviluppo del paese ai fini dell’UNFCCC. Lo ha fatto per far accettare un linguaggio ambiguo usato appena prima, che permette di rispondere alla domanda “chi contribuisce alla finanza climatica?” con “non esclusivamente i paesi sviluppati”.

L’articolo 8, infatti, presenta il NCQG da 300 mld $ l’anno come un’estensione dell’obiettivo precedente di 100 mld $. Al contrario di quel target, però, per quello stabilito alla COP29 i paesi sviluppati devono semplicemente “prendere l’iniziativa” (“taking the lead”), cioè contribuire per la quota maggiore.

Ciò significa, implicitamente, che anche alcuni paesi in via di sviluppo contribuiranno. Ma il testo non assegna loro alcun obbligo: anzi, ribadisce con l’art.9 la natura volontaria del loro eventuale contributo.

Per i paesi in via di sviluppo, formalmente non cambia nulla: nessuno può dire che sono obbligati a contribuire. Per i paesi sviluppati, c’è la possibilità di appellarsi al testo dell’accordo per affermare che non hanno l’obbligo di contribuire da soli a tutti i 300 mld $.

Il (nuovo?) ruolo della Cina nel contribuire alla finanza per il clima

Se questa formulazione del testo è passata è per una sola ragione: la Cina ha iniziato ad accettare di essere più coinvolta nel ruolo di distributore di finanza climatica.

I paesi sviluppati, Europa in testa, spingono fin dal 2021 affinché anche Pechino passi dal lato dei paesi con obbligo di fornire aiuti climatici. La Cina nei negoziati è ancora classificata come 30 anni fa come paese in via di sviluppo, anche se oggi è il 1° inquinatore mondiale e la sua economia rivaleggia con quella degli Stati Uniti.

Durante la conferenza sul clima di Baku, per la 1° volta, la delegazione cinese ha dato segni in questo senso. Ha parlato del proprio contributo usando i termini impiegati per descrivere la finanza climatica, ha accettato di avere più responsabilità (come riconoscimento del suo ruolo a livello globale), ha evidenziato i contributi che già fornisce attraverso la Belt and Road Initiative.

La Cina ha comunque tenuto stretto il carattere di volontarietà dei suoi contributi e ha continuamente sottolineato che i paesi industrializzati devono fare la parte maggiore. Per quanto possa sembrare minimo, il cambiamento nella posizione cinese è un’apertura molto significativa, che potrebbe avere ulteriori sviluppi nei prossimi anni.

Da dove vengono le risorse per gli aiuti climatici?

Per raggiungere il Nuovo Obiettivo Quantificato Globale (NCQG) esistono cinque canali principali. Ecco un glossario delle fonti di finanza climatica:

  • Finanziamenti pubblici dei paesi sviluppati: rappresentano la base. Si passa dagli attuali 100 miliardi di dollari all’anno a 300 miliardi entro il 2035, ma in parte saranno mobilitati anche attraverso il settore privato.
  • Banche di sviluppo multilaterali: istituzioni come la Banca Mondiale, potrebbero erogare 120 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, con un focus di 42 miliardi per l’adattamento. Gli esperti Onu raccomandano di triplicare i finanziamenti entro il 2030, fino a 480 miliardi, senza compromettere i rating di credito delle banche.
  • Contributi volontari dei paesi emergenti: economie come Cina, Corea del Sud e Arabia Saudita stanno già fornendo aiuti Sud-Sud. La Cina, in particolare, ha ufficialmente riconosciuto questi contributi come “finanza per il clima” alla COP29.
  • Fonti innovative di finanziamento: proposte innovative che includono tasse sui trasporti, sull’aviazione, sul patrimonio, e sui grandi emettitori di CO2. Se implementate, potrebbero generare oltre 720 miliardi di dollari entro il 2030, ma nessuno di questi meccanismi è ancora operativo.
  • Finanza privata: con le giuste politiche, il settore privato potrebbe mobilitare fino a 650 miliardi di dollari entro il 2035, rendendolo un pilastro fondamentale della finanza climatica globale.

Durante i negoziati, i paesi sviluppati avevano proposto di includere tra le fonti accettate anche le “risorse domestiche”. Con questo termine, si intendono anche gli investimenti per la transizione energetica e le politiche climatiche che gli Stati effettuano al loro interno. La formula è stata poi cancellata dall’accordo finale.

La roadmap “da Baku a Belem”

Come mobilitare 1.300 mld $ l’anno resta una delle incognite maggiori. L’accordo finale della COP29 non dà indicazioni specifiche su questo punto, se non ricordando che il denaro deve provenire “da tutte le fonti”.

Per dare più concretezza e non mancare l’obiettivo, nell’ultima versione dell’accordo è stata istituita una “Roadmap from Baku to Belem”, cioè un dialogo che si svolgerà da adesso fino alla COP30 in Brasile l’anno prossimo.

Gli obiettivi di questa roadmap sono:

  • aumentare i finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo
  • supportarli a sostenere percorsi di sviluppo a basse emissioni di gas serra e resilienti al clima, e ad attuare i loro Contributi determinati a livello nazionale (i piani climatici nazionali) e piani di adattamento nazionali
  • individuare un ventaglio di soluzioni tra cui sovvenzioni, strumenti agevolati e non creatori di debito e misure per creare spazio fiscale, tenendo conto delle iniziative multilaterali pertinenti.

Alla COP30 sarà presentato un rapporto che sintetizzi il lavoro svolto da questo dialogo.

Inoltre, l’accordo finale ha stabilito che ci sarà una prima verifica dell’attuazione degli obiettivi sul NCQG già nel 2030.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.