La 6° estinzione di massa rallenta se spendiamo 60 mld l’anno per la biodiversità

L’appello dell’International Union for Conservation of Nature, della Campaign for Nature e del World Resources Institute: servono in tutto 700 mld l’anno per proteggere la biodiversità. 500 si recuperano cancellando i SAD, i paesi più ricchi ne diano 60

Aree naturali protette: luci e ombre della tutela globale della biodiversità
Foto di Xuân Tuấn Anh Đặng da Pixabay

In vista della COP15 di Kunming sulla biodiversità

(Rinnovabili.it) – Servono almeno 60 miliardi di dollari l’anno dai paesi più ricchi per rallentare la corsa della 6° estinzione di massa. Senza staccare questo assegno è impensabile proteggere la biodiversità negli ecosistemi più vulnerabili nei prossimi anni. Ed è comunque una frazione del denaro necessario per far fronte all’estinzione accelerata di centinaia di migliaia di specie in tutto il pianeta.

È l’appello che arriva dall’International Union for Conservation of Nature, dalla Campaign for Nature e dal World Resources Institute a poche settimane dai nuovi negoziati in vista della COP15 di Kunming. Molto meno sotto i riflettori rispetto alle altre COP, quelle sul cambiamento climatico, le conferenze internazionali sulla diversità biologica sono almeno altrettanto cruciali. A Kunming, in Cina, l’obiettivo è siglare un accordo vincolante per tutti gli Stati, sulla falsariga di quello di Parigi sul clima del 2015.

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Ma oltre alle idee e alle promesse servono le gambe, cioè finanziamenti per la tutela della biodiversità. Le tre organizzazioni hanno fatto i conti e spiegano che l’ammontare totale di denaro necessario per frenare la perdita di specie animali e vegetali batte intorno ai 700 miliardi di dollari l’anno. Di questi, ben 500 miliardi possono essere recuperati semplicemente cancellando sussidi ambientalmente dannosi. Ne restano 200. Le nazioni più sviluppate dovrebbero fornirne il 30%, cioè appunto 60 miliardi.

“Il commercio internazionale sta causando circa il 30% delle minacce alle specie a livello globale”, ha spiegato Manfred Lenzen, un ricercatore sulla sostenibilità all’Università di Sydney. Mentre i paesi ricchi sono in gran parte in grado di proteggere il proprio habitat e l’ambiente, “esternalizzano tutte queste attività problematiche per la biodiversità altrove e importano prodotti di base realizzati in paesi a basso reddito”.

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Secondo il recente rapporto IPCC sul clima, che analizza l’impatto del climate change antropico sugli ecosistemi e sull’uomo, l’estinzione delle specie è un impatto irreversibile del cambiamento climatico, il cui rischio aumenta bruscamente con l’aumento della temperatura globale. “È probabile che la percentuale di specie ad alto rischio di estinzione (stime mediane e massime) sarà del 9% (max 14%) a 1,5°C, 10% (max 18%) a 2°C, 12% (max 29%) a 3,0°C, 13% (max 39%) a 4°C e 15% (max 48%) a 5°C”, si legge nel rapporto. Tra i gruppi che contengono il maggior numero di specie ad alto rischio di estinzione per livelli medi di riscaldamento (3,2°C), figurano invertebrati (15%), in particolare impollinatori (12%), anfibi (11%, ma le salamandre sono al 24%) e piante da fiore (10%).

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