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Soggetti autonomi o consumatori automi? Una strategia pedagogica

Lavorare sulle etichette dei prodotti che ci circondano nella vita quotidiana, che ci allettano dai mille canali dell'informazione pubblicitaria, che ci attirano nei più svariati luoghi del commercio...: un'esigenza di alfabetizzazione vitale fin dalla più tenera età e un campo di ricerca ricchissimo di potenzialità per chiunque.

crediti: Daniela Martinelli

di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo

All’aumentare della mole e varietà di scambi commerciali sistematici e capillari tra comunità e individui umani, sull’intero pianeta, sono andate anche moltiplicandosi le ragioni che spingono a dare una “identità” ben riconoscibile a ciascun oggetto commerciato. Necessità di conservazione e trasporto, dinamiche di politica commerciale e di relazioni internazionali, questioni normative e di protezione di vari diritti, logiche di vendibilità, visibilità e diffondibilità in contesti di concorrenza e competizione… sono innumerevoli le motivazioni che nell’attuale società di mercato fanno ormai di ogni oggetto di scambio commerciale, materiale o immateriale che sia, un vero e proprio “messaggio” complesso, interpretabile su differenti piani: comunicativo, etico, politico, giuridico, tecnico, scientifico-naturale etc. Perciò è ormai evidente che le etichette dei prodotti di consumo sono una miniera di informazioni che è vitale imparare a riconoscere, decodificare e quindi “dominare”. Per farlo, tuttavia, serve acquisire e saper mobilitare in modo pertinente conoscenze e abilità linguistiche, artistiche, geografiche, storiche, scientifiche, normative… in ambito scolastico si direbbe in breve di tutte le materie del curricolo.

Sviluppare attività didattiche in questo ambito non è però un gratuito gioco interdisciplinare, perché si tratta appunto di esercitare e sviluppare una “competenza” trasversale, che risulta decisiva per il nostro essere cittadini consapevoli e in generale per la nostra autonomia soggettiva in una società dominata da processi di mercificazione totalitaria, da compulsività dei consumi e da sempre più pervasivi e subdoli condizionamenti del marketing.

Come sempre, lo spunto pedagogico da cui partire è per noi il porsi come osservatori ingenui, come cercatori di indizi e collezionisti di domande. È quanto abbiamo provato a fare nel concepire i seguenti spunti pratici di un’attività di indagine che mira a far maturare quella competenza e che ci sembra possa aiutare a cogliere in modo vivido aspetti strutturali rilevanti del sistema storico-sociale in cui viviamo, facendo emergere a partire dal concreto molte delle sue ambiguità e delle sue problematiche esistenziali. Si tratta di percorsi di analisi e riflessione di difficoltà e profondità crescente, realizzabili anche in un’ottica di verticalità attraverso i vari cicli scolastici (a partire dall’ultimo biennio della scuola primaria fino a tutta la secondaria di secondo grado) o semplicemente attraverso diverse annualità di uno stesso ciclo. L’auspicio è che ciascun docente sfrutti i nostri suggerimenti per misurarsi coi loro intenti di fondo, adattandoli, sviluppandoli, ampliandoli in base alla propria personalità e al proprio contesto d’azione.

PRIMO PASSO: CRITERI DI SCHEDATURA E ANALISI

Il lavoro potrebbe cominciare con la richiesta al gruppo di scegliere una rosa di prodotti da analizzare. I criteri di scelta possono essere lasciati totalmente liberi oppure precisati in qualche maniera ritenuta utile dal docente: prodotti usati quotidianamente a scuola o a casa, prodotti che hanno particolare successo e visibilità nell’ottica degli studenti, prodotti di una determinata categoria merceologica… Una volta compiuta la scelta, si tratta di decidere i criteri di analisi da adottare per una vera e propria schedatura sistematica. Vi sono vari aspetti materiali che sono valorizzabili come “informazioni” da decodificare in qualsiasi prodotto. Abbiamo però intitolato l’attività “etichette dei prodotti di consumo” perché, naturalmente, l’analisi approfondita degli aspetti testuali e grafici delle confezioni commerciali di qualsiasi genere (inclusi i dispositivi digitali e le “etichette” immateriali di software, servizi e prodotti digitali) è l’oggetto di lavoro più immediato e semplice a qualunque età.

