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Interferenti endocrini: l’Ue svende la salute dei cittadini

La Commissione ha proposto criteri per regolare queste sostanze dannose per il sistema endocrino a tutto vantaggio delle lobby dell'industria agro-chimica, con deroghe più ampie

interferenti endocrini

 

(Rinnovabili.it) – L’Europa continua a farsi beffe della salute dei suoi cittadini. La Commissione europea ha rilasciato oggi i criteri per regolare gli interferenti endocrini (EDC), sostanze o molecole chimiche dannose per la salute – presenti in pesticidi, additivi alimentari, cosmetici – che agiscono sugli ormoni e sul sistema endocrino, degli uomini come degli animali. Invece di tutelare la salute e l’ambiente, questi criteri vanno nella direzione opposta: lasciano il campo libero alle pressioni delle lobby.

Durissimo il commento dei Verdi europei. «E’ una vergogna che la Commissione europea continui a difendere in questo modo la linea dell’industria dell’agro-chimica, invece di dare priorità alla salute pubblica. Non solo la Commissione ha proposto una definizione molto restrittiva di cosa costituisce un interferente endocrino, ha pure proposto deroghe più ampie».

 

Cosa ha proposto la Commissione

A quanto pare tutto si giocherà sul filo delle definizioni. La proposta della Commissione è di seguire la definizione che l’OMS dà degli interferenti endocrini. In realtà emerge già qualche differenza. Bruxelles sottolinea la necessità di dimostrare che esiste un “collegamento causale” tra gli effetti avversi sulla salute e il modo di azione endocrino della sostanza chimica. Serviranno quindi prove scientifiche schiaccianti, difficili da ottenere. Un’interpretazione molto rigida di quella che, al contrario, è una definizione ben più sfumata: per l’OMS è interferente endocrino quella sostanza che “altera le funzioni del sistema endocrino”. Infatti nell’ultimo report sul tema datato 2012 ne aveva censite circa 800.

Non sono particolari di poco conto. Il grado di causalità richiesto infatti sarà centrale: se si segue alla lettera l’OMS bisognerebbe allungare la lista dei pesticidi vietati, mentre il documento della Commissione chiede prove scientifiche molto forti prima di dichiarare illegale una sostanza. «La proposta richiede prove così forti che sarà quasi impossibile identificare più di una piccola frazione delle sostanze che minacciano la salute e l’ambiente», commenta EDC-Free Europe, coalizione di 65 organizzazioni della società civile da tutto il continente.

Ancora più preoccupante la distanza rispetto alla legislazione Ue in vigore, che finora ha definito in via provvisoria gli interferenti endocrini come sostanze che “possono causare” effetti dannosi. La nuova proposta evidentemente fa un passo indietro, poiché dichiara legali anche quelle sostanze che rappresentano una minaccia potenziale.

La Commissione assicura che ci sarà spazio per deroghe e modulazioni delle categorie per livello di esposizione al rischio. Punto – guarda caso – applaudito dalle lobby dei pesticidi, che in una simile zona grigia hanno gioco facile a esercitare tutte le pressioni del caso. Basta pensare ai continui balletti sul glifosato per immaginare cosa potrà succedere d’ora in poi. Sulla faccenda incombe inoltre la scure del TTIP, che potrebbe legalizzare gli EDC.

 

Il parere sugli interferenti endocrini atteso da 27 anni

Interferenti endocrini: l'Ue svende la salute dei cittadiniIl parere della Commissione deve ora passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio, ma anche di esperti scelti dagli Stati membri, prima dell’approvazione finale. La decisione si è fatta attendere a lungo. Gli interferenti endocrini non sono ancora regolati dall’Ue: benché le leggi dell’Unione li prendano in considerazione nell’ambito delle procedure di autorizzazione delle sostanze chimiche, quello che manca sono criteri formali per identificare chiaramente e in modo univoco le sostanze con proprietà che vanno a interferire con il sistema endocrino.

Bruxelles, dopo l’adozione di un documento di strategia nel lontanissimo 1999, ha preso tempo prima di pronunciarsi, accampando come scusa la mancanza di un consenso unanime all’interno della comunità scientifica. Ma il ritardo è legato più che altro alle forti pressioni delle lobby dell’industria agro-chimica.

In teoria la Commissione si era impegnata a presentare nel dicembre 2013 quei criteri sulla cui base poi sarà redatto uno specifico regolamento che contenga una definizione chiara di queste molecole chimiche e funzioni da punto di riferimento per decidere quali considerare illecite. Dopo mesi e mesi di silenzio, nel dicembre 2015 è stata la Corte europea di Giustizia a richiamare all’ordine la Commissione, obbligandola ad agire al più presto. Ma il silenzio è continuato. Risale a una settimana fa l’ulteriore richiamo – questa volta dal Parlamento europeo – a pubblicare le nuove regole. La mozione è passata con una maggioranza schiacciante, 593 voti a favore, 57 contro e 19 astenuti.

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
via Depositphotos

Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
via Depositphotos

Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.