Proteste per il clima, cosa vuole chi critica la COP26

Dalla poca attenzione riservata alla giustizia climatica alle promesse mancate, dagli sponsor con interessi non allineati con l’accordo di Parigi al ricorso compulsivo a soluzioni basate sulla natura: i temi al centro della protesta

proteste per il clima
Foto di NiklasPntk da Pixabay

Glasgow è il centro mondiale delle proteste per il clima

(Rinnovabili.it) – Il clou sarà sabato prossimo, il 6 novembre, tra Kelvingrove Park e Glasgow Green. Durante quella che è stata battezzata ‘Giornata globale per la giustizia climatica’ Glasgow diventerà il centro mondiale delle proteste per il clima. Fuori dall’area che ospita la COP26 sono attese più di 100 organizzazioni della società civile, qualcosa come 100.000 manifestanti. Quattro volte di più dei delegati che stanno negoziando al summit.

Greta Thunberg inaugura le proteste per il clima

Molte anime diverse agitano le proteste per il clima. Diverse sono anche le richieste e le priorità. I Fridays for Future pungolano i leader mondiali perché non stanno rispettando le loro stesse promesse. “Questa COP26 è finora come le COP precedenti e non ci ha portato da nessuna parte”, tuonava ieri Greta Thunberg a Glasgow. “All’interno della COP ci sono solo politici e persone al potere che fingono di prendere sul serio il nostro futuro, fingono di prendere sul serio il presente delle persone che già oggi sono colpite dalla crisi climatica”.

Tra le promesse disattese c’è sicuramente quella della finanza climatica, i 100 miliardi l’anno che i paesi più ricchi nel 2009 avevano promesso di incanalare verso i paesi più svantaggiati per aiutarli a mitigare e adattarsi al cambiamento climatico. Misura essenziale per assicurare che la transizione ecologica sia giusta e non lasci indietro i più vulnerabili, che sono poi i paesi che già oggi subiscono di più l’impatto devastante del climate change.

Ma negli slogan dei manifestanti alla COP26 di Glasgow si coglie anche la delusione per la mancanza di promesse all’altezza del momento storico in cui ci troviamo. Anche contando tutti i nuovi annunci, il gap di emissioni per allinearci alla traiettoria degli 1,5 gradi è ancora ampio: almeno 1,3°C secondo l’Emission Gap Report 2021.

Sponsor fossili e ‘nature-based solutions’

Per mesi le proteste per il clima hanno puntato il dito contro la scelta degli sponsor della COP26. Alcune Big Oil come Equinor, Shell e BP avevano provato a ottenere il via libera, ma l’organizzazione del summit ha chiuso la questione evitando ogni sponsorizzazione da compagnie fossili a causa della pressione degli attivisti. Diventare sponsor significa guadagnarsi un posto al tavolo e poter influenzare i negoziati.  

Problema risolto? Non proprio. Gli sponsor ufficiali sono molto meno green di quanto sembrano. Microsoft, Unilever, Sky, SSE, Scottish Power, Sainsbury’s, Reckitt, National Grid, Hitachi, GSK e NatWest Group hanno piani per diventare clima neutrali, ma si basano estesamente sui carbon offset, cioè su misure compensative che non riducono i valori assoluti di emissioni.

Su un tema simile, quello delle ‘nature-based solutions’, si concentrano poi molte critiche sia dagli attivisti sia da una parte degli scienziati climatici. Le soluzioni basate sulla natura sono sempre più centrali nelle strategie dei paesi per raggiungere la neutralità climatica e la COP26, come altri consessi internazionali, facilita questo processo. Si veda la promessa di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030 fatta dal recente G20 di Roma, ad esempio. Presentate come un toccasana sia per il clima che per la tutela della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi, anche queste soluzioni sono di tipo compensativo. Per i critici, si tratta più che altro di una strategia per ritardare il più possibile i tagli reali delle emissioni e la transizione energetica. (lm)

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