Ecco alcuni suggerimenti di informazioni specifiche che possono divenire criteri di schedatura:

·         Con quale materiale di imballaggio viene venduto al consumatore finale?

·         Di quali materie prime è fatto il prodotto?

·         Dove sono state estratte e lavorate le materie prime e da chi?

·         Dove è stato confezionato il prodotto e da chi?

·         In quali lingue sull’etichetta sono fornite informazioni?

·         Quali aree di distribuzione del prodotto sono deducibili dall’etichetta?

·         Quali loghi, simboli o segni riporta l’etichetta che sono riconducibili a “regole”, “normative” e “leggi”? Dall’etichetta, si capisce quale istituzione ha emanato ciascuna di queste normative?

·         Quali informazioni su riciclo/smaltimento riporta l’etichetta? Questa informazione distingue tra materiale di imballaggio e smaltimento del prodotto?

·         Sono riportate informazioni relative alla salute umana? (nel caso di alimenti, ad esempio: caratteristiche nutrizionali, allergeni etc.)

·         Quali informazioni è possibile ricavare dall’etichetta in merito al consumo di energia legato alla produzione e all’utilizzo e allo smaltimento del prodotto?

·         Ci sono informazioni che risultano poco chiare?

SECONDO PASSO: CONFRONTARE E PORRE IN QUESTIONE

Una volta completata la fase di schedatura, si tratta di analizzare e confrontare con spirito critico i dati raccolti per far emergere questioni implicite tanto nell’esistenza stessa dell’etichettatura commerciale quanto nelle specifiche informazioni ricavate da essa. Ne esemplifichiamo in particolare tre che ci sembrano basilari:

