Popoli indigeni e miniere in Amazzonia: smacco per Bolsonaro

Il presidente brasiliano sta perdendo la sua lotta per aprire le terre dei popoli indigeni nella foresta pluviale alle compagnie minerarie. Queste ultime non si fidano del quadro legale e stanno ritirando in massa le richieste di permessi di sfruttamento

Miniere in Amazzonia: le aziende non si fidano di Bolsonaro
Miniere di bauxite in Amazzonia. Crediti: Coordenação-Geral de Observação da Terra/INPE via Flickr CC BY-SA 2.0

Fuggi fuggi delle miniere in Amazzonia

(Rinnovabili.it) – Fine della luna di miele tra Bolsonaro e le compagnie minerarie? Mentre il presidente prova a ingraziarsi il settore in vista delle prossime elezioni con leggi ad hoc, le aziende non sembrano affatto convinte. E frenano richieste di permessi e investimenti. Cosa sta succedendo alle miniere in Amazzonia? Il tasto dolente sono le terre dei popoli indigeni.

Che la situazione sia molto meno rosea di come la vuole dipingere Bolsonaro, lo ha rivelato un sondaggio dell’Instituto Brasileiro de Mineração (Ibram), l’associazione di categoria che riunisce le 130 principali compagnie minerarie attive nel paese sudamericano. Per la prima volta da decenni, nessuno dei membri di Ibram ha delle operazioni in corso o delle richieste di permessi estrattivi per oro, stagno, nichel, ferro e altri minerali nelle aree indigene. Un risultato molto importante, visto che l’associazione rappresenta l’85% della produzione brasiliana di metalli.

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Cos’è successo? Le compagnie hanno ritirato in massa le richieste di permessi o chiuso le attività. Anche se Bolsonaro voleva l’esatto opposto. Il motivo è l’assenza di una regolamentazione chiara dal punto di vista legale. Secondo la costituzione brasiliana, è possibile lo sfruttamento minerario delle terre indigene solo dopo che le popolazioni hanno dato esplicitamente il loro consenso, e che tale consenso deve essere regolato da una legge apposita. Legge che al momento non esiste.

Per aggirare il problema, Bolsonaro prova da più di un anno a far approvare il contestatissimo “Marco temporal”. Il provvedimento richiede che le comunità indigene che vogliono la tutela ambientale sui loro territori dimostrino che li occupavano stabilmente nel 1988. È l’anno in cui il Brasile ha voltato pagina dopo la dittatura militare ed è entrata in vigore la nuova costituzione, quella attuale. Il problema è che molti nativi erano stati cacciati dalle loro terre dai militari. In molti altri casi, le comunità non hanno nessun documento formale che attesti la loro presenza nell’area.

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Per gli attivisti, questa legge è un modo subdolo per privare le popolazioni indigene dei diritti sulle loro terre ancestrali e far proliferare le miniere in Amazzonia. Ma anche per le compagnie minerarie, evidentemente, il Marco temporal non è garanzia sufficiente per i loro investimenti. “La posizione di Ibram è che non è possibile richiedere autorizzazioni per l’estrazione e la ricerca sulle terre indigene a meno che non si disponga di un regolamento costituzionale”, ha spiegato il presidente dell’associazione all’Associated Press.

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