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Colella: alla Maker Faire Rome l’innovazione diventa green

Tutto è pronto per la settima edizione della MFR19, l’evento più importante in Europa sull’innovazione tecnologica, che si terrà alla Fiera di Roma dal 18 al 20 ottobre. La novità? Quest’anno sarà la prima fiera italiana Carbon Neutral. Ne parliamo con Massimiliano Colella, il Direttore Generale di Innova Camera.

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(Rinnovabili.it) – Organizzare un evento che ospita più di 100 mila visitatori in tre giorni, 20 mila studenti in una mattinata, centinaia di espositori, decine di Talk e Conferenze non è semplice e richiede l’impegno di decine di persone per molti mesi. E’ una scommessa ambiziosa intrapresa sette anni fa da un’Azienda della Camera di Commercio di Roma, Innova Camera, che l’ha concepita, gestita e fatta crescere. Per capire meglio come funziona questa sorta di “sviluppatore” a sostegno dell’innovazione tecnologica,  abbiamo incontrato chi gestisce e coordina tutto il lavoro: Massimiliano Colella, Direttore Generale di Innova Camera.

 

Direttore, quando è nata l’idea di organizzare in Italia la Maker Faire e in quale modo avete iniziato questa avventura?

L’idea della Maker Faire è nata nell’ambito di un Convegno che organizzammo a Roma nel febbraio del 2012. Noi già ci occupavamo di innovazione tecnologica, ma era la prima volta che affrontavamo in modo specifico il mondo dei makers e l’argomento era ancora poco conosciuto in Italia. Almeno così pensavamo temendo che non partecipasse nessuno. Ma arrivato la mattina presto al Convegno vidi circa 400 ragazzi in fila in attesa di entrare, ragazzi che poi aumentarono fino a diventare più di mille. Fu un vero successo. Mi resi allora conto che forse ci era sfuggita una realtà che bisognava immediatamente recuperare.  Quel giorno stesso era presente Dale Dougherty, fondatore e CEO della Maker Faire Media, al quale chiesi di sviluppare un accordo per poter portare la Maker Faire a Roma. Ci riuscimmo dopo mesi anche grazie all’aiuto di Massimo Banzi che da allora è il suo curatore.

Così iniziò la lunga avventura della Maker Faire Rome fino all’attuale settima edizione.

 

La MFR è una Fiera che ha una certa complessità organizzativa, per contenuti trattati e per volume di visitatori. Quali sono state, negli anni, le principali difficoltà che avete incontrato nell’organizzazione e gestione dell’evento?

Innanzitutto c’è da sottolineare che la MFR è aumentata nel corso degli anni in termini di ampiezza espositiva e numero di espositori: siamo passati dai circa 200 espositori della prima edizione, al Palazzo dei Congressi dell’Eur,  ai più di 700 espositori che ospiteremo nei 7 padiglioni tematici di questa edizione alla Fiera di Roma. Altra caratteristica del nostro lavoro è che, avendo a che fare con i makers e con la loro innata tendenza all’innovazione, dobbiamo costantemente affronatre problemi nuovi e mai scontati.

Infine, essendo Innova Camera un Ente Pubblico, dobbiamo rispettare il Codice degli Appalti per ogni nostra attività. Quindi il nostro lavoro si muove costantemente in una notevole complessità organizzativa.

 

Dopo questi sette anni di esperienza nel settore sicuramente è in grado di descrivermi l’identikit del maker medio italiano. Chi è in realtà?

I Makers sono appassionati di tecnologia e di innovazione dal basso. E lo fanno per divertimento e per passione, quasi mai per interesse, almeno inizialmente. Spesso il loro approccio parte da bisogni personali, cercando di risolvere problemi o situazioni legate alla loro vita, per poi arrivare ad incontrare le esigenze più diffuse della comunità.  C’è poi da dire che il termine maker si è evoluto, comprendendo adesso anche le piccole e medie imprese che fanno innovazione, ciò quelle realtà che utilizzano la tecnologia per migliorare prodotti e processi produttivi.

 

L’innovazione tecnologica è l’elemento trasversale che caratterizza tutte le vostre attività: cosa potrebbe incrementare e favorire, a suo giudizio, il suo sviluppo in Italia?

Sicuramente mancano i capitali che possano supportare degnamente l’attività di ricerca, e questo fa la vera differenza con gli altri Paesi. Noi abbiamo in genere una storia diversa: la vera l’innovazione avviene nelle micro e piccole aziende, è lì che si investe davvero sulla tecnologia. Certo, se avessimo come in Inghilterra, Francia e Stati Uniti dei finanziamenti cospicui a sostegno delle start-up le cose sarebbe ben diverse.

Poi ci sono le Università, che da noi sono particolarmente attive sul fronte dell’innovazione, anche se a volte deficitano di collegamenti adeguati con il mercato,  e infine i nostri Centri di eccellenza, universitari e di ricerca, che sono mediamente molto avanzati e competitivi. Non ho francamente una visione drammatica sull’innovazione tecnologica italiana.

 

E la cultura del digitale?

Quella in effetti manca generalmente in tutta la popolazione ed è di sicuro un elemento che ci rallenta.

 

E veniamo all’aspetto forse più innovativo di questa ultima edizione: la MFR sarà il primo evento fieristico italiano carbon neutral. Perché avete scelto questo percorso e come lo state attuando?

Innanzi tutto diciamo che stiamo provando, con grande impegno,  ad affrontare un percorso virtuoso e non facile. Chiaramente la motivazione che ci ha spinto ad affrontare seriamente il problema è quello di fare, nei limiti della nostra attività, del nostro meglio per contribuire al problema dei cambiamenti climatici. Come primo anno abbiamo cercato di eliminare l’utilizzo della plastica monouso anche nei materiali di consumo organizzativo, come badge e braccialetti, ci siamo organizzati affinché nella fiera non vengano utilizzate bottiglie di plastica sostituendole nei bar e nel ristorante interni con contenitori compostabili certificati…

 

E sul fronte della compensazione delle emissioni?

Abbiamo incaricato una start-up dell’ENEA, la LCAlab, per definire il nostro livello di emissioni nel corso dell’evento. Sulla base di quelle che saranno le loro rilevazioni, un’altra start-up, la zeroCO2, provvederà a piantumare il bosco Maker Faire in una zona a forte deforestazione del Guatemala, per compensare le nostre emissioni; inoltre l’energia elettrica utilizzata sarà esclusivamente certificata da fonte rinnovabile da Green Utility spa.

Insomma, siamo consapevoli di vivere la prima esperienza e che sarà necessario un impegno ulteriore ed un aggiustamento di rotta nelle prossime edizioni, ma la strada della sostenibilità è stata intrapresa con determinazione e consapevolezza e credo che la grande comunità dei makers sosterrà con entusiasmo la nostra scelta.

 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


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Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.