Usa-Cina, sul solare è scontro aperto

Il Dipartimento del Commercio statunitense ha reso noto d’aver aperto un’indagine anti-dumpig per verificare l’esistenza o meno di pratiche commerciali scorrette. Ma Pechino non ci sta

La scalata “solare” della Cina fa paura. E non importa se sei una super potenza commerciale come gli Stati Uniti. Le previsioni degli analisti di mercato (vedi il recente rapporto di Solarbuzz) hanno già inquadrato la crescita del settore fotovoltaico della Repubblica Popolare in un trend a doppio segno positivo. Per gli Usa, alle prese con una serie di fallimenti tra i produttori di moduli e celle nazionali finanziamenti dallo Stato, la concorrenza di aziende cinesi come Trina Solar e Suntech Power sta minando il mercato interno. Sostenute da forti incentivi governativi e regionali e con prezzi della manodopera notevolmente più bassi, le compagnie del Gigante Asiatico stanno facendo tremare la terra sotto i piedi agli avversari americani e non solo. La disputa commerciale, una delle tante questioni delicate tra Stati Uniti e Cina, ha spinto lo scorso 19 ottobre, un gruppo di società del fotovoltaico stelle e strisce, capitanate dalla SolarWorld Industries America Inc., a depositare presso le autorità governative di Washington D.C. un’istanza richiedente l’attivazione di misure atte ad arginare l’ondata di prodotti a basso costo  “made in China”.

L’istanza, presentata anche alla International Trade Commission, denuncia il protezionismo statale di cui godono le aziende fotovoltaiche cinesi. “Con le nostre fabbriche europee e americane – spiega E. Frank Asbeck, Presidente del Consiglio di Amministrazione della SolarWorld AG – riusciamo a reggere la competizione internazionale, ma qui ci troviamo di fronte a una concorrenza sleale, alla quale dobbiamo opporre resistenza”. La coalizione solare ha denunciato, inoltre, numerosi casi documentati di violazione degli standard, ambientali, sociali e di qualità che si scontrano invece contro le regole più ferree esistenti per i siti di produzione negli Stati Uniti e in Europa.

Il Dipartimento del Commercio ha reso noto ieri d’aver accettato la petizione e d’aver aperto un’indagine anti-dumpig per verificare l’esistenza o meno di pratiche commerciali scorrette e di sovvenzioni statali illecite. In realtà è alla Commissione del commercio internazionale che spetterebbe l’ultima parola sulla questione, vale a dire se, una volta esaminata la questione, dare il luogo a procedere al caso. La votazione è attesa per il prossimo 5 dicembre, e in caso di risultato positivo, il Dipartimento americano potrebbe decidere su eventuali misure di compensazione tra gennaio e marzo.

Veloce la replica di Pechino che attraverso il portavoce del ministero del Commercio, Shen Danyang, ha avvertito la causa potrebbe compromettere la cooperazione cinese sulle questioni energetiche. “Il governo è molto preoccupato per questo caso”, ha dichiarato Shen, aggiungendo che la Cina si riserva il diritto di adottare misure corrispondenti nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. “Il governo statunitense adotta delle misure restrittive per i prodotti cinesi atti alla produzione di energia pulita; l’azione danneggia non solo l’atmosfera di cooperazione tra i due paesi nell’ambito delle nuove risorse, bensì gli interessi americani in tale settore”.

Critici contro l’iniziativa statunitense anche alcuni esperti del settore che sostengono che la decisione del Dipartimento del Commercio possa far deragliare gli sforzi dei leader che questa settimana si ritroveranno all’Asia-Pacific Economic Forum (APEC) per discutere di un accordo di libero scambio tra nove Paesi in tema di beni ambientali, prodotti solari compresi.

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