Rinnovabili • Trattato ONU sugli Oceani: fumata nera, 15 anni di negoziati non bastano

Il Trattato ONU sugli Oceani naufraga su Artico e deep sea mining

Secondo gli scienziati conservazionisti, è necessario proteggere il 30% degli oceani entro il 2030 per evitare un collasso della biodiversità marina. L’obiettivo è alla base del nuovo Trattato ONU, ma molti paesi hanno frenato. E manca una data per la ripresa del dialogo

Trattato ONU sugli Oceani: fumata nera, 15 anni di negoziati non bastano
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Dal 15 agosto erano in corso i negoziati sul Trattato ONU sugli Oceani

(Rinnovabili.it) – Fumata nera per la tutela degli oceani. Il 27 agosto, i negoziati per un nuovo accordo globale sulle acque internazionali sono falliti dopo due settimane di discussioni a New York. I 168 paesi presenti – cioè tutti i firmatari dell’unico trattato finora in vigore sul tema, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982 – hanno posizioni ancora troppo distanti. Soprattutto sullo sfruttamento delle risorse in alcune delle regioni più colpite dalla crisi climatica, come l’Artico. Il Trattato ONU sugli Oceani per il momento resta in stand by. Senza nuove date per riprendere il dialogo.

Cosa tutela il Trattato ONU sugli Oceani?

A più di 40 anni dall’entrata in vigore dell’UNCLOS, soltanto meno del 2% delle acque internazionali ha un livello di protezione, ma queste rappresentano i 2/3 dei mari di tutto il mondo. Al di fuori di queste poche regioni poste sotto tutela, il diritto internazionale permette a qualsiasi stato di sfruttare le risorse ittiche e la libertà di navigazione.

Gran parte degli oceani mondiali, però, è in una situazione di pesca eccessiva ed è inquinato dalla moltiplicazione delle rotte marittime commerciali. Minacce a questi ecosistemi che si aggiungono alla pressione crescente dovuta alla crisi climatica e al declino della biodiversità. Oggi, per cause diverse, sono considerati a rischio il 67% dele specie di pesci, l’11% dei molluschi, 9 specie di squali e razze su 10 e il 15% delle barriere coralline. C’è poi l’incognita del deep sea mining, lo sfruttamento delle risorse minerarie a grandissima profondità (tra i 2.000 e i 5.000 metri) su cui puntano sempre di più stati e aziende per ottenere metalli fondamentali per la transizione energetica come rame, nickel e litio, e terre rare.

Con il Trattato ONU sugli Oceani si costruisce un quadro di protezione rafforzata, con l’obiettivo di tutelare almeno il 30% delle acque internazionali globali. Ma si tratta di una semplice cornice, che va riempita dalle promesse dei singoli stati: non avrebbe cioè avuto carattere vincolante. Fra le aree di intervento del Trattato ci sono la creazione di aree marine protette, il miglioramento delle valutazioni di impatto ambientale in mare, la fornitura di aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo e un accordo per la condivisione delle risorse genetiche della vita marina.

I punti di disaccordo

Le risorse sottomarine fanno però gola a troppi paesi, che non hanno intenzione di legarsi le mani da soli con un accordo come quello previsto dal Trattato ONU sugli Oceani. Il punto dove c’è stato più disaccordo è lo status dell’Artico. Nonostante il Polo Nord sia colpito da un riscaldamento globale almeno 3 volte maggiore rispetto al resto del pianeta, proprio lo scioglimento anticipato dei ghiacci prospetta nuove vie commerciali più brevi aperte tutto l’anno e la possibilità di sfruttare le risorse situate sui fondali.

