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Tutto in una notte: lo sciagurato iter dell’art. 65

Presentato, modificato e poi reso definitivo: ANIE/GIFI e APER ci spiegano cosa è successo e cosa ci dovremo aspettare con l'entrata in vigore del Decreto sulle liberalizzazioni

(Rinnovabili.it) – Il Decreto Legge sulle liberalizzazioni ha introdotto una serie di novità, alcune delle quali relative al comparto del fotovoltaico e di sicuro non positive per la stabilità del settore. Sembra di essere tornati ai fatidici momenti prima dell’approvazione del cosiddetto Decreto Romani: caos, poca chiarezza e uno stop che di fatto blocca il settore. A scapitarci un’unica categoria di persone: gli imprenditori, che da un giorno a un altro hanno visto i loro investimenti andare in fumo. Ma chi è che ci guadagna da tutto ciò? Andiamo per gradi e cerchiamo di capire cos’è successo. Lo facciamo sentendo cosa hanno da dirci a riguardo due grandi associazioni che in Italia rappresentano il comparto del fotovoltaico: ANIE/GIFI e APER.
Tutto è partito dal tanto discusso art.65.

Valerio Natalizia (Presidente ANIE/GIFI): “Nella prima bozza dell’articolo 65 c’era a nostro avviso il grosso pericolo che si creasse una sorta di Salva Alcoa 2. Nel comma 1, infatti, si parlava dell’immediato divieto di costruire impianti solari fotovoltaici su terreni agricoli, però poi si dava una proroga di 12 mesi valida per tutti gli impianti. Una situazione che, in pratica, andava a posticipare l’introduzione degli articoli 4 e 5 del Decreto Romani, ovvero il limite che sarebbe entrato in vigore dal 29 marzo 2012 e che stabiliva la potenza massima di 1 MW (art. 4) e l’occupazione fino a un massimo del 10% della superficie a disposizione (art. 5). Con il comma 2, invece, si dava la possibilità di installare impianti anche superiori al MW su terreni agricoli. Per questo inizialmente non siamo stati d’accordo né sullo stop sui terreni agricoli né sull’introduzione di una normativa nuova quando neanche quella vecchia era riuscita a entrare in vigore (lo avrebbe fatto il 29 di marzo). Il pericolo che vedevamo era una corsa alle installazioni di impianti di grossa taglia”.

 

Pietro Pacchione (APER): “Modificare la normativa di riferimento dall’oggi al domani comporta non pochi disagi per il mondo industriale. L’avere regole chiare e certe è una base fondamentale per qualunque filiera industriale e l’imprenditore deve essere messo nelle condizioni di poter creare una filiera, strutturarsi e fare impresa. Aprendo a tutti gli effetti il limite inizialmente presente nel Decreto Legislativo 28, la prima versione dell’art. 65 apparentemente avrebbe avvantaggiato il mercato dato che avrebbe aperto il mercato degli impianti a terra su terreni agricoli per un anno; diventava però un problema se messa in relazione con il IV Conto Energia, nel quale c’è anche un limite di spesa annua (abbiamo raggiunto 5,5 mld€ a fronte di un limite massimo di spesa tra 6-7 mld€). Il rischio sarebbe stato quello di stare sotto una coperta corta, cioè di non riuscire più a controllare la spesa di questi impianti e di consumare in tempo reale tutte le risorse a disposizione per i prossimi anni”.

Non è ancora chiaro quali siano state le intenzioni di chi ha proposto questo articolo; forse l’intento era quello di bloccare le installazioni sui terreni agricoli, ma con la prima bozza ci sarebbe stato il rischio di un’accelerazione delle installazioni. Per questo è stato facile ripensare a quanto è successo con il Salva Alcoa, una norma dapprima positiva che poi però si è ritorta contro il settore. Si arriva dunque al secondo testo, con una modifica alla formulazione dell’art. 65 in totale contrapposizione a quella della prima bozza e che di fatto ha reso immediatamente impossibile l’ottenimento delle tariffe incentivanti a determinati impianti.

Valerio Natalizia (Presidente ANIE/GIFI): “Nella seconda bozza, l’art. 65 è stato modificato per diventare più ingiusto dal punto di vista della certezza del diritto. Con l’entrata in vigore del Decreto due giorni fa, infatti, nel comma 2 si bloccano da subito tutti gli impianti superiori al MW, costruiti e non ancora collegati alla rete. In pratica, un investitore che aveva già ricevuto i finanziamenti e stava ultimando le fasi di connessione dell’impianto alla rete, si è visto arrivare una nuova normativa che di fatto ha bloccato gli incentivi all’impianto”.

Pietro Pacchione (APER): “Si tratta di una norma retroattiva assurda e si spera che si tratti un grossolano errore che deve essere immediatamente corretto e modificato. Il Decreto Legislativo 28 poneva dei limiti per i nuovi impianti su terreni agricoli, ma dava un periodo transitorio di salvaguardia, che si sarebbe concluso il 29 marzo del 2012: a partire da quando è stato pubblicato il Decreto, infatti, veniva dato 1 anno di tempo per chiudere gli impianti che non rispettavano le caratteristiche indicate dal Decreto stesso. Con la pubblicazione di questo articolo, le centinaia di imprenditori che stavano costruendo un impianto in funzione del regime di salvaguardia normato con il Decreto Lgs 28 in una notte si sono visti bruciati i propri investimenti”.

Tanti dunque i rischi che si corrono e forte il nonsenso di un grave errore, venuto fuori dal tentativo di correggerne uno meno grave. Cosa fare?

Valerio Natalizia (Presidente ANIE/GIFI): “Stiamo cercando di capire se all’interno della nostra associazione ci siano casi reali e quindi azioni che i singoli investitori intendano portare avanti. Ci siamo poi rivolti alle istituzioni e agli interlocutori politici per spiegare nel dettaglio i motivi per cui non siamo contenti di questo provvedimento e, dai primi riscontri, a me sembra che non tutti abbiano capito bene quali potrebbero essere gli effetti di questo articolo; per questo stiamo cercando di spiegare bene nel dettaglio per aiutare a fare chiarezza. Resta il fatto che non è questo il giusto modo di operare. Se ci sono dei provvedimenti allo studio, a nostro avviso, dovrebbero essere interpellate per prime le associazioni di settore. In questo caso specifico, è successo tutto all’improvviso e, a mio avviso, senza fare le dovute valutazioni”.

Pietro Pacchione (APER): “Stiamo valutando se ci sono strade legali che possono essere perseguite immediatamente. C’è un circolo vizioso dove da una parte ci sono le banche che ovviamente si mettono in tutela e, dall’altra, ci sono gli imprenditori bloccati perché non ricevono più soldi dalle banche per finire l’impianto. I tempi sono strettissimi per recuperare questo errore e comunque si tratta di una situazione che porta a perdere gli incentivi”.

Sta di fatto che, ad oggi, le associazioni si stanno interfacciando tra loro per portare avanti azioni congiunte e i vari uffici legali si stanno confrontando per capire quali siano gli strumenti migliori per procedere. Unanimi ovviamente su una cosa: si tratta di una norma inaccettabile in un Paese civile.