Rio+20: fallimento epico o primo passo avanti?

Dalla mega Conferenza ONU esce il testo che riporta le sfide principali per il Pianeta da qui al 2050. Un documento di buoni propositi ed impegni imprecisati

“Rinnoviamo il nostro impegno per uno sviluppo sostenibile e per garantire la promozione di un futuro sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale per le attuali e le future generazioni”. Così recita “Il Futuro Che Vogliamo”, il testo ufficiale uscito venerdì sera da Rio+20, dopo più di un anno di trattative e 10 giorni di intensi dibatti e incontri; il risultato della mega-conferenza ONU non soddisfa tutti, anzi a dir la verità l’ampio documento finale è stato aspramente criticato dagli ambientalisti per la mancanza di specificità e di quell’ambizione necessaria per affrontare le sfide poste dall’attuale degrado ambientale, dal peggioramento delle condizioni sociali e da una popolazione mondiale pronta a raggiungere i 9 miliardi entro il 2050.

Tuttavia, scampando il pericolo dèjà vù – costante degli ultimi vertici Onu sul cambiamento climatico – lo sviluppo sostenibile ha portato a casa il suo accordo. Al termine del Summit della Terra di Rio+20, capi di stato e ministri provenienti da oltre 190 nazioni hanno posto la loro firma al testo definitivo determinando gli obiettivi globali in tema di sviluppo sostenibile e altre misure per rafforzare la gestione ambientale globale, migliorare la protezione degli oceani e la sicurezza alimentare e promuovere una “economia verde”. E se i gruppi della società civile, gli attivisti e il mondo scientifico hanno già bollato l’evento come un “fallimento epico” e un “flop colossale”, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha cercato di mantenere un certo ottimismo di fondo sostenendo che il nuovo accordo avrà un ruolo decisivo nel guidare il mondo verso un percorso più sostenibile: “Il nostro compito è ora quello di creare massa critica. La strada è ancora lunga e difficile”, ha commentato Ban in chiusura del summit. E soddisfatta è anche il presidente del Brasile, Dilma Rousseff, convinta sostenitrice che la conferenza rappresenti “un punto di partenza, non di arrivo. Una piattaforma comune che rappresenta un grande passo avanti”. Vero è che con Barack Obama, Angela Merkel e David Cameron assenti, le nazioni BRICS hanno potuto far pesare la loro presenza  durante la tre giorni politica, smorzando l’impegno richiesto dall’Unione Europea.

Il risultato principale della conferenza è un piano che fissa gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), descritti dal Brasile come i “gioielli della corona” della Conferenza. Peccato però che le gemme di questa tiara non siano ancora state scelte. I negoziatori a Rio non sono stati in grado di accordarsi su temi, che saranno ora affidati ad un “gruppo aperto di lavoro” di 30 nazioni a cui toccherà il compito di elaborarli entro settembre 2013 per poi sostituirli nel 2015 agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio fissati dall’Onu 12 anni fa.

Non si tratterà di un compito facile. Il gruppo dei paesi del G77 – di cui fanno parte oltre 130 economie emergenti – continua a sostenere che i target in questione debbano includere forti elementi sociali ed economici, compreso il trasferimento tecnologico e i finanziamenti (30 miliardi di dollari l’anno la cifra richiesta) necessari alla loro transizione verde. Dall’altra parte i paesi più industrializzati alle prese con una crisi economica senza precedenti e con le elezioni USA ormai prossime, decisamente poco intenzionati ad impegnarsi finanziariamente.

Ma in tema di sostegno economico, qualcosa però dovrebbe cambiare, almeno per il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), una delle più bistrattate agenzie ONU, economicamente parlando; in base al nuovo accordo, infatti, il Programma potrà contare su un futuro budget più sicuro, una partecipazione più ampia e forti poteri per avviare la ricerca scientifica e coordinare le strategie ambientali globali. Il testo, che per molti rassomiglia più a un elenco di buoni propositi che agli attesi capisaldi del “futuro che vogliamo”, riporta anche l’impegno, in tempi e modi imprecisati, a ridurre gli incentivi ai combustibili fossili, il riconoscimento della necessità di misure di progresso più ampie che completino il PIL, l’importanza della rendicontazione di sostenibilità aziendale e la promessa di promuovere l’economia verde; ed è così che per la prima volta la dicitura green economy, entra a far parte di un documento ufficiale.

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