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Agroecologia e sostenibilità, chiavi per la salute del pianeta

È possibile per i sistemi agricolo e zootecnico percorrere la strada della sostenibilità? Se una parte del mondo sta acquisendo una spiccata coscienza ambientale e sta provando a cambiare stile di vita, ce n’è un’altra che è ancora molto lontana da questa consapevolezza. La risposta può essere nell’agroecologia?

 

agroecologia
Credit: FAO

 

 

(Rinnovabili.it) – L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ha ormai accertato l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo sul piano ambientale, economico e sociale. Quale può essere il nuovo modello? L’agroecologia può essere una delle risposte?

Il dibattito sul biologico resta aperto: è vero che rispetta l’ambiente e tutela la biodiversità, ma ha una resa inferiore rispetto all’agricoltura convenzionale e i prodotti sono più costosi.  Nel frattempo il fabbisogno cresce perché la popolazione mondiale aumenta, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: secondo la FAO nel 2050 saremo circa 9 miliardi.

 

È importante fare una valutazione senza integralismi, ma non è facile perché le opinioni sono fortemente contrastanti e apparentemente tutte condivisibili. La carne è nel mirino, e non mancano episodi gravi com’è accaduto in Francia, dove estremisti  vegani hanno addirittura compiuto attentati alle macellerie. Dal punto di vista nutrizionale un consumo eccessivo di carne nuoce alla salute, ma un consumo moderato rientra in una dieta bilanciata; dal punto di vista ambientale gli allevamenti intensivi sono responsabili di imponenti emissioni di CO2. È sotto accusa anche l’agricoltura tradizionale per l’uso di fitofarmaci (prodotti usati per prevenire o curare infezioni sui vegetali).

 

La prima domanda che dobbiamo porci è: una transizione del sistema di produzione agricolo e zootecnico verso la sostenibilità è possibile, e a quale prezzo? Secondo la ricerca An agroecological Europe in 2050: multifunctional agriculture for healthy eating pubblicata dall’IDDRI (in “IDDRI Study” n. 9, 18 settembre 2018) questa transizione più che possibile è indispensabile, ma comporta una drastica correzione dei nostri stili di vita.

 

La seconda domanda è: la produttività dell’agricoltura biologica sarà sufficiente ed economicamente accessibile? Attualmente solo l’agricoltura convenzionale garantisce quantità e prezzi ragionevoli, ma facendo ricorso alla chimica. La produzione di cereali dovrà aumentare non solo per sfamare le persone, ma anche per nutrire il bestiame in paesi molto popolosi che stanno virando verso una dieta ricca di proteine animali (come avviene ad esempio in Cina e India).

 

Il calo produttivo è consistente: il frumento di coltivazione bio, ad esempio, produce circa il 30% in meno rispetto a quello convenzionale. Allora per produrre di più bisognerebbe deforestare per aumentare le superfici coltivabili? Nei paesi in via di sviluppo, inoltre, bisogna fare i conti con il land grabbing, ovvero con l’accaparramento di terreni coltivabili da parte di imprese transnazionali, governi stranieri o soggetti privati a discapito delle popolazioni locali. Secondo Oxfam il fenomeno si è acuito dal 2008 con la crisi dei prezzi agricoli, lasciando intere popolazioni senza terreno per coltivare e  produrre cibo, spingendole di fatto alla fame.

 

Sempre secondo la FAO, nel mondo il 45% di frutta e verdura viene sprecato, ma lo spreco non dipende solo dalla sovrapproduzione: se nei paesi industrializzati è soprattutto domestico, in quelli non industrializzati lo spreco comincia all’inizio della filiera produttiva per le difficoltà di trasporto, stoccaggio e conservazione.

 

Sul fronte esattamente opposto si colloca Federbio. Tra i vantaggi dell’agricoltura biologica c’è anche la tutela dell’acqua, visto che non fa uso di pesticidi; il calo della produzione potrebbe essere compensato dalla riduzione degli sprechi; gli alimenti non sarebbero contaminati da sostanze chimiche tossiche. In ambito zootecnico, negli allevamenti al pascolo non si devono usare i farmaci necessari in quelli intensivi: si sconfiggerebbe così la resistenza agli antibiotici, un’emergenza sanitaria globale secondo l’OMS.  

 

È innegabile che i prodotti biologici costano di più e non sono alla portata di tutte le tasche, specie se si tratta di famiglie numerose. Gli agricoltori hanno un margine di guadagno maggiore, ma sono maggiori anche le spese che devono sostenere. Non ci stanchiamo tuttavia di ricordare che, a prescindere dal biologico, i prezzi troppo bassi nascondono produttori senza scrupoli sia nell’uso di prodotti che fanno aumentare il raccolto sia nello sfruttamento della manodopera: la schiavitù del caporalato è una piaga che si può sconfiggere anche attribuendo il giusto prezzo ai prodotti agricoli. La vera sostenibilità passa anche da qui.

