Pubblicata la bozza definitiva del nuovo accordo sul clima

Dopo una attesa durata tutta la mattina, l’ultima bozza del patto sul clima è stata resa pubblica. Un testo più breve e ampiamente insufficiente

Pubblicata la bozza definitiva del nuovo accordo sul clima

 

(Rinnovabili.it) – È pubblica la bozza definitiva dell’accordo globale sul clima. L’ha diffusa il presidente della COP 21 e ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, intorno alle 15:15 di oggi. Fino alle 20 di questa sera, i delegati potranno leggersi il documento, dopodiché si tornerà in riunione per continuare il negoziato.

Il testo, rilasciato poco dopo le 15, si è ridotto ancora rispetto a quello circolato la scorsa settimana: da 43 pagine è ora sceso a 29, mentre il 75%  del migliaio di punti lasciati tra parentesi quadre sarebbe stato eliminato.

«Abbiamo fatto progressi – ha detto il ministro degli Esteri francese – ma resta ancora del lavoro». Restano ancora, a detta di Fabius, 3 nodi chiave dell’accordo da dipanare: quello della responsabilità comune ma differenziata, i finanziamenti per i Paesi poveri e il livello di ambizione.

I negoziatori lavoreranno tutta stanotte e domani per arrivare a venerdì con un documento comune da approvare in plenaria senza finire per l’ennesima volta a smussare gli spigoli durante il fine settimana.

 

La nuova bozza, spiegata nel dettaglio

Osservando il testo, è facile notare come restino ancora aperte le questioni più importanti.

 

Limite al riscaldamento globale: Non è ancora chiaro se verrà inserita la richiesta di rispettare solo il target dei 2 °C (opzione 1), se vi saranno riferimenti ad una implementazione per giungere a 1,5 °C (opzione 2), o se – caso più ambizioso e improbabile – passerà direttamente l’opzione 3, che prevede il solo obiettivo di 1,5 °C.

 

Il presidente della COP 21, Laurent Fabius
Il presidente della COP 21, Laurent Fabius

Responsabilità comuni ma differenziate: resta tra parentesi anche questo passaggio, grazie al quale fino ad oggi i Paesi in via di sviluppo hanno potuto godere di un trattamento diverso dai grandi inquinatori dell’Occidente. Tuttavia, oggi la Cina è il primo Paese per emissioni globali e l’India il terzo: ecco perché Stati Uniti e Unione europea cercano di eliminare questo privilegio per Paesi che sono cresciuti a ritmo vertiginoso negli ultimi anni. Su questo punto vedremo scintille fino all’ultimo giorno.

 

Obiettivi a lungo termine: sono un  cantiere aperto. Vi sono riferimenti a un taglio delle emissioni del 40-70% entro il 2050 rispetto al 2010, ma non è ancora stata esclusa la possibilità di un taglio del 70-95%. Rimane molto probabile la sostituzione della dicitura «emissioni zero» con quella più pericolosa «emissioni nette zero». Quest’ultima, pone le basi per lo sviluppo di tecniche di geoingegneria i cui rischi rimangono ancora sconosciuti, così come i benefici.

 

Deforestazione: otto righe soltanto dedicate ad uno dei temi più importanti. Le parti sono appena «incoraggiate» a ridurre le emissioni da deforestazione. Nessun vincolo legale né obiettivi per la deforestazione zero sono stati inseriti nella bozza: questo significa che la COP 21, fino ad ora, ha fallito sul contrasto alla distruzione delle foreste.

 

Adattamento: non è chiaro da chi arriveranno i contributi per mettere al riparo i Paesi più esposti agli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. Non viene ancora nemmeno riconosciuta una particolare vulnerabilità ai piccoli Stati insulari o ai Paesi più poveri. Ogni Stato, tuttavia, dovrà fornire una lista di risorse delle quali abbisogna per l’adattamento climatico.

 

Pubblicata la bozza definitiva del nuovo accordo sul clima 3

 

Perdite e danni: un altro punto tremendamente controverso. Non si sa ancora se al meccanismo loss and damage verrà dedicato il capitolo 5 dell’accordo o se sarà assorbito nel capitolo 4 (Adattamento). Nel secondo caso, sarebbe più facile annacquarne le pretese. Se venisse a cadere tutto il muro di parentesi quadre che racchiude questo capitolo, invece, potrebbe nascere una struttura destinata a coordinare gli impegni a favore dei milioni di persone indotte ogni anno a migrare per colpa del cambiamento climatico. Questo significa, però, che i Paesi ricchi dovrebbero formalmente essere riconosciuti responsabili di danni climatici irreversibili e permanenti. E non hanno la minima intenzione di accollarsi le spese e gli impegni. Ecco perché su questo capitolo regna ancora l’incertezza.

 

Finanza: vale il discorso fatto per il meccanismo loss and damage. Quel che pare di capire è che la parte del leone dovranno farla i Paesi ricchi, dai quali ci si aspetta la maggior parte del finanziamento. Tuttavia non vi è accordo sui meccanismi di revisione: nei prossimi giorni sarà più chiaro se le somme si tireranno ogni due anni o se «periodicamente» verranno rese pubbliche solo le «informazioni rilevanti».

 

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Sistema di revisione e implementazione: Nel 2023 o 2024 (da decidere) avverrà il primo inventario globale che porterà a tirare le somme degli impegni assunti con la ratifica dell’accordo di Parigi. Da qui in poi, sarà previsto ogni 5 anni. Viene anche costituita una commissione di esperti per facilitare l’implementazione delle disposizioni contenute nell’accordo. Il gruppo fornirà dei report annuali ma non è ancora sicuro che debba promuovere anche la conformità di tali implementazioni agli obiettivi dell’accordo (compliance). Se così non fosse, le Parti non potrebbero essere sollecitate a implementare le loro misure coerentemente con il target dei 2 °C o 1,5 °C.

 

Sussidi ai combustibili fossili: nessuna disposizione.

 

Obiettivi per le energie rinnovabili: nessuna disposizione.

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