Il meat sounding è un problema linguistico o una definizione ingannevole? Il Parlamento Europeo ha avanzato una proposta di revisione con approvazioni trasversali, ritenendo che siano denominazioni ingannevoli per i consumatori

Problema linguistico o definizione ingannevole?
Il dibattito sul meat sounding (ovvero i prodotti alimentari che non contengono proteine animali, pur evocando la carne nel nome) torna a occupare il Parlamento Europeo.
Tra le proposte di revisione avanzate dagli eurodeputati figura l’introduzione una nuova definizione di carne come “parti commestibili di animali” e viene stabilito che denominazioni quali “bistecca”, “scaloppina”, “salsiccia” o “hamburger” siano riservate esclusivamente ai prodotti che contengono carne, escludendo quelli coltivati in laboratorio. Quindi un no deciso al meat sounding.
No al meat sounding in nome della trasparenza
L’obiettivo della richiesta è una maggiore trasparenza nei confronti dei consumatori, che potrebbero essere tratti in inganno da una denominazione inesatta dei prodotti.
La plenaria del Parlamento Europeo ha mostrato anche un’apertura all’etichetta d’origine su tutti i cibi, la preferenza dei prodotti di origine comunitaria e locale in mense e appalti pubblici, l’introduzione di contratti scritti obbligatori all’interno delle filiere agroalimentari considerando anche i costi di produzione nella fissazione dei prezzi.
Dignità agli agricoltori
La relatrice Céline Imart ha spiegato i motivi di queste posizioni: «Vogliamo assicurarci che gli agricoltori abbiano un contratto con il loro primo acquirente. Dobbiamo porre fine a rapporti commerciali precari e disequilibrati. Serve garantire una remunerazione equa a chi ci nutre, tenendo conto dei costi di produzione.
Il reddito agricolo non è solo una questione di statistiche o cifre astratte: è una questione di giustizia, dignità e talvolta di sopravvivenza. Chi produce il nostro cibo rappresenta la nostra identità. Questo strumento è il minimo che dobbiamo loro».
La battaglia di Coldiretti per la carne “naturale”
Il risultato della votazione ha avuto il plauso di Coldiretti, che ha visto con queste modifiche un’accoglienza alle proprie richieste: giusta remunerazione e riconoscimento del ruolo degli agricoltori, preferenza per i prodotti di produzione locale, bocciatura del meat sounding.
Quella sulla carne “naturale” è una battaglia che l’associazione porta avanti da tempo: nel 2023 aveva indetto un sondaggio da cui è risultato che 3 italiani su 4 sono contrari alla carne coltivata in laboratorio.
In concreto, dal 2028 in Europa potrebbe essere vietato l’uso di termini che fanno riferimento agli animali per prodotti a base di proteine vegetali.
L’opposizione al meat sounding è trasversale
La votazione sul meat sounding ha raccolto 355 voti favorevoli e 247 contrari. Quindi niente più hamburger vegano. Attualmente queste denominazioni sono consentite a patto che in etichetta sia menzionata chiaramente l’origine vegetale.
«Un hamburger è un hamburger, dobbiamo chiamare le cose con il loro nome e non con denominazioni ingannevoli», ha dichiarato Imart.
«Bistecca di maiale o di cavolfiore non mi sembrano la stessa cosa, si rischia un caos sui nomi», le fa eco Dario Nardella.
Il tema è divisivo e le opinioni fortemente contrapposte, tra divieti e denunce come la causa intentata dall’azienda californiana Beyond Meat, e le discussioni vanno avanti dal 2020.
In Italia il ministro MASAF Lollobrigida aveva messo in allarme il comparto, che in Italia ha un fatturato che si aggira intorno ai 700 milioni di euro.
Un mercato da 3 miliardi di euro
In Europa i prodotti plant-based valgono 3 miliardi di euro, non esattamente un mercato di nicchia.
Senza contare il costo che un cambio di rotta comporterebbe in termini di packaging, marketing e posizionamento sugli scaffali della GDO.
In realtà i sondaggi tra i consumatori rivelano che i consumatori sono abituati a comprare i prodotti plant-based in piena consapevolezza.
Quindi meat sounding è più un problema linguistico che una definizione ingannevole?