Nonostante i negoziati, in una forma o nell’altra, vadano avanti da 15 anni, molti paesi hanno tentennato prima di cercare un compromesso finale, accusano alcuni osservatori. Altri paesi, come la Russia, hanno remato direttamente contro. “Mentre alcuni gruppi, come le isole del Pacifico e il gruppo dei Caraibi, hanno spinto molto per portare il Trattato al traguardo, i Paesi del Nord globale hanno iniziato a lavorare per raggiungere dei compromessi solo negli ultimi giorni di negoziazione, dopo che è stato rivelato che i negoziati erano sull’orlo del collasso”, spiega Greenpeace. “La Russia è stata anche un blocco fondamentale nei negoziati, rifiutando di impegnarsi nel processo del Trattato stesso o cercando di raggiungere un compromesso con l’Unione Europea e molti altri Stati su un’ampia gamma di questioni”. (lm)

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Rinnovabili • Batterie al sodio allo stato solido

Batterie al sodio allo stato solido, verso la produzione di massa

Grazie ad un nuovo processo sintetico è stato creato un elettrolita di solfuro solido dotato della più alta conduttività per gli ioni di sodio più alta mai registrata. Circa 10 volte superiore a quella richiesta per l'uso pratico

Batterie al sodio allo stato solido
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Batterie al Sodio allo Stato Solido più facili da Produrre

La batterie allo stato solido incarnano a tutti gli effetti il nuovo mega trend dell’accumulo elettrochimico. E mentre diverse aziende automobilistiche tentano di applicare questa tecnologia agli ioni di litio, c’è chi sta percorrendo strade parallele. É il caso di alcuni ingegneri dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone. Qui i professori Osaka Atsushi Sakuda e Akitoshi Hayash hanno guidato un gruppo di ricerca nella realizzazione di batterie al sodio allo stato solido attraverso un innovativo processo di sintesi.

Batterie a Ioni Sodio, nuova Frontiera dell’Accumulo

Le batterie al sodio (conosciute erroneamente anche come batterie al sale) hanno conquistato negli ultimi anni parecchia attenzione da parte del mondo scientifico e industriale. L’abbondanza e la facilità di reperimento di questo metallo alcalino ne fanno un concorrente di primo livello dei confronti del litio. Inoltre l’impegno costante sul fronte delle prestazioni sta portando al superamento di alcuni svantaggi intrinseci, come la minore capacità. L’ultimo traguardo raggiunto in questo campo appartiene ad una ricerca cinese che ha realizzato un unità senza anodo con una densità di energia superiore ai 200 Wh/kg.

Integrare questa tecnologia con l’impiego di elettroliti solidi potrebbe teoricamente dare un’ulteriore boost alla densità energetica e migliorare i cicli di carica-scarica (nota dolente per le tradizionali batterie agli ioni di sodio). Quale elettrolita impiegare in questo caso? Quelli di solfuro rappresentano una scelta interessante grazie alla loro elevata conduttività ionica e lavorabilità. Peccato che la sintesi degli elettroliti solforati non sia così semplice e controllabile. Il che si traduce in un’elevata barriera per la produzione commerciale delle batterie al sodio allo stato solido.

Un Flusso di Polisolfuro reattivo

É qui che si inserisce il lavoro del team di Sakuda a Hayash. Gli ingegneri hanno messo a punto un processo sintetico che impiega sali fusi di polisolfuro reattivo per sviluppare elettroliti solidi solforati. Nel dettaglio utilizzando il flusso di polisolfuro Na2Sx come reagente stechiometrico, i ricercatori hanno sintetizzato due elettroliti di solfuri di sodio dalle caratteristiche distintive, uno dotato della conduttività degli ioni di sodio più alta al mondo (circa 10 volte superiore a quella richiesta per l’uso pratico) e uno vetroso con elevata resistenza alla riduzione.

Questo processo è utile per la produzione di quasi tutti i materiali solforati contenenti sodio, compresi elettroliti solidi e materiali attivi per elettrodi“, ha affermato il professor Sakuda. “Inoltre, rispetto ai metodi convenzionali, rende più semplice ottenere composti che mostrano prestazioni più elevate, quindi crediamo che diventerà una metodologia mainstream per il futuro sviluppo di materiali per batterie al sodio completamente allo stato solido“.  I risultati sono stati pubblicati su Energy Storage Materials and Inorganic Chemistry .

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.


