Il rapporto evidenzia che oltre la metà della popolazione mondiale ha difficoltà ad accedere a diete sane e questo provoca conseguenze devastanti per la salute pubblica, l'equità sociale e l'ambiente.

La transizione globale verso una dieta sana e sostenibile potrebbe ridurre del 15% entro il 2050 le emissioni di gas serra diversi dalla CO2 provenienti dall’agricoltura. L’ultimo rapporto della Commissione EAT-Lancet sui “sistemi alimentari sani, sostenibili ed equi” spiega che le diete più sane per l’uomo e più sostenibili per il pianeta implicherebbero un incremento della produzione di verdura e frutta, sia fresca che secca, e una riduzione degli allevamenti di bestiame.
Come nutrirsi per seguire una dieta sana e sostenibile
La Commissione EAT-Lancet, un gruppo di scienziati esperti di nutrizione, salute, scienze ambientali, economia e agricoltura, nel 2019 ha diffuso la “Dieta della Salute Planetaria” o PHD, un modello citatissimo utile a nutrire la popolazione mondiale in modo sano e sostenibile fino al 2050. Il gruppo di scienziati ora ha aggiornato quel modello di riferimento. L’ultima edizione si basa sul rapporto precedente ma include una modellizzazione migliorata della trasformazione dei sistemi alimentari e delle considerazioni di giustizia sociale.
In gran parte simile a quella precedente, la nuova versione della dieta prevede un apporto energetico adeguato; una varietà di alimenti integrali o minimamente processati, prevalentemente di origine vegetale; grassi principalmente insaturi, senza oli parzialmente idrogenati e quantità minime di zuccheri e sale aggiunti agli alimenti. Un aspetto molto importante da sottolineare è che il modello proposto non prevede l’esclusione di carne o latticini, ossia gli alimenti che causano emissioni più elevate, ma ne raccomanda porzioni limitate.
Per chi mangia alimenti di origine animale la dieta suggerisce porzioni equivalenti a un bicchiere di latte al giorno e non più di due porzioni di carne e due uova a settimana. Lo schema è pensato per assicurare 2.400 calorie al giorno. Per ciascun tipo di alimento è incluso un intervallo di quantità possibili. Le categorie con le assunzioni maggiori sono cereali integrali, oli vegetali, frutta secca e legumi. La dieta è molto flessibile e si adatta benissimo alle diverse culture, schemi alimentari, tradizioni locali e preferenze individuali e aiuta a contenere il rischio di malattie non trasmissibili.
Attualmente, come si evince dal rapporto, tutte le diete nazionali si discostano sostanzialmente dalla PHD ma adottarla come riferimento potrebbe evitare quasi 15 milioni di decessi ogni anno (il 27% dei decessi totali a livello mondiale). La transizione permetterebbe anche di abbassare i tassi di molte malattie non trasmissibili e favorirebbe la longevità.
La trasformazione dei sistemi alimentari può ridurre le emissioni
Una trasformazione dei sistemi alimentari, in linea con le raccomandazioni della Commissione EAT-Lancet, ridurrebbe sostanzialmente le pressioni globali su clima, biodiversità, acqua e livelli di inquinamento. Nessuna azione da sola cambia davvero le cose ma anche solo passare a una dieta più sana e sostenibile, come sostiene il rapporto, permetterebbe una riduzione del 15% delle emissioni agricole globali. Invece, seguire una dieta sana e sostenibile, migliorare la produttività agricola e ridurre gli sprechi alimentari garantirebbe invece una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra dell’agricoltura (a patto che tutte e tre le azioni fossero implementate contemporaneamente).
Tale trasformazione potrebbe portare a un sistema alimentare meno dispendioso in termini di risorse e manodopera, in grado di fornire una dieta sana a 9,6 miliardi di persone, con un impatto anche modesto sui costi medi del cibo. Tuttavia, una tale trasformazione comporta un ripensamento delle modalità di produzione del cibo e ha notevoli implicazioni sulle persone coinvolte in questi processi. Ad esempio, alcuni settori dovrebbero contrarsi (il rapporto consiglia una riduzione del 33% della produzione di carne di ruminanti), mentre altri dovrebbero espandersi (ad esempio, si raccomanda un aumento del 63% della produzione di vegetali, come verdura e frutta fresca e secca) rispetto ai livelli di produzione del 2020.
La giustizia sociale come obiettivo prioritario della trasformazione dei sistemi alimentari
Il rapporto evidenzia che oltre la metà della popolazione mondiale ha difficoltà ad accedere a diete sane e questo provoca conseguenze devastanti per la salute pubblica, l’equità sociale e l’ambiente. Le persone più in difficoltà vivono nelle regioni del mondo caratterizzare da basso reddito. Il rapporto sostiene che le abitudini alimentari del 30% più ricco della popolazione mondiale contribuiscono a più del 70% delle pressioni ambientali derivanti dai sistemi alimentari, come l’uso del suolo e le emissioni di gas serra. Le cifre evidenziano quindi grandi disuguaglianze nella distribuzione sia dei benefici che degli oneri degli attuali sistemi alimentari, come si legge nella relazione.
Per questo motivo gli scienziati spiegano che ci può essere alcuna trasformazione senza giustizia sociale. Perché tale trasformazione abbia successo devono realizzarsi: una distribuzione più equa delle opportunità e delle risorse, tale da garantire a tutti gli esseri umani il diritto al cibo, a un ambiente sano e a un lavoro dignitoso, e un’equa distribuzione della responsabilità di produrre, distribuire e consumare cibo entro limiti sostenibili per il pianeta.
Le asimmetrie di potere e le politiche discriminatorie impediscono il rispetto di questi diritti, con conseguenze gravi per la salute dell’umanità. Garantire salari dignitosi, regolamentare e limitare la concentrazione del mercato e migliorare la trasparenza e l’accesso alle informazioni sono tutte azioni di forte impatto. Inoltre, il rapporto sottolinea in particolare l’importanza della tutela dei diritti umani fondamentali nelle aree di conflitto, principio fondamentale della giustizia sociale.
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