 

L’agroecologia è quindi una soluzione per sfamare tutti con produzioni sostenibili? A ben vedere, coincide con quello che suggeriscono i nutrizionisti: mangiare meno proteine animali, più proteine vegetali, più frutta e verdura e soprattutto variare l’alimentazione. Un consumo esagerato di grassi animali e di alimenti troppo raffinati nuoce tanto alla salute quanto all’ambiente. Nei paesi sviluppati istanze precise in questo senso arrivano dai consumatori, che diventano sempre più responsabili; tuttavia bisogna fare i conti con la pressione di popolazioni numerose e lontanissime da una presa di coscienza ambientale e tantomeno alimentare. Difficile che siano disponibili a ripensare la destinazione d’uso dei terreni coltivabili, ovvero privilegiare le coltivazioni per il consumo umano, anziché finalizzarle alla produzione di mangimi per l’allevamento e alla richiesta di biocarburanti e bioplastiche.

 

Secondo la ricerca pubblicata dall’IDDRI, aumentare i pascoli e il consumo di frutta e verdura ridurrebbe del 40% l’emissione di gas serra, e l’agroecologia è la strada da percorrere. Quindi non si tratta di incolpare solo i governi e le multinazionali, la conservazione del Pianeta dipende anche dai nostri stili di vita. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile chiede a tutti i paesi del mondo, ognuno secondo le proprie possibilità, uno sforzo per la sostenibilità: ovvero, non c’è più distinzione tra paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Il messaggio è universale, viviamo tutti sullo stesso Pianeta e ognuno deve fare la propria parte per la sua sopravvivenza. Se altri sono sordi a questo allarme, noi siamo disponibili ad ascoltarlo?

 

 

 

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • filiere delle rinnovabili

Decreto FERX, gli stakeholder chiedono più chiarezza e trasparenza

Il Ministero dell'Ambiente pubblica gli esiti della consultazione pubblica sul Decreto Ministeriale FER X, chiusa lo scorso settembre. Dai 46 soggetti partecipanti emerge l'esigenza di conoscere per tempo tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti nelle rinnovabili. Chiesti chiarimenti sul processo autorizzativo e sulle tempistiche

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Foto di Rabih Shasha su Unsplash

Decreto FERX, nuovi spunti di riflessione

Servono maggiori informazioni sui coefficienti sul prezzo d’aggiudicazione, sui criteri di priorità, sulla documentazione per l’accesso al meccanismo e sulle tipologie di interventi ammessi. In particolare quando si tratta di progetti di “rifacimento” e “potenziamento”. Queste alcune delle principali richieste emerse dalla consultazione pubblica sul Decreto FERX. La scorsa estate il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva pubblicato lo schema del provvedimento per una raccolta di pareri da parte degli stakeholder, con l’obiettivo di condividerne le logiche. Oggi il MASE rende noti gli esiti di tale consultazione puntando i riflettori sugli spunti e le richieste emerse da parte dei 46 soggetti partecipanti. 

Gli esiti della consultazione pubblica

Ricordiamo che il Decreto FERX nasce con lo scopo di definire un meccanismo di supporto espressamente dedicato ad impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività. Come? Tramite contratti CfD a valere sull’energia elettrica prodotta dagli impianti. Con un accesso diretto per quelli di taglia inferiore al MW, e tramite aste al ribasso per quelli di taglia uguale o superiore al MW. Ed è proprio su queste due modalità che arrivano le prime considerazioni.

Per la maggior parte dei soggetti che hanno risposto alla consultazione, il contingente di 5 GW per gli impianti FER ad accesso diretto non sarebbe sufficiente, soprattutto vista la grande attenzione che stanno ricevendo al livello di investimento i sistemi di piccola taglia.

Per quanto riguarda l’accesso tramite asta, invece, il parere generale condivide i contingenti individuati, che secondo l’ultima bozza pubblicata oggi sarebbero: per il fotovoltaico 45 GW; per l’eolico di 16,5 GW; per l’idroelettrico di 630 MW; per i gas residuati 20 MW. “Tuttavia – si legge nel documento del MASE – congiuntamente alla risposta positiva sono state proposte diverse modifiche (aumento di uno specifico contingente, creazione di nuovo contingente, meccanismi di riallocazione della potenza non assegnata, ridefinizione dei contingenti al fine di favorire lo sviluppo dei PPA, etc.)”. Tra gli spunti emersi c’è la proposta di contingenti separati tra il fotovoltaico a terra e sul tetto.

Proposti nuovi requisiti di accesso e tempistiche

In tema requisiti d’accesso, alcuni soggetti chiedono l’incremento della soglia di potenza per l’accesso diretto, l’aggiunta dei criteri ESG, la reintroduzione del requisito specifico che attesti la capacità finanziaria ed economica di chi partecipa al meccanismo del Decreto FERX.

