Tra boom dei consumi, rifiuti tessili e “doom spending” giovanile, il settore affronta sfide strutturali e la necessità di investimenti in cleantech e transizione sostenibile

“I consumatori dell’Unione Europea acquistano il 60% in più di vestiti rispetto al 2000, ma li conservano per metà del tempo, generando quasi 7 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. E sebbene i tassi di raccolta e riciclo siano migliorati – rispettivamente del 51% e del 20% – metà dei tessuti scartati finisce ancora nell’indifferenziata“. A sottolineare ancora una volta il binomio fast fashion e rifiuti tessili è stato Carlo Cici, partner e head of sustainability practices di Teha Group, durante il suo intervento alla quarta edizione del Venice Sustanaible Fashion Forum.
Venice Sustainable Fashion Forum: lo studio
Durante l’evento è stato presentato lo studio strategico “Just Fashion Transition 2025“, promosso da The European House – Ambrosetti e sviluppato da TEHA come osservatorio annuale sulla transizione sostenibile dei settori chiave della moda: tessile, abbigliamento, maglieria, calzature, pelletteria, conceria
Studio che delinea le sfide e indica sei vie d’uscita per un settore che vale quasi la metà della produzione UE, in cui la transizione verso la sostenibilità è a un bivio, stretta tra incertezze geopolitiche, ritardi normativi dell’UE e la necessità urgente di pragmatismo e innovazione.
Settore della moda cresce, ma frammentato
Il Venice Sustainable Fashion Forum è stato l’occasione per evidenziare il processo di profonda trasformazione strutturale dell’industria della moda europea che vedrà il proprio fatturato raggiungere i 226 miliardi di euro entro il 2030. Con una crescita stimata tra il 12% e il 17% rispetto al 2024. Nonostante queste rosee prospettive a lungo termine, il settore è attualmente frenato da incertezze nel breve-medio termine, generate da costi energetici elevati, una domanda debole e una crescente pressione normativa.
L’ecosistema produttivo rimane estremamente concentrato: sei Paesi (Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Romania) generano il 94% del fatturato totale. L’Italia si conferma l’attore principale, contribuendo a quasi la metà della produzione dell’UE e al 5% del PIL nazionale, grazie alla sua eccellenza in artigianalità e design.
Tuttavia, il settore si avvia verso una riorganizzazione interna: benché la produttività sia aumentata di quasi il 50% negli ultimi cinque anni, l’occupazione diminuirà di circa 293.000 posti di lavoro entro il 2030, in particolare nell’Europa orientale. Questo calo riflette una trasformazione strutturale guidata da automazione, nearshoring e aumenti di efficienza, che accentua le disparità sociali e territoriali.
Il fenomeno del doom spending
L’incertezza globale sta ridefinendo il comportamento dei consumatori, in particolare tra le generazioni più giovani. Millennial e Generazione Z stanno manifestando il fenomeno del “doom spending”, spendendo in modo eccessivo in beni o servizi come meccanismo per affrontare il pessimismo diffuso riguardo alle crisi ambientali, economiche o personali. Questo pessimismo è tangibile: oltre un quarto dei giovani valuta la propria soddisfazione di vita sotto la sufficienza.
Si osservano chiare divisioni generazionali nel consumo: mentre le generazioni più anziane (Baby Boomer e Gen X) mostrano un interesse limitato, i Millennial e soprattutto la Gen Z acquistano articoli di moda e lusso con maggiore frequenza (spesso mensilmente o ogni due-sei mesi). Le generazioni più giovani attribuiscono a moda e lusso un valore maggiore come espressione di identità.
L’industria è sottoposta a una doppia sfida a causa dell’inflazione: i prezzi dell’abbigliamento in Europa hanno continuato a salire (+2,7% nel 2024), rendendo i consumatori più attenti ai costi. Per far fronte all’aumento del costo della vita, i consumatori a reddito medio stanno riducendo la spesa per l’abbigliamento, reindirizzando i consumi verso i beni di prima necessità.
Clean tech e finanza sono la soluzione?
Quasi la metà dei brevetti cleantech dell’UE nel settore della moda si concentra su materiali
sostenibili avanzati, a conferma del fatto che l’innovazione dei materiali è al centro del cambiamento
tecnologico nel settore della moda. Le clean tech disponibili nel settore sono già mature per il 66%, evidenziando che quasi la metà dei brevetti europei in questo ambito riguarda i materiali avanzati. Nonostante ciò, la loro adozione rimane limitata a causa degli elevati costi iniziali.
La finanza è la chiave per supportare le aziende della filiera che non possono sostenere autonomamente gli investimenti necessari per la decarbonizzazione. Secondo le stime, il raggiungimento degli obiettivi climatici fissati per il 2030 richiederà almeno 4,4 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi. Tuttavia, Cici ha avvertito che il calo della marginalità nel settore rende tali investimenti attualmente insostenibili per quasi il 60% delle aziende italiane della moda.
6 Azioni per la “Just Fashion Transition”
Come le edizioni precedenti, lo studio fornisce 6 raccomandazioni rivolte alle istituzioni e agli attori chiave della catena del valore della moda per promuovere una transizione che non sia solo sostenibile, ma anche competitiva, giusta e in grado di bilanciare gli interessi degli stakeholder.
Lo studio si conclude con un appello al pragmatismo e all’azione per istituzioni e imprese:
- Le aziende devono fare “poche cose ma farle bene“, concentrandosi sull’innovazione, l’unica a garantire i margini nel breve termine.
- Le grandi aziende devono guidare il cambiamento lungo le filiere attraverso l’esempio e la collaborazione.
- Per affrontare la doppia transizione servono capitali ingenti. Le aziende devono aggregarsi per raggiungere la dimensione necessaria a competere e investire.
- Creare un mercato dei capitali unico in Europa è vitale per superare il “nanismo” e finanziare le tecnologie.
- Sviluppare schemi di incentivo per aziende, banche e consumatori, a partire dalla riduzione dei consumi eccessivi.
- Il settore deve misurare il proprio contributo e assumere un ruolo attivo a Bruxelles, presentando proposte concrete invece di limitarsi a reagire alle direttive.













