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La COP26 approva il patto sul clima di Glasgow: troppo poco, troppo tardi

L’obiettivo di tenere vivi gli 1,5 gradi è raggiunto, sostiene la presidenza UK. “Sì ma è in rianimazione”, replica il segretario generale dell’Onu Guterres durante la plenaria finale. Si cita l’addio ai sussidi fossili ma in extremis arriva lo sgambetto dell’India. Male sulla finanza climatica. Nasce un mercato del carbonio globale pieno di scappatoie per gli inquinatori. I nodi più critici rimandati alla COP27

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crediti: presidenza della COP26

La maratona negoziale della COP26 si chiude con un accordo debole

(Rinnovabili.it) – Ci sono voluti 26 vertici internazionali sul clima per riuscire a inserire la parola “combustibili fossili” vicino a “phase out” in una dichiarazione finale. Questo è più o meno tutto quello che di realmente positivo si può dire dell’accordo uscito da 2 settimane di negoziati alla COP26. Il Glasgow Climate Pact – questo è il nome ufficiale del testo – è ovviamente un grande compromesso tra quasi 200 nazioni, e com’è normale che sia tiene insieme interessi, priorità e punti di vista molto diversi. E lo fa scontentando tutti, com’è fisiologico.

Il grande problema è che il risultato è un accordo estremamente debole, con molte scappatoie, zeppo di frasi arzigogolate che alla fine dei conti rinviano la soluzione dei nodi più critici. Nel migliore dei casi il rinvio è a Sharm el-Sheik, dove si terrà la COP27 l’anno prossimo. Il patto sul clima di Glasgow, insomma, non è una sintesi degli interessi ma un Frankenstein assemblato a colpi di veti e minacce, alcuni arrivati persino fuori tempo massimo.

Il presidente della COP26, il britannico Alok Sharma, vende il Glasgow Climate Pact come un accordo che tiene in vita l’obiettivo di 1,5 gradi. Sarà anche vero ma l’ha spedito in rianimazione, era il commento di molti nei corridoi della COP26 a Glasgow e anche l’opinione del numero uno dell’Onu Antonio Guterres. Analizziamo i passaggi più importanti dell’accordo.

Sussidi fossili: finalmente si parla di phase out

Per la prima volta, in un testo uscito da un vertice sul clima, si parla esplicitamente di abbandono graduale dei sussidi fossili. Tuttavia, il linguaggio usato è davvero debole. La prima versione parlava di “accelerare il phase out del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili”. Poi sono comparsi dei distinguo importanti: solo il “carbone non abbattuto” e solo i “sussidi inefficienti”.

L’ultima versione aggiunge altro fumo. “Chiede” agli Stati “accelerare gli sforzi verso il phase out”, e non il phase out stesso. E chiede di farlo “riconoscendo il bisogno di supporto per una transizione giusta”, formulazione che permette ai grandi produttori tra i paesi in via di sviluppo (come l’India o l’Arabia Saudita) di pretendere soldi prima di promettere passi avanti nell’abbandono graduale di carbone e sussidi fossili.

E nemmeno questa versione, già debolissima, è passata. Durante la plenaria finale l’India si è messa di traverso e ha preteso di cambiare il “phase out” del carbone con un semplice “phase down”: per il carbone, quindi, non si punta più all’addio ma semplicemente a una riduzione. Vale la pena di ricordare che da principio la Gran Bretagna aveva fissato come obiettivo numero 1 della COP26 proprio l’addio al carbone. Chiamare il summit di Glasgow un “successo”, o anche soltanto “un passo nella giusta direzione”, è davvero un’impresa ardita se si considera il dossier del carbone.

Sui tagli delle emissioni, la soluzione della COP26 è…la COP27

È piuttosto semplice dare un giudizio al capitolo sulle misure di mitigazione del cambiamento climatico. Prima della COP26, i tagli alle emissioni promessi per il 2030 portavano il riscaldamento globale a +2,7°C. Con i nuovi impegni annunciati a Glasgow arriveremo a 2,4°C: quasi un grado sopra l’obiettivo di 1,5 gradi.

Se la presidenza UK può dire che il patto sul clima di Glasgow tiene viva la speranza, è solo perché l’accordo prevede un nuovo round di promesse già l’anno prossimo. L’impegno è di tornare al tavolo negoziale, che sarà a Sharm el-Sheik in riva al mar Rosso, con impegni più forti contro i gas serra. Il problema è che se questa volta strappare delle concessioni è stata dura, tra un anno sarà anche peggio. Sono molti i paesi che ritengono di aver già promesso fin troppo e che si aspettano un balzo in avanti dalle economie avanzate e da chi ha più responsabilità nelle emissioni storiche (quelle accumulate dalla metà del ‘700 a oggi).

Ancora un rinvio per la finanza climatica

Nel 2009 i paesi ricchi hanno promesso 100 mld l’anno entro il 2020 ai paesi più colpiti dall’impatto del cambiamento climatico. Finora non hanno mantenuto la promessa e con la COP26 si impegnano a raggiungere la cifra nel 2023. L’accordo invita i paesi a raddoppiare la loro quota di finanza climatica già il prossimo anno (ma sui livelli del 2019): è l’unica concessione alle richieste dei paesi più vulnerabili.

Cosa manca dall’accordo? Manca una cifra annuale da mobilitare a partire dal 2025, cioè il punto centrale delle discussioni di queste settimane. I paesi ricchi, UE e USA in testa, hanno frenato. Le delegazioni africane chiedevano 1.300 mld l’anno che ovviamente non si sono materializzati. E tutto il discorso è di fatto rinviato alle prossime conferenze sul clima.

Quello che ha fatto infuriare i delegati degli Stati insulari e dei paesi vulnerabili è il nulla di fatto sul capitolo loss & damage. L’accordo di Parigi prevede fondi per chi ha subito perdite e danni a causa del cambiamento climatico. La COP24 ha istituito un meccanismo – solo su carta – per gestire il dossier. Mancano però gli ultimi ingranaggi per farlo funzionare e manca soprattutto il carburante, cioè i fondi. Dall’accordo sono sparite tutte le proposte avanzate e la versione finale rimanda anche questo tema alla COP27.

La COP26 partorisce un mercato del carbonio globale

A Glasgow è arrivata finalmente la parola fine sull’articolo 6 dell’accordo di Parigi. Tra le misure più importanti c’è la creazione di un mercato globale del carbonio. Molti i punti critici. Il nuovo sistema fa largo affidamento sui carbon offset, le compensazioni, come la CO2 sequestrata dalle foreste. Una soluzione che non porta a tagli delle emissioni, è difficile da monitorare, non garantisce che il sequestro della CO2 sia permanente.

E ancora: solo il 2% delle quote sarà ritirato ogni anno. Solo una parte molto esigua dei proventi sarà destinata in misure di adattamento per i paesi più vulnerabili. Tutti i crediti emessi dopo il 2013 (pari a 320 mln di t di CO2), sotto il vecchio sistema di scambio nato con il protocollo di Kyoto, saranno considerati validi anche nel nuovo mercato globale del carbonio partorito dalla COP26. La richiesta di molti era di impedire del tutto di trascinare i vecchi crediti nel nuovo sistema. In teoria si evita di contare due volte i crediti (sia nei tagli delle emissioni di chi vende, sia in quelli di chi compra il credito): ma restano molte scappatoie e un linguaggio troppo interpretabile non aiuta. (lm)

Leggi qui il testo del Patto sul Clima di Glasgow

Trovi qui tutti i documenti approvati alla COP26

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Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

decreto ferx
Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.