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La faccia nascosta della guerra in Medio Oriente

La faccia nascosta della guerra in Medio Oriente

Operazioni militari come quelle che si susseguono in Medio Oriente hanno un impatto significativo sull’ambiente e sul clima, contribuendo all’aumento delle emissioni di gas serra e causando danni diretti agli ecosistemi. Questi impatti includono la deforestazione, l’inquinamento delle acque e del suolo, la distruzione di infrastrutture, con conseguenze che possono persistere per decenni. 

Un gruppo di ricercatori provenienti da università del Regno Unito e degli Stati Uniti ha recentemente quantificato le emissioni di gas serra generate dal conflitto in corso nella Striscia di Gaza. L’indagine, con un respiro più ampio, ha incluso anche le emissioni associate ad azioni militari nei territori di Libano, Iran e Yemen 

Tra i risultati più rilevanti, lo studio mette in evidenza la necessità urgente di introdurre obblighi di trasparenza sulle emissioni militari all’interno del quadro normativo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Attualmente, infatti, gli Stati non sono tenuti a comunicare alle Nazioni Unite le emissioni derivanti da operazioni belliche, la cui portata è invece rilevante. 

Secondo le valutazioni dei ricercatori britannici e statunitensi, le attività militari legate al conflitto in Medio Oriente avrebbero infatti prodotto quasi 1,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica (Fig. 1). Questa quantità, accumulata in un arco temporale di circa quindici mesi, dall’ottobre 2023 fino al gennaio 2025, supera le emissioni annuali prodotte da decine di nazioni a basso impatto ambientale, ben 36 secondo i dati comparativi analizzati dallo studio.

Fig. 1 – Effetto serra prodotto dai conflitti mediorientali (Mt di CO2)

Questa cifra è purtroppo destinata ad aumentare in misura rilevante nella stessa area geografica a seguito dell’attacco di Israele contro l’Iran, dopo che i due Paesi conducevano da tempo un conflitto a bassa intensità. 

Il casus bellis è stato il contenuto di una risoluzione approvata dal Consiglio dei governatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), risoluzione che accusava formalmente l’Iran di non rispettare i propri obblighi in materia nucleare, per la prima volta in vent’anni. Il documento, sostenuto da Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania, denunciava la mancata cooperazione di Teheran con gli ispettori e l’assenza di spiegazioni credibili sulle tracce di uranio rilevate in siti non dichiarati, per cui  le scorte di uranio di Teheran, arricchito al 60%, continuavano ad aumentare, in violazione degli accordi.   

Naturalmente in Iran si è ancora lontani dall’arricchimento in U-235 al 90%, richiesto per realizzare una bomba atomica, e altrettanto distante è il tempo successivamente necessario per mettere a punto un ordigno nucleare.

 La denuncia dell’AIEA è  però stata immediatamente colta al volo dal premier israeliano Netanyahu per scatenare un attacco militare contro l’Iran.

Seguendo un piano prestabilito, Tel Aviv ha colpito le infrastrutture nucleari del governo di Teheran, decapitato i suoi vertici militari, ucciso scienziati nucleari  di alto livello, distrutto radar e postazioni missilistiche, utilizzando aerei da guerra, ma anche droni in precedenza introdotti clandestinamente nel Paese. L’Iran ha risposto con diversi attacchi missilistici verso Israele che, se pur in misura minore, hanno provocato danni, morti e feriti.

Mentre scrivo queste righe, il conflitto si è allargato con l’intervento americano a fianco di Israele e l’attacco a Fordow, l’impianto dove l’Iran sta arricchendo l’uranio al 60%; impianto sepolto a novanta metri di profondità sotto una montagna e protetto da calcestruzzo ultraresistente, ubicazione che ha reso vani i raid israeliani.

In questo contesto gli USA potrebbero impiegare una tecnologia di cui solo loro dispongono in Occidente: il penetratore nucleare a terra (Robust Nuclear Earth Penetrator), caricato su aerei con capacità di attacco in profondità come il B-2 Spirit, che sfrutta la tecnologia stealth per eludere le difese nemiche e colpire bersagli ben protetti.   

In tal caso, il conto da pagare per il conflitto tra Israele ed Iran   sarà ancora più salato in termini economici, di emissioni radioattive, di crisi climatica, mentre è impossibile quantificarne l’impatto indiretto, provocato dal calo di fiducia, in primis tra le parti in causa, nei confronti di future trattative non solo per evitare la proliferazione nucleare, ma anche (soprattutto) per contrastare la crisi climatica.

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About Author / GB Zorzoli

Past president del Coordinamento FREE, past president dell’AIEE, membro del Consiglio nazionale degli Stati Generali della Green Economy e del CTS di Italia Solare, svolge attività di consulenza per aziende attive nel settore energetico ed è Senior Scientific Advisor di Green Energy Storage, che sta sviluppando un accumulo di lunga durata. Collaboratore e membro dei comitati scientifici delle riviste “Energia”, “QualEnergia”, “La Termotecnica”, “Rinnovabili.it”, “Economics and Policy of Energy and the Environment”, opinionista della Staffetta Quotidiana, ha pubblicato numerosi saggi, articoli e libri su temi energetico-ambientali