Dall’ETH di Zurigo arriva la stampa 3D ad impatto per realizzare strutture in edilizia circolare riutilizzando i materiali da costruzione dello scavo
Più di uno studio conferma che se passassimo ad un’edilizia davvero circolare riusciremmo a ridurre le emissioni di CO2 addirittura del 75%. Cemento, acciaio, calcestruzzo sono tra i materiali più utilizzati sulla Terra, ma allo stesso tempo sono anche tra i più energivori ed emissivi. Parte da questo presupposto l’idea dell’ETH di Zurigo di convertire una stampante 3D convenzionale in una “impact printing” per l’edilizia circolare. Il sistema robotico messo a punto dall’Istituto svizzero abbandona il classico calcestruzzo solitamente usato per la stampa 3D di case, a favore di materiali di recupero quali l’argilla o le terre di scavo.
Riciclare i materiali edilizi per nuove costruzioni
La ricerca dell’ETH ha portato i ricercatori verso una rivoluzionaria tecnica di produzione additiva robotica chiamata appunto “impact printing”. Il desiderio del team era quello di incentivare un’edilizia circolare in grado di abbandonare i materiali tradizionali, a favore di materiali a basse emissioni di carbonio provenienti da percorsi di riciclo.
E quale miglior materiale se non quello già presente nel cantiere in fase di scavo?
La miscela così ottenuta è a tutti gli effetti a km zero. A questo punto il problema da superare è però la velocità di realizzazione di strutture in terra, nonchè la resistenza delle strutture finite.
E’ qui che entra in gioco la Stampa 3D ad impatto. Questo processo prevede che i robot edili gettino il materiale dall’alto formando gradualmente un muro. Ogni “gettata” si unisce alla precedente grazie all’impiego minimo di additivi.
Dalla stampa 3D del Calcestruzzo alla stampa 3D ad impatto
A differenza della stampa 3D in Cls, la stampa 3D ad impatto non necessita di pause per la solidificazione del materiale, aumentando notevolmente le possibilità offerte da questa tecnologia.
Mentre nella stampa 3D convenzionale il metodo utilizzato è quello dell’estrusione di strato per strato, il metodo dell’ETH sfrutta la deposizione ad alta velocità, gettando i materiali fino a 10 metri al secondo, garantendo in questo modo la massima adesione tra gli strati.
Il processo di stampa messo a punto dal Gramazio Kohler Research è valso al team anche la vittoria del concorso 3D Pioneers Challenge, passando così alla fase di commercializzazione del prodotto.