  • I silenzi delle etichette. Che cosa non è detto nelle etichette? Cioè da un lato quali altre informazioni potrebbero essere utili ma mancano? E, dall’altro lato, quali dettagli e sfumature restano implicite nelle stesse informazioni fornite? La comparazione di prodotti dello stesso tipo, in concorrenza commerciale tra loro, aiuta a sollevare questi interrogativi e stimola a cercare motivi alle diverse scelte sulle informazioni fornite o non fornite, sulla visibilità grafica data a certe informazioni rispetto ad altre, sulla presenza o assenza di informazioni complete, ad esempio circa lo smaltimento, l’impatto ambientale nella catena di produzione e gli imballaggi.
  • L’ansia di distinzione. Parole, forma e veste grafica del prodotto costruiscono una vera e propria “identità percepita” del prodotto, che mira ad attrarre l’attenzione e il desiderio del cittadino-consumatore. Ma questa promessa di identificabilità può per questo stesso motivo divenire oggetto di interpretazione critica: quali caratteristiche vengono esibite e messe in primo piano nel prodotto? Vi sono contraddizioni tra l’esibito e il nascosto o semplificazioni, deformazioni, falsificazioni delle stesse caratteristiche esibite? Proprio le caratteristiche maggiormente ostentate in un determinato prodotto possono così divenire indizi di problematicità, e ciò vale tanto per quelle più facilmente identificabili in un’ottica di critica al “consumismo” quanto per quelle oggi sempre più adottate come paradossale garanzia di “sostenibilità” anti-consumistica: piattaforme e-commerce “verdi” che si appoggiano a servizi di server inquinanti; prodotti “biologici” o “vegani” imballati in materiali ad alto impatto ambientale e/o provenienti dall’altra parte del pianeta; prodotti “locali” ma a coltivazione intensiva e inquinante; farine “integrali” ma non biologiche e viceversa etc. etc.
  • La comparabilità apparente o dell’importanza delle definizioni. Fino a dove può spingersi il gioco di silenzi e ostentazioni che caratterizza le etichettature commerciali? Quali regole stanno dietro la possibilità di usare certe parole o simboli? Con queste ultime questioni, in particolare, intendiamo aprire la strada a lavori e riflessioni sull’importanza delle “scelte strategiche normative” che intendono dare limiti ben precisi alle possibilità commerciali e favorire la comparabilità tra i prodotti. Si pensi ad esempio all’etichettatura del “biologico”, che ha parametri normativi ben precisi i quali tuttavia lasciano inevitabilmente un certo margine di variabilità sostanziale. Si pensi anche, per restare nel campo alimentare, alle “soglie quantitative minime” che le leggi possono stabilire per rendere obbligatoria o meno l’esplicitazione della presenza di determinati ingredienti. Ma la questione equivale più in generale a interrogarsi sulla dimensione istituzionale e regolata di quello che chiamiamo “mercato”. Si tratta di problematizzare le stesse normative, cogliendo il fatto che vi sono scelte politiche, e quindi discutibilità pubblica, dietro le definizioni che contengono e che permettono di usare o non usare determinate parole e immagini, ma anche dietro gli stessi limiti che pongono al silenzio delle etichette. Va tenuto ben presente che si tratta di scelte politiche perché proprio tale tipo di questione può insegnare a evitare di confondere le leggi del diritto con leggi della scienza: le normative possono nutrirsi di (più o meno solide) ipotesi scientifiche a domande sulla salute e il benessere degli individui, della società, dell’ambiente, ma sono sempre inevitabilmente il frutto di negoziazioni e compromessi tra numerosi altri criteri decisionali. E dato che l’invadenza del marketing è oggi divenuta tale da pervadere la stessa comunicazione politica, questo lavoro critico sulle “etichette” appare alquanto rilevante e urgente anche proprio in relazione alla fondamentale capacità civica di guardare oltre la “commercializzazione” dei “prodotti” politici.

TERZO PASSO: GIUDICARE, RIFLETTERE E INDAGARE

Le questioni che precedono aprono naturalmente numerose strade alla riflessione, individuale o di gruppo, e all’esercizio della facoltà di giudizio. Ci preme tuttavia chiarire che non sono questioni a risposta predefinita e i “giudizi” stessi, di qualunque natura e orientamento siano, non sono un fine in sé dell’attività ma devono servire a motivare e stimolare ulteriori indagini, approfondimenti, raccolta di informazioni e di strumenti di analisi. Gli stessi criteri di schedatura possono essere rivisti o utilizzati in questa chiave. Qualche esempio banale, che è forse utile rendere esplicito: gli indizi su una problematica degli imballaggi o della provenienza delle materie prime possono portare a ulteriori ricerche su vari aspetti della sostenibilità ambientale e sociale (conseguenze materiali della produzione e smaltimento, diritti del lavoro in diversi luoghi del mondo, tragitti delle merci). Gli indizi sulla articolazione della catena produttiva possono portare a ulteriori ricerche sull’interdipendenza economica tra scale territoriali e tra strati sociali differenti. Gli indizi sulle certificazioni e i marchi che rinviano a normative possono portare a ulteriori ricerche sulle istituzioni che le hanno stabilite, sulle loro modalità decisionali e sugli strumenti che adottano per controllarne il rispetto. Allo stesso modo per le informazioni nutrizionali, che aprono prospettive di ricerca sui temi della cura di sé, dello stile di vita, della salute (naturalmente in un’ottica di problematizzazione scientifica e non di indottrinamento scientista). Infine, il lavoro stesso di approfondimento tramite fonti ulteriori rispetto alle etichette, come siti online delle case produttrici, possono offrire lo spunto per imparare a mettere in discussione ogni fonte di informazione.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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