Subito superbonus al 110% per la riqualificazione idrica, strategia su acqua nel Recovery plan

Anche ammodernamento della rete degli acquedotti e la necessità di mettere fine all’emergenza depurazione, tra le cinque proposte di Legambiente da mettere al centro degli interventi dedicati al Servizio idrico integrato affinché l’acqua diventi uno dei capisaldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

riqualificazione idrica
Foto di Katja Just da Pixabay

di Tommaso Tetro

L’Italia è fanalino di coda tra gli Stati Ue per tasso di investimenti nel settore idrico

(Rinnovabili.it) – Ammodernare la rete di distribuzione dell’acqua potabile e mettere fine all’emergenza della depurazione. Separare le reti fognarie tra acque di scarico e meteoriche favorendo interventi di adattamento ai cambiamenti climatici nelle città. Prevedere investimenti nella ricerca e sviluppare sistemi e impianti innovativi per il trattamento dei fanghi e la produzione di biometano. Introdurre misure per la ‘riqualificazione idrica’ degli edifici e degli spazi urbani nei meccanismi di incentivazione e defiscalizzazione degli interventi di efficienza energetica a cominciare da quelli previsti con il superbonus al 110%. Rafforzare la rete dei controlli ambientali.

Sono queste le cinque proposte da mettere al centro degli interventi dedicati al Servizio idrico integrato affinché l’acqua diventi uno dei capisaldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); proposte che Legambiente ha lanciato nel corso di un evento on-line specifico, ‘Forum Acqua: per un Servizio idrico integrato sostenibile’, organizzato in collaborazione con Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia) e Celli Group, con il patrocinio del ministero dell’Ambiente.

“Nella discussione sul Recovery plan italiano – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si continua a parlare di progetti lontani dai bisogni dell’Italia, ma non si mettono in programma gli interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie. Un Servizio idrico integrato sostenibile è centrale per andare nella direzione prevista dalle direttive comunitarie, in termini di disponibilità dell’acqua per le persone, di tutela della risorsa idrica e per un’efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici a partire dalle città. Ma occorre intraprendere un percorso concreto di discussione per coniugare investimenti, progettazione di qualità e innovazione”.

Ai primi posti in Europa e nel mondo per prelievi d’acqua potabile e consumo di minerale in bottiglia, l’Italia è fanalino di coda tra gli Stati Ue per tasso di investimenti nel settore idrico con una media di 40 euro per abitante all’anno. Inoltre deve fare i conti con i circa 425mila chilometri di infrastrutture della rete idrica obsolete, il 25% delle quali ha oltre 50 anni e il 60% supera i 30. C’è anche il capitolo delle perdite lungo la rete degli acquedotti: quelle maggiori si verificano al Sud Italia dove si disperdono 1,25 miliardi di metri cubi d’acqua in più rispetto al Nord, pari alle esigenze idriche di 15 milioni di persone; nel Meridione le irregolarità nell’erogazione del servizio idrico interessano il 20,4% delle famiglie, contro il 2,7% delle famiglie nel Nord. Al Sud si registra anche il maggiore grado di insoddisfazione per via delle interruzioni nella fornitura con picchi in Calabria del 40,2% e in Sicilia del 31,9%.

“Gli investimenti delle utilities –osserva il vicepresidente di Utilitalia Alessandro Russo – che 10 anni fa si attestavano sui 500 milioni all’anno, oggi ammontano a 3 miliardi; e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni. Restano aree del Paese in forte ritardo soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: cosa che si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità tra diverse aree del Paese. Per colmare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati soltanto da soggetti industriali qualificati. In questo quadro il Recovery fund può rappresentare una grande occasione. Per quanto riguarda nello specifico il settore idrico, i progetti si concentrano sui temi della depurazione, che va dalla necessità di nuovi impianti al trattamento dei fanghi, sulla riduzione delle perdite attraverso nuove tecnologie, sull’ottimizzazione degli approvvigionamenti, e sulla lotta al dissesto idrogeologico. Con il sostegno del Recovery fund, il contributo delle utility alla ripresa del Paese in chiave sostenibile può avere l’accelerata decisiva”.

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In particolare le proposte di Legambiente si concentrano su cinque ambiti. Il primo riguarda un ammodernamento della rete di distribuzione dell’acqua potabile che permetta non solo di ridurre le perdite di rete, e quindi gli sprechi, ma anche di diminuire i volumi prelevati all’origine; secondo gli ultimi dati infatti in Italia oltre il 36% dell’acqua potabile non arriva ai rubinetti, e in 18 città la metà dell’acqua immessa nelle condutture viene dispersa. La seconda proposta è chiara: mettere un punto alla “cronica emergenza depurativa nel nostro Paese, che oltre al danno ambientale incide pesantemente anche dal punto di vista economico a causa delle procedure di infrazione aperte nei nostri confronti dall’Unione europea: l’Italia è stata condannata a pagare 25 milioni di euro, più altri 30 milioni ogni sei mesi di ritardo nella messa a norma degli impianti.

E’ poi necessario un intervento radicale e profondo anche per la separazione delle reti fognarie: occorre non solo completare il sistema di raccolta degli scarichi urbani ma anche realizzare interventi per la separazione delle acque industriali e di prima pioggia, destinandole a impianti idonei che ne permettano il riutilizzo o la reimmissione in ambiente. Serve anche “un continuo investimento sulla ricerca e sullo sviluppo di sistemi innovativi che permettano una maggiore diffusione di tecniche alternative come la fitodepurazione, il riutilizzo delle acque reflue, piovane e industriali in linea con i principi dell’economia circolare, a partire per esempio dai digestori anaerobici per il trattamento dei fanghi e la produzione di biometano”; oltre che introdurre “in maniera ancora più incisiva delle misure per la ‘riqualificazione idrica’ degli edifici” nelle città, insieme con le “misure di incentivazione e defiscalizzazione”, tipo quelle “per gli interventi di efficienza energetica”. Infine è fondamentale rafforzare “la rete dei controlli ambientali, attraverso il Sistema nazionale di protezione ambientale”.

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