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Innalzamento degli oceani: senza adattamento, impatto economico devastante

La sommersione di città e infrastrutture costiere potrebbe costare al mondo oltre il 4% dell'economia globale ogni anno entro il 2100. Molto più di quanto precedentemente stimato

innalzamento degli oceani
By Tiago FiorezeOwn work, CC BY-SA 3.0, Link

 

 

 

(Rinnovabili.it) – Senza le giuste misure di adattamento e resilienza, l’innalzamento degli oceani avrà un impatto devastante sull’economia globale. E il conto potrebbe essere molto più alto di quanto stimato in precedenza. A riferirlo è un nuovo studio che spazza via alcune delle certezze conquistate finora nella lotta climatica. Secondo le ricerche passate, le perdite legate ad un futuro innalzamento degli oceani di un metro, sarebbero ammontate a circa l’1,3 percento del PIL globale per la fine del secolo; cifra che oggi viene rivista di ben 2,7 punti percentuali. Il motivo di questa grande discrepanza sta ovviamente nel sistema di calcolo. Come spiegano gli autori, gli studi precedenti si basavano su un solo modello economico. La nuova ricerca, intitolata Economy-wide effects of coastal flooding due to sea level rise, utilizza invece tre tipi di modelli macroeconomici per calcolare l’impatto.

 

Thomas Schinko, dell’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati a Vienna, e i suoi colleghi hanno analizzato in questo modo nuovi set di dati arrivando ad una drammatica conclusione: a meno che le regioni costiere non si organizzino per tempo, entro il 2050 la perdita annuale del PIL globale sarà intorno allo 0,4%, mentre entro il 2100 salirà al 4%.

A livello geografico ovviamente i danni economici sarebbero diffusi in maniera disomogenea. Gli autori stimano per l’Europa, ad esempio, una perdita del 6% del PIL all’anno mentre la Cina raggiungerà addirittura il 12%. I ricercatori hanno sottolineato però che non è ancora possibile stimare il vero costo dell’innalzamento degli oceani: come affermato dal coautore dello studio Daniel Lincke, ricercatore al Global Climate Forum di Berlino, ad oggi infatti non risultano ben rappresentati né le inondazioni, né gli uragani o i tifoni. Un problema fondamentale riscontrato nell’analisi dei dati e nelle stime conseguenti è legato, naturalmente, alle diverse proiezioni di innalzamento del livello degli oceani. Infatti, a seconda delle quantità di gas serra emesse globalmente, queste proiezioni variano da 25 centimetri a quasi un metro entro il 2100. I dati disponibili per questo tipo di studi stanno però migliorando continuamente permettendo così di creare proiezioni sempre più plausibili. Vengono utilizzate mappe dettagliate della popolazione, calcolati gli effetti economici delle perdite dirette come le infrastrutture distrutte nonché i costi indiretti come le perdite di posti di lavoro e l’interruzione delle catene di approvvigionamento. Nello scenario peggiore si potrebbe pagare un costo finale di migliaia di miliardi di dollari ogni anno. “Non sono noccioline“, ha detto Schinko, se così fosse infatti “vivremmo in un mondo completamente diverso”.

 

 

Leggi anche: L’innalzamento del livello del mare potrebbe superare i 3 metri

 

Per poter far fronte all’innalzamento del livello degli oceani le comunità costiere dovrebbero innanzitutto prepararsi al rischio inondazioni costruendo argini o dighe, ma è necessario tener presente che “in questo studio stiamo solo parlando degli impatti economici delle inondazioni costiere […], non di siccità o incendi […] o perdita di terra”, ha continuato Schinko. L’impatto dei cambiamenti climatici potrebbe essere significativamente peggiore. Il punto della ricerca secondo Schinko è rendersi conto che, se non facciamo nulla ora, sicuramente i costi dell’innalzamento degli oceani e dei cambiamenti climatici saliranno alle stelle nella seconda metà di questo secolo. “Se intraprendiamo un cammino errato, le conseguenze saranno notevoli”. 

Robert Nicholls, Direttore del Tyndall Centre for Climate Change Research all’Università di East Anglia a Norwich, in Inghilterra, ha sottolineato che il mondo ha già iniziato “a vedere le prime conseguenze”. Alcune comunità costiere stanno preparando provvedimenti per far fronte alle inondazioni legate all’innalzamento del livello dei mari, ad esempio spostando infrastrutture o costruendone altre per limitare l’impatto del livello delle acque, mentre altre non stanno facendo nulla. Secondo i ricercatori fondamentale è proprio la preparazione: anche se i paesi riuscissero a ridurre drasticamente le loro emissioni di carbonio, al punto in cui siamo, ha concluso Nicholls, “i mari continueranno a salire. Non possiamo semplicemente chiudere il rubinetto. Dobbiamo prepararci”.

 

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.