Con riferimento ai tempi massimi individuati per la realizzazione degli interventi, la consultazione ha evidenziato un forte distaccamento con le aspettative degli operatori. Per quanto detto diversi soggetti propongono per una o più fonti l’innalzamento dei tempi previsti, chiedendo di tenere in considerazione parametri quali, la potenza e/o la tipologia d’intervento, l’ottenimento dei titoli autorizzativi, i tempi di realizzazione della connessione e quelli dovuti agli approvvigionamenti, che sottolineano, potrebbero oltretutto determinare un aumento dei costi, visto anche i meccanismi incentivanti”, si legge ancora nel documento.

Per i tempi di comunicazione della data d’entrata in esercizio dell’impianto, emerge nel complesso l’esigenza di un prolungamento, aggiungendo da più 60 giorni a 12 mesi. Viene anche evidenziata una certa contrarietà all’obbligo per gli operatori di impianti rinnovabili non programmabili che stipula un contratto CfD ad abilitarsi alla fornitura dei servizi di dispacciamento.

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Rinnovabili • batteria ibrida al sodio

Dalla Corea la batteria ibrida al sodio che si ricarica in pochi secondi

Un gruppo di scienziati del KAIST ha sviluppato una batteria a ioni di sodio ad alta energia, ad alta potenza e di lunga durata

batteria ibrida al sodio
Foto di danilo.alvesd su Unsplash

Quando le batteria a ioni sodio incontrato i supercondensatori a ioni sodio

Arriva dalla Corea del Sud la prima batteria ibrida al sodio in grado di battere la tecnologia a ioni di litio a mani basse. Con ottime prestazioni lato di capacità di accumulo, potenza, velocità di carica e durata, come dimostra l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Energy Storage Materials (testo in inglese).

Nel 2020 le batterie a ioni sodio (Na+) hanno raggiunto prestazioni comparabili a quelle degli ioni di litio in termini di capacità e durata del ciclo in condizioni di laboratorio. Da allora il segmento ha continuato a macinare grandi progressi, spinto dall’esigenza globale di trovare una tecnologia di accumulo più economica delle ricaricabili al litio e meno dipendente dalle attuali catene di approvvigionamento dei materiali critici. L’ultimo grande risultato nel campo è quello segnato da un gruppo di scienziati del KAIST, il Korea Advanced Institute of Science and Technology.

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Il team guidato dal professor Jeung Ku Kang del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali ha messo a punto una batteria ibrida agli ioni di sodio dalle prestazioni eccellenti e in grado di ricaricarsi in pochi secondi. Il segreto? Un’architettura che integra materiali anodici propri delle batterie con catodi adatti ai supercondensatori.

Batteria ibrida al sodio, prestazioni record

In realtà non si tratta di un approccio nuovo. Gli stoccaggi ibridi con Na+ sono emersi negli ultimi anni come una promettente applicazione nel campo dell’energy storage in grado di superare i punti deboli degli accumulatori a ioni di sodio più conosciuti.

Tradizionalmente questo metallo è usato e studiato in due tipi di dispositivi di stoccaggio: batterie e condensatori. Le prime, come spiegato poc’anzi, forniscono oggi una densità di energia relativamente elevata ma sono caratterizzate da una lenta cinetica di ossidoriduzione, che si traduce in una bassa densità di potenza e una scarsa ricaricabilità. I secondi invece hanno un’elevata densità di potenza dovuta all’accumulo di carica tramite rapido adsorbimento di ioni superficiali, ma una densità di energia estremamente bassa.

Tuttavia unire le due tecnologie impiegando catodi di tipo condensatore e degli anodi di tipo batteria, non ha dato subito i risultati sperati. La causa è da ricercare soprattutto nello squilibrio cinetico tra i due tipi di elettrodi.

Nuovi materiali per catodo e anodo

Per arginare il problema il team sudcoreano ha utilizzato sviluppato un nuovo materiale anodico con cinetica migliorata attraverso l’inclusione di materiali attivi fini nel carbonio poroso derivato da strutture metallo-organiche. Inoltre, ha sintetizzato un materiale catodico ad alta capacità e la combinazione dei due ha consentito lo sviluppo di un sistema di accumulo di ioni sodio che ottimizza l’equilibrio e riduce al minimo le disparità nei tassi di accumulo di energia tra gli elettrodi.

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La cella completamente assemblata supera per densità di energia le batterie commerciali agli ioni di litio e presenta le caratteristiche della densità di potenza dei supercondensatori. Nel dettaglio la batteria ibrida al sodio si ricarica rapidamente e raggiunge una densità di energia di 247 Wh/kg e una densità di potenza di 34.748 W/kg. Inoltre gli scienziati hanno registrato una stabilità del ciclo con efficienza Coulombica pari a circa il 100% su 5000 cicli di carica-scarica.

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Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

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L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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