Rinnovabili • fotovoltaico materiale quantistico

Fotovoltaico, ecco il materiale quantistico con un’efficienza del 190%

Un gruppo di scienziati della Lehigh University ha sviluppato un materiale dotato di una efficienza quantistica esterna di 90 punti percentuali sopra quella delle celle solari tradizionali

fotovoltaico materiale quantistico
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Nuovo materiale quantistico con un assorbimento solare medio dell’80%

Atomi di rame inseriti tra strati bidimensionali di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. Questa la ricetta messa a punto dai fisici Srihari Kastuar e Chinedu Ekuma nei laboratori della Lehigh University, negli Stati Uniti, per dare una svecchiata alla prestazioni delle celle solari. Il duo di ricercatori ha così creato un nuovo materiale quantistico dalle interessanti proprietà fotovoltaiche. Impiegato come strato attivo in una cella prototipo, infatti, il nuovo materiale ha mostrato un assorbimento solare medio dell’80%, un alto tasso di generazione di portatori fotoeccitati e un’efficienza quantistica esterna (EQE) record del 190%. Secondo gli scienziati il risultato raggiunto supera di gran lunga il limite teorico di efficienza di Shockley-Queisser per i materiali a base di silicio e spinge il campo dei materiali quantistici per il fotovoltaico a nuovi livelli. 

leggi anche Fotovoltaico in perovskite, i punti quantici raggiungono un’efficienza record

L’efficienza quantistica esterna

Tocca fare una precisazione. L’efficienza quantistica esterna non va confusa con l’efficienza di conversione, il dato più celebre quando si parla di prestazioni solari. L’EQE rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni che danno luogo a una corrente in un circuito esterno e il numero di fotoni incidenti ad una precisa lunghezza d’onda

Nelle celle solari tradizionali, l’EQE massimo è del 100%, tuttavia negli ultimi anni alcuni materiali e configurazioni avanzate hanno dimostrato la capacità di generare e raccogliere più di un elettrone da ogni fotone ad alta energia incidente, per un efficienza quantistica esterna superiore al 100%. Il risultato di Kastua e Ekuma, però, rappresenta un unicum nel settore.

Celle solari a banda intermedia

Per il loro lavoro due fisici sono partiti da un campo particolare della ricerca fotovoltaica. Parliamo delle celle solari a banda intermedia (IBSC – Intermediate Band Solar Cells), una tecnologia emergente che ha il potenziale per rivoluzionare la produzione di energia pulita. In questi sistemi la radiazione solare può eccitare i portatori dalla banda di valenza a quella di conduzione, oltre che direttamente, anche in maniera graduale. Come?  “Passando” per l’appunto attraverso stati di una banda intermedia, livelli energetici specifici posizionati all’interno della struttura elettronica di un materiale creato ad hoc. “Ciò consente a un singolo fotone di provocare generazioni multiple di eccitoni attraverso un processo di assorbimento in due fasi“, scrivono i due ricercatori sulla rivista Science Advances.

Nel nuovo materiale quantistico creato dagli scienziati della Lehigh University questi stati hanno livelli di energia all’interno dei gap di sottobanda ideali. Una volta testato all’interno di una cella fotovoltaica prototipale il materiale ha mostrato di poter migliorare l’assorbimento e la generazione di portatori nella gamma dello spettro dal vicino infrarosso alla luce visibile. 

La rivoluzione dei materiali quantistici

Il duo ha sviluppato il nuovo materiale sfruttando i “gap di van der Waals”, spazi atomicamente piccoli tra materiali bidimensionali stratificati. Questi spazi possono confinare molecole o ioni e gli scienziati dei materiali li usano comunemente per inserire, o “intercalare”, altri elementi per ottimizzare le proprietà dei materiali. Per la precisione hanno inserito atomi di rame tra strati di seleniuro di germanio e solfuro di stagno. “Rappresenta un candidato promettente per lo sviluppo di celle solari ad alta efficienza di prossima generazione – ha sottolineato Ekuma – che svolgeranno un ruolo cruciale nell’affrontare il fabbisogno energetico globale“.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa quotidianamente delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.