Rinnovabili • Degrado della criosfera: anche con 1,5°C, Polo Nord senza ghiacci

Quanto sarà veloce il degrado della criosfera? Tutti gli scenari

Un rapporto molto dettagliato presenta l’evoluzione degli ecosistemi ghiacciati in diversi scenari emissivi, coerenti con quelli presentati nell’ultimo lavoro dell’IPCC. Anche nel migliore dei casi, con tagli immediati alle emissioni, per l’Artico arriva una “diagnosi terminale”

Degrado della criosfera: anche con 1,5°C, Polo Nord senza ghiacci
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Quattro scenari possibili di degrado della criosfera

(Rinnovabili.it) – Anche con riduzioni drastiche e immediate dei gas serra, la calotta artica è destinata a svanire del tutto, mentre il livello dei mari salirà almeno di 2-3 metri nell’arco di qualche secolo. Una “diagnosi terminale” che riflette lo stato di degrado della criosfera e avrà implicazioni profonde per il clima della Terra, a lungo termine. Tutto questo nel migliore degli scenari emissivi possibili: una traiettoria su cui la COP27 sta cercando di portare l’ambizione climatica globale, ma dalla quale siamo ancora ben distanti.

“La perdita completa del ghiaccio marino artico in estate è ormai inevitabile, anche con i percorsi di emissione più bassi che prevedono un picco di temperatura di 1,6 °C. Questa constatazione è una diagnosi terminale per questo ecosistema e per il suo ruolo essenziale di riflesso della luce solare come “frigorifero della Terra””, spiega il rapporto State of the Cryosphere Report 2022: Growing Losses, Global Impacts a cura dell’International Cryosphere Climate Initiative che si concentra sugli ecosistemi terrestri in cui l’acqua è presente in forma di neve o ghiaccio.

Uno studio molto completo e dettagliato, che contiene le previsioni sul futuro degrado della criosfera e le sue immediate conseguenze a seconda dei diversi scenari emissivi delineati dall’ultimo rapporto dell’IPCC pubblicato quest’anno. Vediamoli nel dettaglio.

Scenari di degrado della criosfera

Scenari C1 e C2 – La previsione appena riportata si riferisce agli scenari che l’AR6 WG3 dell’IPCC, uscito lo scorso aprile, denomina C1 e C2. Entrambi prevedono il rispetto della soglia di 1,5°C ma con un overshoot, più o meno limitato (da 1,6 a 1,8°C) e emissioni in declino a fine secolo. In questo caso i mari si alzeranno di 2-3 metri di cui mezzo metro già nei prossimi 50-100 anni. Alcuni ghiacciai alle medie latitudini (le nostre) non si riprenderanno mai, altri potrebbero iniziare a dare segni di ricrescita per fine secolo. La maggior parte dei ghiacciai mondiali non si stabilizzerebbe comunque fino al 2200. Destinati a scomparire in ogni caso i ghiacciai vicini all’equatore. Il permafrost, fondendosi, libererà emissioni di CO2 e metano ai ritmi attuali dell’India per un totale di 150-200 Gt CO2e a fine secolo. E continueranno anche dopo, rappresentando una sfida continua per le future generazioni.

Limitare il riscaldamento globale agli 1,5 gradi permetterà di evitare il collasso dell’AMOC, il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica da cui dipende, tra le altre cose, il clima temperato dell’Europa di oggi. Il ghiaccio artico, come detto, si scioglierà completamente (avrà cioè un’estensione inferiore a 1 mln km2) per almeno un’estate già prima del 2050.

Scenari C3 e C4 – Il rapporto sul degrado della criosfera immagina poi uno scenario in cui la temperatura globale è mantenuta al di sotto dei 2 gradi, a 1,9°C, con un overshoot oltre i due gradi dopo il 2100. Si tratta degli scenari C3 e C4 dell’IPCC “corretti” in peggio per riflettere la situazione attuale: è la traiettoria su cui ci troveremmo se rispettassimo tutte le promesse sul clima depositate all’Unfccc, i contributi nazionali volontari (NDC).

In questo caso, il Polo Nord si scioglierebbe del tutto quasi ogni settembre, al termine dell’estate artica, e al picco di overshoot sarebbe libero da ghiacci da giugno a novembre. I mari si alzeranno di almeno 75 cm nel prossimo secolo e di 3-6 metri nell’arco di alcune centinaia di anni. Di ghiacciai nemmeno l’ombra: nel 2300 sopravviveranno solo ai poli e sull’Himalaya, ma anche qui con dimensioni anche dimezzate rispetto a oggi. Il permafrost emetterà tanti gas serra quanti l’UE oggi (220-300 Gt CO2e al 2100). L’acidificazione degli oceani, insieme ad altri fattori di stress come le ondate di calore marine, avranno profonde implicazioni per i pesci nell’Artico e in zone limitrofe.

Scenari C5 e C6 – Se attuiamo solo le politiche sul clima già previste oggi senza miglioramenti entro il 2030, avremo un riscaldamento globale di 2,7 – 3,1 °C, che corrispondono a due degli scenari emissivi peggiori dell’IPCC. Il degrado della criosfera è molto più vasto in questo caso: “Questo scenario farà pressioni sulle calotte glaciali in un modo che non si vedeva dalla fine dell’ultima era glaciale, 20-10.000 anni fa”. L’Antartide occidentale collasserà, i mari si alzeranno di 15-20 metri rispetto a oggi e già entro il 2100 avremo 1 metro in più. I ghiacciai sopravvivono solo ai poli e sull’Himalaya ma ridotti a 1/3 di oggi. Il permafrost emetterà CO2 e metano ai ritmi attuali degli Stati Uniti e totalizzerà anche 400 Gt CO2e al 2100, contraendosi del 70%. L’artico sarà libero da ghiacci già nel 2040.

Lo scenario attuale – Con la crescita dei gas serra ai ritmi odierni, il degrado della criosfera è globale e rapido. L’Antartide occidentale collasserà rapidamente alzando i mari di 2 metri entro il 2100 e 5 metri nel 2150. Difficile fare altre previsioni perché non esistono situazioni comparabili per aumento di CO2 in atmosfera nella storia della Terra. Il rapporto nota che l’Antartide sarebbe senza ghiaccio con +6°C rispetto a oggi. In questo scenario coerente con la traiettoria di oggi per vedere la neve bisognerà superare i circoli polari già a fine secolo. Il permafrost emetterà ai ritmi della Cina di oggi, tra le 5 e le 10 Gt CO2e l’anno, e sparirà del tutto nel giro di alcuni secoli. Il collasso della calotta polare artica sarà già evidente nel 2030 e ci vorranno almeno 1000 anni prima che l’ecosistema ritorni alle condizioni di oggi.

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Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
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Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
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Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.