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Puntare sulle fonti fossili unabated alla COP28 farà scoppiare una “bomba” da 86 GtCO2

A Dubai il dossier del phase out delle fonti fossili è il più controverso. L’industria oil&gas e i petrostati spingono perché sia limitato solo alle fossili “unabated”: si darebbe luce verde a tutti i progetti che usano la cattura e stoccaggio della CO2. Ma le performance traballanti di questa tecnologia ci possono condannare a sforare 1,5 gradi di almeno 86 miliardi di tonnellate di gas serra

Fonti fossili unabated: la COP28 rischia di condannarci a 86 GtCO2 di troppo
Foto di Markus Spiske su Unsplash

Il rapporto di Climate Analytics sul ricorso alla tecnologia CCS su vasta scala

(Rinnovabili.it) – Due delle quattro versioni del phase out delle fossili in discussione alla COP28 di Dubai parlano di eliminazione graduale delle fonti fossili unabated e non delle fossili in quanto tali. A dover essere eliminate sarebbero quindi le emissioni, non la produzione di petrolio, gas e carbone. Obiettivo che si può raggiungere solo ricorrendo a tecnologie per la rimozione della CO2, su tutte la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS). Ma si tratta di tecnologie immature, che potrebbero dare risultati ben inferiori alle aspettative. Se ci fidiamo troppo della CCS, rischiamo di trovarci con una “bomba” di gas serra: 86 miliardi di tonnellate di CO2 (GtCO2) di troppo saranno ancora emesse nel 2050. Abbastanza per farci deragliare definitivamente dai binari per 1,5 gradi.

A chi piace parlare di fonti fossili unabated?

Lo ha calcolato Climate Analytics in un rapporto pubblicato la scorsa settimana, mentre l’opzione di tagliare e portare a zero solo le emissioni fossili prende sempre più piede su spinta dei petrostati e dei lobbisti dell’industria dell’oil&gas. Ridurre solo le emissioni fossili consentirebbe ai paesi produttori di mantenere il loro modello di business e continuare a investire nell’espansione di nuovi giacimenti. Attirandone peraltro di nuovi, inclusi finanziamenti pubblici, per lo sviluppo su scala delle tecnologie CCS.

L’OPEC lo ha scritto chiaramente in una lettera indirizzata alla presidenza emiratina della COP28 e fatta filtrare al Guardian: un accordo che preveda un phase out “forte”, cioè realmente ambizioso, mettere a rischio “la nostra prosperità”, mentre le crescenti pressioni dei paesi a Dubai – ormai sono 106 su 200 a chiedere esplicitamente l’addio alle fossili – potrebbero davvero raggiungere “il punto di non ritorno”.

Tutto questo mentre per i corridoi della conferenza sul clima si aggirano alacremente almeno 475 lobbisti che promuovono l’uso di tecnologie CCS, ha calcolato il Center for Environmental Law (CIEL). Una “delegazione” che supera di numero quasi qualsiasi altra delegazione statale.

I rischi di un phase out zoppicante alla COP28

Non sono tecnicismi della diplomazia climatica: il riferimento alle fonti fossili unabated nella decisione finale della COP28 avrebbe delle ripercussioni enormi sulla transizione a livello globale. Climate Analytics ha provato a quantificarle. Come? Restando realisti.

Lo scenario descritto nel rapporto ipotizza che le tecnologie CCS si diffondano in modo capillare, come sarebbe prospettato da un accordo che parli di phase out delle emissioni fossili. Ma valuta l’efficacia della CCS non sulla base delle previsioni (ottimistiche) dell’industria, cioè il 95% di CO2 catturata.

Usa invece un parametro in linea con le performance che vengono ottenute nella realtà, oggi: la CCS cattura circa il 50% della CO2 generata dagli impianti dove è applicata. In più, il rapporto assume che le fuoriuscite di metano che possono essere catturate non sia l’80% ma un più credibile 30%. A conti fatti, con queste performance più realistiche, l’affidarsi alla cattura e allo stoccaggio del carbonio su vasta scala avrebbe come effetto l’immissione in atmosfera, nel 2050, di almeno 86 GtCO2 di troppo rispetto ai livelli compatibili con il rispetto della soglia di 1,5 gradi.

Puntare oggi sulla CCS “crea la falsa impressione che possiamo raggiungere i nostri obiettivi climatici e mantenere un consumo su larga scala di combustibili fossili, commenta Climate Analytics. “Al contrario, i percorsi che raggiungono il limite di 1,5°C dell’Accordo di Parigi in modo sostenibile mostrano un’eliminazione quasi completa dei combustibili fossili entro il 2050 e si basano in misura molto limitata, se non del tutto, sulla CCS fossile” aggiungono gli autori.

In più, finora nessun accordo internazionale ha mai dato una definizione di cosa significa di preciso unabated. Se questo termine chiave fosse mal definito “potrebbe riaprire una porta sull’uso su larga scala dei combustibili fossili”, perché consentirebbe di “classificare come abbattuti i progetti CCS fossili con scarse prestazioni. Ciò potrebbe far sì che le emissioni a monte e a valle della produzione di combustibili fossili continuino a non essere affrontate”.