Microplastiche nel sale: più diffuse di quanto si creda

Lo studio pubblicato su Environmental Science & Technology rivela che nella quasi totalità di sali commerciali da tavola analizzati sono state trovate tracce di microplastiche; situazione più critica nel Sud Est Asiatico

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L’inquinamento da microplastiche non risparmia nemmeno l’Italia

 

(Rinnovabili.it) – Il sale marino potrebbe essere utilizzato come un indicatore dell’inquinamento da microplastiche in mare. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori dell’Università di Incheon che, in collaborazione con Greenpeace East Asia, ha condotto uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, per valutare la presenza di microplastiche nei sali commerciali da tavola. La scoperta lascia a bocca aperta: nella quasi totalità dei campioni analizzati sono stati rinvenuti frammenti di microplastiche. Su 39 diversi brand di sale analizzati, infatti, soltanto in 3 non è stata trovata traccia di microplastiche. La contaminazione più alta si avrebbe nel sale marino, cui seguono quella nel sale da lago e nel salgemma. La situazione più allarmante, invece, sarebbe stata riscontrata nel Sud Est Asiatico, con picchi notevoli anche in Italia e nel Nord Europa.

 

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Quello dell’inquinamento da microplastiche marittime è un problema che mette a rischio gli ecosistemi e la salute umana. Sebbene in passato siano stati condotti studi simili, questa ricerca è la prima del suo genere ad aver esaminato la diffusione geografica dei contaminanti del sale marino e la sua correlazione con lo scarico ambientale e i livelli di inquinamento derivanti dalla plastica. Secondo lo studio, il centro nevralgico per l’inquinamento plastico globale sarebbe l’Asia. In un campione di sale marino indonesiano, i ricercatori hanno trovato le maggiori quantità di microplastiche. Il paese, non a caso, è considerato il secondo peggiore emettitore di plastica negli oceani del mondo. I tre brand di sale italiani, presenti tra quelli analizzati, due di tipo marino e uno di salgemma, sono risultati tutti contaminati, con una concentrazione di microplastiche compresa tra le 4 e le 30 unità per chilogrammo. I 3 marchi “puliti” invece provenivano da Cina Taiwan e Francia. “I risultati hanno suggerito che l’ingestione umana di microplastiche attraverso prodotti marini è fortemente correlata alle emissioni di plastica in una data regione”, ha affermato la professoressa Seung-Kyu Kim, tra gli autori dello studio. Stando a quanto riferito dai ricercatori, supponendo l’assunzione di 10 grammi al giorno di sale, il consumatore medio adulto potrebbe ingerire circa 2.000 microplastiche all’anno solamente attraverso il sale, e anche scartando dalle stime il campione di sale indonesiano, altamente contaminato, il valore rimarrebbe comunque alto: diverse centinaia di microplastiche all’anno.

 

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Cosa fare dunque per tutelarsi? Di sicuro, ne sono convinti gli autori della ricerca, fermare l’inquinamento plastico alla fonte: “Per la salute delle persone e del nostro ambiente – ha commentato Mikyoung Kim di Greenpeace East Asiaè incredibilmente importante che le aziende riducano immediatamente la loro dipendenza dalle materie plastiche usa e getta. Studi recenti hanno trovato plastica nei frutti di mare, nella fauna selvatica, nell’acqua del rubinetto e ora nel sale. È chiaro che non c’è via di fuga da questa crisi della plastica, soprattutto perché continua a infiltrarsi nei nostri corsi d’acqua e negli oceani”.

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