Uno studio congiunto di ECCO e Transport & Environment quantifica l'impatto della mancata riconversione dell’industria dell’auto

Senza una rapida transizione verso la mobilità elettrica, l’industria auto italiana rischia un vero e proprio collasso economico e occupazionale. Il settore automotive del Belpaese ha davanti a sé una finestra di 5 anni per invertire la rotta. Oltre il 2030, il processo di deindustrializzazione diventerebbe irreversibile. Con conseguenze sistemiche sull’intera economia nazionale.
Lo rivela uno studio congiunto di ECCO e Transport & Environment (T&E), che quantifica gli effetti della mancata riconversione dell’industria dell’auto italiana. Un approccio speculare – e complementare – a quello più tradizionale, che valuta gli impatti netti della transizione del settore auto all’elettrico.
E, al tempo stesso, un controcanto alle richieste da parte di Confindustria – che trovano sponde nell’esecutivo – di una sospensione degli obiettivi europei di transizione per l’intero settore auto.
Industria auto italiana, i numeri dell’emergenza
Secondo le simulazioni econometriche basate su modelli input-output dello studio di ECCO e T&E, rimandare la transizione all’elettrico costerà caro all’Italia. Le stime parlano di:
- produzione industriale: un calo del 70-80% del valore aggiunto diretto entro il 2030;
- perdite occupazionali: tra 66mila e 94mila posti di lavoro persi in 10 anni;
- contrazione del PIL nazionale: riduzione cumulativa della produzione, con valori compresi tra 7,24 e 7,49 miliardi di dollari;
- costi sociali: fino a 2 miliardi di dollari per il sostegno alla Cassa Integrazione Guadagni.
Aspetto cruciale: quella sorta di “inerzia strategica” che governo e molti attori industriali stanno accarezzando, specialmente negli ultimi mesi, può generare un effetto domino sull’indotto. Secondo lo studio, il 68% delle perdite occupazionali riguarderebbe i fornitori di componenti, materiali e servizi correlati.
Gli scenari dell’automotive italiano a confronto
Il rapporto analizza 4 possibili traiettorie del comparto, calcolando l’incidenza di un ricorso più o meno corposo alla cassa integrazione (CIG) e della capacità di riassorbimento degli addetti.
Malgrado la diversità delle traiettorie iniziali, i risultati sono tendenzialmente convergenti. La tabella qui sotto riassume i 4 scenari analizzati nello studio:
Scenario | Occupazione | Valore Aggiunto | Costo Fiscale / Spesa Pubblica | Produzione / Consumi |
1. Baseline (nessun intervento) | -75.000 posti di lavoro | -5 miliardi $ | — | -50% produzione veicoli e consumi |
2. Alto intervento (80% CIG, 15% riassorbimento) | Disoccupazione cumulativa: 90.000 | -5,1 miliardi $ | 2 miliardi $ | — |
3. Intermedio (50% CIG, 45% riassorbimento) | Perdite occupazionali: 75.000 | -4,5 miliardi $ | 1 miliardo $ | — |
4. Basso intervento (30% CIG, 65% riassorbimento) | Licenziamenti: 65.000 | -4,2 miliardi $ | 0,5 miliardi $ | — |
Oltre la cassa integrazione
Lo studio avverte che gli ammortizzatori sociali rappresentano solo un palliativo. Come alternativa, i ricercatori propongono un piano industriale strutturale articolato su:
- politiche mission-oriented: investimenti mirati in infrastrutture di ricarica e riconversione impianti;
- incentivi alla domanda: sostegno all’acquisto di veicoli elettrici con criteri di sostenibilità ambientale;
- patti di filiera: contratti di sviluppo per rafforzare l’ecosistema produttivo locale;
- formazione specialistica: programmi di riqualificazione per 45.000 tecnici entro il 2027.