Commissione Ue vieta l’utilizzo dell’olio di palma nella produzione di biodiesel

Pubblicati i criteri Ue di sostenibilità delle coltivazioni destinate alla produzione di biocarburante

olio di palma biodieselIl 45% delle nuove coltivazioni di olio di palma causa deforestazione, perdita di biodiversità ed emissioni di gas serra

 

(Rinnovabili.it) – La Commissione europea ha catalogato come insostenibile la coltivazione di olio di palma e ne ha stabilito il graduale abbandono nell’utilizzo per la produzione di biodiesel entro il 2030.

Il bando è una conseguenza dell’adozione del sistema ILUC (Indirect Land Use Change) nel definire quali colture siano da considerare sostenibili e quindi in linea con gli obiettivi fissati dalla direttiva europea RED (Renewable Energy Directive) che prevede il raggiungimento del 32% delle energie consumate su suolo comunitario da fonti rinnovabili.

 

Secondo i parametri ILUC, se rispetto all’introduzione, meno del 10% dell’espansione di una nuova coltura causa deforestazione ed emissioni di gas serra maggiori, questa può considerarsi sostenibile. A partire dal 2008, circa il 45% della grande crescita nelle coltivazioni dell’olio di palma avrebbe causato deforestazione massiccia, perdita di biodiversità e l’innalzamento di emissioni, dovuto soprattutto al sistema di trasporto del prodotto.

 

Il limite del 10% salverebbe, invece, coltivazioni come quella della soia (dannosa “solo” per l’8% delle nuove colture), dei girasoli e della colza (entrambe sotto l’1% rispetto alla scala fissata dalla Commissione): le tre principali alternative all’olio di palma nella produzione di biocarburante.

 

L’abbandono immediato dell’olio di palma nella produzione di biodiesel era stato sollecitato dalle sigle ambientaliste, tra cui Legambiente, promotrici della campagna NotInMyTank, per denunciare gli effetti della deforestazione causata dalle coltivazioni di olio di palma su grandi specie di mammiferi come gli orango. La scelta della Commissione europea punta a tollerare l’utilizzo di materie prime dannose per l’ambiente, come l’olio di palma appunto, fino al 2023 per arrivare all’abbandono completo entro il 2030.

 

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Il testo varato dalla Commissione presenta comunque alcune deroghe: sarebbero esenti dal bando i produttori che dimostrassero un aumento di produzione all’interno dei campi già coltivati, quindi senza espandere il terreno messo a coltura, o che utilizzino terreni inutilizzati dalle comunità locali o ancora per i piccoli produttori come meno di 4.9 ettari di terreno.

 

Diverse sigle ambientaliste si sono dichiarate contrarie a queste eccezioni additando l’eccessiva genericità del concetto di “terreno inutilizzato” e spiegando come la dimensione delle singole coltivazioni non ha alcuna relazione con il rischio di deforestazione o con il totale delle emissioni.

 

Mentre resta incertezza sui sistemi di monitoraggio, soprattutto per il rispetto delle deroghe di produzione, i maggiori esportatori al mondo di olio di palma, hanno già manifestato il proprio scontento: l’Indonesia, da una parte, ha presentato un ricorso alla World Trade Organization per contestare proprio l’utilizzo dei criteri ILUC come discriminante nella classificazione di sostenibilità per una coltura, mentre la Malesia ha annunciato dazi e restrizioni nell’importazione dalla Francia rea di aver programmato l’abbandono dell’olio di palma già nel 2020.

 

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