Stop all’anarchia della gomma

Il DM 82/2011 ha regolamentato il settore degli pneumatici fuori uso e avviato un’effettiva ottimizzazione di tutta la filiera; ora è necessario diversificare le fonti di approvvigionamento dei PFU, incentivare il riciclo e combattere il mercato nero

Stop all'anarchia della gommaRegolamentare la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), ottimizzarne il recupero, prevenirne la formazione e proteggere l’ambiente. È questo l’intento con cui a metà del 2011 si è arrivati alla promulgazione del Decreto Ministeriale n. 82, il riferimento normativo che ha cercato di dare un ordine all’anarchia della gomma, rea, negli anni, di veri e propri scempi ambientali. Si tratta di un Decreto che in Italia arriva tardi rispetto a quanto fatto dagli altri Paesi europei, ma che proprio grazie a questo ritardo viene assorbito in maniera trasversale e più consapevole, facendo assumere al settore del riciclo degli pneumatici una connotazione più strutturata. Sulla tematica si è discusso nel corso di un convegno, organizzato questo fine settimana a Palermo da UNIRIGOM con la collaborazione dei consorzi di settore, durante il quale è stato analizzato quanto accaduto in un anno di operatività del DM 82/2011. A spiegare a Rinnovabili.it in che modo il nostro Paese sia arrivato alla promulgazione del DM in questione è stato il Vice Presidente di UNIRIGOM, Renzo Maggiolo.

 

«In Europa quasi tutti gli Stati avevano scelto il regime nel quale collocare la filiera dei PFU, seguendo tra tre modelli di riferimento: quello che affida la responsabilità del loro smaltimento al produttore/importatore secondo il concetto “chi inquina paga”; quello del mercato libero, che vede implicato ora questo ora quel ricambista, cui si rivolge il cliente; quello in base al quale è lo Stato attraverso una tassa specifica a farsi carico delle operazioni di riciclo. È chiaro che quest’ultimo modello è quello che funziona meno perché non sempre la questione viene seguita in maniera adeguata a livello statale. Quello che è successo in Europa a livello generale. L’Italia, invece, è partita per ultima rispetto al resto d’Europa, ma ha avuto la possibilità di evitare gli errori commessi da altri, sfruttando l’esperienza di chi aveva già affrontato certe problematiche. Il modello di riferimento scelto ha affidato al produttore la responsabilità di quanto immesso sul mercato».

 

Scelto di adottare come modello di riferimento l’affidamento della responsabilità di quanto immesso sul mercato dal produttore, a un anno dalla sua entrata in vigore il Decreto ha effettivamente promosso una valida ottimizzazione del recupero degli pneumatici fuori uso. Come ci ha confermato anche Maggioli, nonostante la percentuale di raccolta stabilita per il primo anno sia stata piuttosto bassa (proprio perché mancavano pochi mesi alla fine dell’anno), la quota di raccolta è salita all’80% nel 2012 e al 100% per il 2013, una totalità nella quale è già stato calcolato quel 10% di battistrada che viene consumato nel corso del ciclo di vita dello pneumatico e che diminuisce la massa del prodotto da smaltire rispetto al nuovo. Inoltre per Maggioli il Decreto ha reso possibile il raggiungimento di un grande risultato:

 

«Grazie al Decreto, sono state finalmente recuperate le giacenze storiche e ripuliti parte degli scempi commessi prima dell’emanazione del riferimento normativo in questione. I consorzi o gli operatori che operano nel settore, infatti, hanno l’obbligo di riciclare gli pneumatici e nel caso in cui abbiano utili devono destinarli per il 30% al recupero delle giacenze storiche».

 

Con l’entrata in vigore del DM e la definizione del “ritiro gratuito” è stata effettivamente frenata anche la proliferazione di atteggiamenti poco rispettosi per l’ambiente, ma il vero problema di oggi resta il mercato nero. Gli pneumatici che vengono venduti o acquistati in nero non possono essere riconsegnati, una volta fuori uso, ai consorzi: ci sarebbero evidenti discrepanze sulle quantità. Eppure il “nero” si continua a fare, ma su questo aspetto Maggiolo è ottimista e crede che si tratti di un fenomeno abbastanza circoscritto che pian piano andrà e scemare grazie anche ai tanti sistemi di controllo messi in atto dalla normativa stessa.

 Quali invece gli sviluppi sul piano del recupero energetico?

 

«Mentre in Europa si recupera il 50% in materia e il 50% in energia – ha spiegato Maggiolo – in Italia le percentuali sono rispettivamente del 25-30% e del 70-75%. Si tratta di uno sbilanciamento che i Consorzi nazionali stanno cercando di riequilibrare, ma ci sono delle difficoltà oggettive: da una parte la crisi di mercato, che ha di fatto dato una “spallata” al prodotto, dall’altra, la scarsa abitudine dell’Italia ai prodotti riciclati, aggravata dall’assenza di prescrizioni coercitive da parte della legge. A livello culturale non siamo ancora abituati a fare una cosa solo perché è giusto farla. Sul piano del recupero dell’energia, invece, siamo piuttosto avanti rispetto all’Europa, anche se c’è da dire che si tratta di attività che vengono fatte sempre meno in Italia e sempre più all’estero: i cementifici, attori principali di questo processo, non hanno più interesse ad operare in Italia, preferendo altre mete, come il Marocco o l’Algeria, che per una serie di fattori risultano più appetibili».

 

Nonostante i buoni risultati, non mancano però obiettivi che il settore dovrà raggiungere per diventare competitivo. Primo tra tutti, secondo Maggioli, far ripartire la macchina dei consumi dei prodotti riciclati, per poi riequilibrare il rapporto “recupero di energia/recupero di materia” e diversificare le fonti di approvvigionamento degli pneumatici.

 

«In questo momento abbiamo un consorzio che gestisce l’80% del mercato e più consorzi che si dividono quel 20% che rimane. Non si tratta di monopolio, ma siamo in presenza di una certa dominanza di mercato. E’ è chiaro che più il mercato si amplia e c’è pluralità,  più c’è concorrenza e possibilità di essere remunerati e di investire per migliorare la qualità dei prodotti».

 

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