Lo scioglimento dei ghiacci è molto più avanti del previsto

L’Università di Calgary mette in discussione tutte le misurazioni satellitari fornite finora, dicendo che lo scioglimento dei ghiacci in Artico è più grave del previsto

scioglimento dei ghiacci

 

La neve salata inganna i satelliti sullo stato dello scioglimento dei ghiacci

 

(Rinnovabili.it) – Un altro allarme piomba sulla calotta polare, e ancora una volta il mondo della scienza torna a domandarsi se non siano stati sbagliati tutti i calcoli finora fatti sullo scioglimento dei ghiacci in Artico. Secondo l’Università di Calgary, infatti, la superficie ghiacciata del polo nord potrebbe diminuire più velocemente di quanto previsto, a causa del fatto che le pur accurate misurazioni satellitari non hanno tenuto conto della differenza tra neve salata e ghiaccio marino.

Il paper prodotto dal gruppo Cryosphere Climate Research dell’università canadese è stato pubblicato sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, e sostiene che le stime satellitari sullo spessore del ghiaccio marino stagionale siano fino al 25 percento più ottimistiche della situazione reale. Ciò significa che l’Oceano Artico potrebbe essere privo di ghiaccio molto prima di quanto immaginato da diversi scenari, che prevedono una scomparsa totale durante i mesi estivi tra il 2040 e il 2050.

 

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Ci sono una serie di stime sul momento in cui il ghiaccio marino nell’Artico inizierà a scomparire in estate a causa del riscaldamento globale: ma l’Università di Calgary mette in discussione tutte le misurazioni satellitari fornite finora.

«Il problema è che le misurazioni a microonde dai satelliti non penetrano molto bene la neve salata, pertanto le letture satellitari sovrastimano lo spessore del ghiaccio», ha spiegato Vishnu Nandan, che ha coordinato la ricerca.

A trarre in inganno anche le tecnologie più evolute per il monitoraggio della Terra, è l’impossibilità di distinguere tra neve e ghiaccio quando gli occhi elettronici guardano dall’alto gli strati emersi di ghiaccio. Ecco perché secondo un altro ricercatore, John Yackel, «i nostri risultati suggeriscono che la salinità della neve dovrebbe essere presa in considerazione in tutte le stime future».

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